“Il virus sarà un alibi per non fare molte cose”, la rivoluzione nel piatto di Sabrina Giannini

by Michela Conoscitore

La rivoluzione nel piatto (Sperling&Kupfer Editore, pp. 224, 17,90€) è un libro che tutti dovrebbero leggere, ma non solo: bisognerebbe appropriarsi dei contenuti, interiorizzarne dati e rivelazioni per usarli come un’arma di difesa. Il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, già nell’Ottocento, affermò ‘Siamo quel che mangiamo’, allora perché continuare ad avvelenarci quando possiamo informarci ma, soprattutto, tutelarci?

L’autrice del libro è Sabrina Giannini, conduttrice del programma di Rai Tre, Indovina chi viene a cena. Da anni, la giornalista porta avanti la sua personale battaglia per informare il pubblico e creare quella consapevolezza che renderebbe i consumatori liberi. Inoltre, si batte per la tutela dell’ambiente e il benessere degli animali, tristemente celebri i suoi servizi sulle atrocità commesse negli allevamenti intensivi. In questi anni non ha mai fatto sconti a nessuno, avendo il coraggio di puntare il dito, elencando colpe e svelando storture.

Durante l’intervista concessa a bonculture ha accennato anche alla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen e al Covid: “Abbiamo una presidente della commissione europea che ha parlato di green economy, l’aspetto al varco. Le dico una cosa: il virus sarà un alibi per non fare molte cose.

Dottoressa Giannini, perché scrivere un libro come La rivoluzione nel piatto?

Perché i mezzi sono diversi, attraverso la trasmissione e il libro riesco a raggiungere due target differenti. Nel libro, come nei servizi televisivi, cerco di dimostrare con i fatti che gli interessi economici di pochi sono prevaricanti sul benessere generale di tutti. Il motore del mondo è in mano a quei ricchi che gestiscono la quasi totalità dell’industria alimentare e chimica. Sebbene in ogni servizio spieghi questo, nel libro, scendendo nei dettagli, descrivo il sistema. Un aspetto che affronto anche nel libro, nel capitolo Dinamiche occulte, parlo di tutto quello che concerne le lobby e la politica. La rivoluzione nel piatto è un manifesto di libertà e consapevolezza, non che i servizi televisivi non lo siano, ma spero che al termine della lettura del libro la gente abbia la sensazione di aver compreso il meccanismo. Capitolo dopo capitolo, dettaglio dopo dettaglio, in qualche modo spero di fornire ai lettori la chiarezza per capire questo ‘mondo’. Poi, rispetto alla televisione, il libro è lì sempre disponibile per la consultazione, in cui ho aggiunto ulteriori retroscena, e offre la completezza su più di vent’anni di inchieste.

Con le trasmissioni Report e Indovina chi viene a cena è da anni che indaga sulla filiera alimentare per informare il pubblico e renderlo appunto consapevole. Dove nascono le problematiche legate alle aziende alimentari che lei ha documentato in anni di inchieste?

Con l’alimentazione noi possiamo compiere un atto politico: tutti noi, da domani, potremmo fare una rivoluzione in cui diremmo basta ai semi ibridi, non andremmo più nei supermercati e ci rivolgeremmo ai piccoli produttori che utilizzano i semi autoctoni, i pochi che si sono salvati dallo scempio portato avanti dalla nostra politica che si è asservita. Il problema è proprio la politica, non le multinazionali, che dovrebbe far valere gli interessi collettivi. Sembra una banalità dirlo nel 2020, ma il libro cerca di affermare che la politica, negli ultimi settant’anni, ha seguito un altro principio, ovvero quello economico. Quando l’industria alimentare iniziò ad utilizzare la plastica, si pensò che quella fosse una vera e propria rivoluzione in positivo, facilitando la vita a molti, soprattutto alle famiglie. Non si tenne in conto la mancanza di trasparenza delle etichette: mia madre non volle mai comprarmi la famosa cioccolata nel vasetto, forse lei aveva capito già tutto. L’assenza di trasparenza nelle etichette degli alimenti è un’equazione facile: no trasparenza uguale a no democrazia. Non possiamo pensare che il cibo è democratico anche se è scadente. Dopo il mio servizio sulla Nutella, quando si scoprì che conteneva olio di palma, le cose cambiarono solo in Italia perché la gente si indignò, quella fu la prova della potenza del giornalismo. L’azienda affermò che l’olio di palma utilizzato da loro fosse sostenibile, ma intanto il dubbio nella quasi totalità degli italiani è rimasto. Oggi ci stiamo rendendo conto che tutto questo benessere non è vero, perché a guadagnarci con questo sistema rimangono sempre pochi che proseguono ad investire i propri soldi, inclusa la Ferrero, nei paradisi fiscali.

Uno degli aspetti che ha approfondito maggiormente è quello degli allevamenti intensivi. Quali sono le dinamiche di questo ambito produttivo?

Tutte le aziende, oggi, producono cibo massificato. Non dobbiamo credere alla retorica del cibo prodotto naturalmente perché proviene dagli allevamenti intensivi. A cosa hanno portato? Ad un enorme inquinamento ambientale, quindi un danno collettivo, ma soprattutto all’antibiotico resistenza. Esponenti dell’OMS, lo scrivo nel capitolo finale del libro, descrivono ciò come uno tsunami che ci travolgerà. L’antibiotico resistenza potrebbe uccidere molto più del Covid, già sta accadendo, sono dati degli ultimi dieci anni. La mortalità per antibiotico resistenza è una realtà. Il 70% degli antibiotici ad uso umano vengono somministrati agli animali, in Italia scendiamo al 50% e poi c’è la parte illegale di cui non sapremo mai nulla. Inoltre mi chiedo, perché la grande e possente Europa, per più di cinquant’anni e fino al 2022, ha permesso l’utilizzo non solo degli antibiotici ma anche dei promotori della crescita. Gli antibiotici sono mischiati al mangime degli animali ad uso preventivo, perché tanto si ammaleranno. Questo è un sistema sano? I produttori ti rispondono che per mangiare tutti a basso costo, questo è il prezzo democratico da pagare. Non è vero, perché è una scelta fatta dai grandi produttori di carne in Italia e nel mondo. Anche gli ormoni, negli Stati Uniti sono la normalità, in Italia sono usati in modo illegale.

L’aspetto più pesante ai danni dell’ambiente è la deforestazione…

Innanzitutto vorrei fare una premessa, proprio legata al Covid: con la deforestazione, creiamo un ponte epidemiologico che avvicina sempre più le specie selvatiche all’uomo, permettendo così la diffusione di questi virus. Vaste porzioni di foreste vengono distrutte per far spazio alle colture di soia di cui si nutrono gli animali negli allevamenti intensivi, e per le mandrie portate al pascolo, molto spesso bovini zebù spacciati poi per bresaola della Valtellina. Queste aziende per arricchire qualcuno si stanno appropriando delle risorse di tutti, hanno fatto in modo che la politica ammettesse pratiche aberranti. Il fulcro del discorso è la politica, a loro interessa che ad arricchirsi siano le lobby e non hanno a cuore la salute collettiva e quella del pianeta, per le future generazioni. La rivoluzione, se vogliamo, possiamo davvero farla. Noi giornalisti dobbiamo indagare, e oggi in Italia non ci è permesso di scoprire, nonostante i proclami di rivoluzione di alcuni partiti, di scoprire chi sono i lobbisti che entrano nei ministeri per esercitare le pressioni così ben note.

Quali saranno le conseguenze di questo sistema malato?

Quello che accade oggi negli allevamenti intensivi, ne dovremo dar conto ai nostri nipoti: abbiamo industrializzato una delle attività più antiche dell’uomo, l’allevamento, trattando gli animali come delle macchine, snaturandoli e alterando la loro genetica (le vacche producono, normalmente, quindici litri al giorno, adesso anche cinquanta), tutto ciò lo facciamo passare per ‘naturale’. Quando mi dicono che l’uomo ha sempre mangiato carne e pesce rispondo: non è assolutamente vero, avendo studiato antropologia, conosco l’evoluzione dell’uomo. Del pesce abbiamo depredato il 90% delle scorte. Immaginiamo quanto pesce rimarrà per i futuri nove miliardi di abitanti del pianeta. Riprendendo il discorso di prima, sull’etichetta della carne dovrebbero essere riportati tutti gli spostamenti che ha subito l’animale, quanta negatività ha accumulato nel corso della sua vita, senza etichetta il consumatore è privato della conoscenza e la sua scelta, quindi, sarà orientata verso il profitto e non alla salute pubblica. È la legalità il problema: i controlli affidati da funzionari statali ai veterinari pubblici, che peraltro paghiamo caramente di tasca nostra, non sono sempre attendibili. Il punto è: non negateci la trasparenza, le persone devono sapere quello che accade negli allevamenti intensivi. Ciò che ho mostrato io e le associazioni animaliste è solo una minima parte. Se la gente potesse vedere gli allevamenti intensivi, non consumerebbe più carne. Questa è la nostra pseudo-democrazia, che non è soltanto dare un voto. Fin quando mancheranno dei controlli seri, e se quei controlli continueranno a partire dal ministero, ci sarà poco da fare.

La colpa, oltre che delle lobby e della politica, è anche della grande distribuzione che avvalla questi meccanismi?

La grande distribuzione è interessata a vendere. Non hanno il coraggio di eliminare prodotti non sostenibili. Siamo noi che dobbiamo scegliere. Se si acquista un pollo a due euro, non si dovrebbe pretendere la qualità di un pollo ruspante. Spesso, osservo la gente fare la spesa che riempie il carrello di carne a uno o due euro ma poi la famosa cioccolata o i biscotti sono sempre presenti nella spesa. Acquistano proteine e zuccheri che a loro, in realtà, non servono. Ma allora la domanda è, è l’abbondanza o la qualità ad essere democratica? Bisognerebbe far pagare una tassa sull’ambiente a questa gente per il danno ecologico che stanno arrecando, ogni alimento possiede un’impronta ecologica. Mi sembrerebbe più democratico questo invece di far arricchire persone che portano i loro guadagni nei paradisi fiscali. La gente mangia troppo e male, dovrebbe mangiare meno e scegliere meglio. E pretendere che quello che c’è sugli scaffali dei supermercati sia sano e controllato. Gli italiani devono iniziare ad informarsi e a leggere, il nostro è un popolo un po’ pigro, abbiamo un altissimo livello di analfabetismo funzionale, la gente legge ma non comprende cosa ha letto.

Tornerà nella prossima stagione televisiva con Indovina chi viene a cena?

Sì nell’inverno, probabilmente tra gennaio e febbraio. Con il ritardo accumulato, visto il periodo, devo recuperare e ci impiego tempo per lavorare alle inchieste. Da novembre si inizierà il montaggio, e poi si andrà in onda.

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