Il viaggio nella malattia e nel dolore che da Isabel Allende va a Michela Murgia

by Claudio Botta

La malattia, la morte vissute e raccontate senza filtri, nelle pagine di un libro. Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi sta facendo discutere, per l’annuncio di Michela Murgia che uno dei racconti che compongono l’opera non è frutto della sua fantasia, ma la cronaca della sua scoperta e convivenza con un cancro al quarto stadio. Un’esperienza dolorosa, che lei ha scelto di condividere con i suoi lettori. La stessa scelta che fece nel 1993 Isabel Allende, quando un anno dopo la scomparsa della figlia ventinovenne decise di pubblicare un romanzo a lei dedicato (l’uscita nel 1995) partendo dal giorno del ricovero in ospedale a Madrid, il 6 dicembre 1991. Lei era diventata famosa già con il suo primo romanzo, La casa degli spiriti (pubblicato nel 1982) nato come una lettera al nonno paterno in gravi condizioni e che evoca le vicende della famiglia Allende e del loro paese, il Cile, dall’osservatorio privilegiato della casa dove avevano vissuto insieme per qualche anno. Era diventata una esponente di punta del ‘realismo magico’ latinoamericano che aveva portato Gabriel Garcia Marquez al premio Nobel della letteratura nello stesso anno del suo esordio, quando la sua primogenita Paulascoprì di avere la porfiria, una malattia rara dovuta a un’alterazione dell’attività di uno degli enzimi che sintetizzano il gruppo eme nel sangue. Una malattia che procederà nonostante le cure così velocemente e inesorabilmente da portarla in uno stato di coma che diventerà irreversibile, la madre Isabel sempre accanto, tranne che nelle ore serali e notturne trascorse in un albergo poco distante. Ore vuote e angosciose riempite dalla scrittura di un’altra lettura, che diventa un diario quotidiano di speranze sempre più flebili e consapevolezze sempre più dolorose, riflessioni sulla vita e sulla morte che da personali diventano universali, e ricordi dei momenti precedenti, con la dimensione privata continuamente intrecciata a quella pubblica, ancora la sua famiglia, i suoi affetti, e il suo Paese. L’abbandono del padre diplomatico quando lei aveva 3 anni appena e l’infanzia nella casa dei nonni a Santiago. I due fratelli, i primi amori, il secondo matrimonio della madre, ancora con un diplomatico, e gli anni all’estero prima del ritorno in Cile e del matrimonio con Michael Frias, la nascita di Paula e Nicolas. L’esilio in Venezuela due anni dopo il drammatico colpo di Stato che l’11 settembre 1973 (l’altro 11 settembre impossibile da dimenticare) rovesciò il governo di Salvator Allende (cugino del padre), ucciso dagli uomini del generale Augusto Pinochet. La solitudine in un Paese straniero, la crisi del suo matrimonio. Il presente, con i bollettini sempre più angoscianti, spezzato da continui flashback. Lei e Paula. Il precipitare dello stato clinico, l’uscita dall’ospedale e il ritorno a San Francisco, nella casa della famiglia allargata, con il marito di Paula ErnestoSarà che siamo amati troppo, che Paula e io abbiamo consumato con voracità tutta la felicità a cui avevamo diritto? Che abbiamo divorato la vita?» le sue parole per cercare di dare un senso a un epilogo così sofferto), il padre (ed ex marito di Isabel), Willie Gordon (il secondo marito di Isabel), la nonna di Isabel Memè, il figlio (e fratello di Paula) Nicolas e la nuora Cecilia, incinta e che diventerà madre per la seconda volta in quello stesso periodo, nell’alternanza di emozioni, di drammi e di gioie che la vita regala. Tutte e tutti accanto a Paula, che morirà il 6 dicembre 1992, a un anno esatto di distanza dal primo ricovero. L’incubo peggiore per un genitore, sopravvivere a un proprio figlio, che Isabel Allende racconta in modo toccante ma mai pietoso, facendo vibrare con delicatezza le corde dell’anima. Nell’alternarsi di percezioni e incubi: «Un giorno in più di attesa, uno in meno di speranza. Un giorno in più di silenzio, uno in meno di vita. La morte vaga per i corridoi e il mio compito è di distrarla perché non trovi la tua porta». Nella consapevolezza che «silenzio prima di nascere, silenzio dopo la morta, la vita è puro rumore tra due insondabili silenzi»: e le parole vanno spese con cura e attenzione anche se per professione vivi di parole, perché la complicità, l’intesa, l’affinità, l’essere parte di un unico indissolubile, le emozioni si trasmettono anche e soprattutto con gesti, attenzioni, presenze, sguardi, responsabilità, procedendo per sottrazione e non sempre per addizione. Nell’unico modo di reggere e resistere, di fronte a un incubo troppo più grande rispetto a vite travolte da una tempesta improvvisa: «Cerco di non pensare all’indomani; il futuro non esiste, dicono gli indio dell’altipiano, contiamo solo sul passato per trarne esperienza e conoscenza, e sul presente che è appena un batter di ciglia, perché nello stesso istante si tramuta in passato». E giorno dopo giorno, lapercezione e la consapevolezza sempre maggiori: «Sentii che mi stavo immergendo in quell’acqua fresca e seppi che il viaggio attraverso il dolore finiva in un vuoto assoluto. Sciogliendomi ebbi la rivelazione che quel vuoto è pieno di tutto ciò che contiene l’universo. E’ nulla e tutto nello stesso tempo. Luce sacramentale e oscurità insondabile. Sono il vuoto, sono tutto ciò che esiste, sono in ogni foglia del bosco, in ogni goccia di rugiada, in ogni particella di cenere che l’acqua trascina via, sono Paula e sono anche me stessa, sono nulla e tutto il resto in questa vita e in altre, immortale».

Le domande che arrivano inesorabili, che ti tolgono il respiro («Dov’era Paula prima di entrare nel mondo attraverso di me? Dove andrà quando morirà?») e le risposte di chi è oltre quel dolore («Paula è già in Dio. Dio è ciò che unisce, ciò che mantiene il tessuto della vita, la stessa cosa che tu chiami Amore», la madre di Isabel). E quando il destino si compie, la certezza che «non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo». L’ Amore infinito più forte del Dolore infinito.

Un libro bellissimo, che ha commosso e colpito milioni di lettori in tutto il mondo.  E ha creato una comunità virtuosa, accomunata da analoghe esperienze o comunque profondamente scossa e sensibile, la quale ha riempito d’affetto Isabel attraverso lettere altrettanto profonde: internet era agli albori, non esistevano i social, le lettere (e non i post) erano ancora il modo per connettersi e raggiungere persone lontane, per articolare pensieri e parole senza la schiavitù del tempo da bruciare in fretta riducendo al minimo o azzerando del tutto le riflessioni, e scongiurando il rischio del narcisismo e dell’egoriferimento, della partecipazione fine a sé stessa a una sorta di rito collettivo che scatta in determinate circostanze. Lettere che sono state raccolte in un successivo libro (in Italia edito da Feltrinelli), e che sono un’ulteriore, preziosa riflessione sulla vita e sulla morte. Leggerle o rileggerle non è e non sarà mai tempo sprecato.

Paula

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