Il volo del falcone

by Francesco Berlingieri

Mat Osman, Il teatro fantasma (Edizioni di Atlantide)

Mat Osman è il bassista dei Suede. I Suede, per intenderci, sono quelli di Beautiful Ones. Nato nell’Hertfordshire, Anno Domini 1967, ha all’attivo nove album. E due romanzi. Entrambi tradotti in Italia dalla meritoria Edizioni di Atlantide, Circonvallazione Clodia, Roma. Il primo, che non ho ancora letto ma – manco a dirlo – ho comprato, si intitola Rovine. Il secondo, e di questo – appena concluso – vorrei invece parlarvi, Il teatro fantasma. Dunque: un ragazzo e una ragazza si incontrano a Londra. E fin qui, niente di strano. Ma lei – che risponde al nome di Shay – è una flapper, una giovanissima donna libera, dai tratti ancora mascolini, che conosce a memoria i tetti della città – come una sua privatissima geografia interiore – e, soprattutto, è una un’Aviscultan: sacerdotessa dell’antico culto secondo il quale Gli dèi sono uccelli e gli uccelli sono dèi. E lui – che di nome fa Nonesuch, che significa più o meno “Nessuno di questi” – è un carismatico giovane attore, ambizioso e istrionico, uno che – coi suoi Blackfriars Boys – vive in un teatro e che anela a trasformare l’intera Londra nel suo palcoscenico. E la Londra in questione è quella sporca e terribilmente affascinante di Elisabetta I. Con le sue pestilenze, i suoi arcieri, le sue ribellioni, i suoi cattolici perseguitati. E la storia diventa una spirale, un invito alla suburra, un’esplorazione interna del cuore di un secolo che così, francamente, non lo avevo mai considerato. Il teatro fantasma è un libro pagano ed in questo risiede il suo possente fascino.

Osman ci rimanda ad un’Inghilterra paludosa e mistica, dove la parola è oracolo e premonizione, dove il canto è liturgia e la musica ipnosi collettiva. Dove il futuro è nel volo di un falcone, che con apparente disinteresse osserva le azioni degli uomini intersecarsi nel fango e ci ricorda che “tutto ciò che scappa, è preda”. È una storia d’amore e di tradimento, di culti nascosti e di versi che spingono all’insurrezione. È un lampo, un fuoco greco, un fuoco d’artificio. Scritto in una lingua evocativa e densa di materia, che sa di melma, di zolfo e di birra. Una lingua che, parere da profano, dev’essere costata non poca fatica al duo di traduttori, che meritano una menzione: Paola Olivetto e Mirko Zilahi. Perché Il teatro fantasma non è solo un avvincente romanzo di strada, è anche un minuzioso lavoro di ricostruzione storica, della storia “di sotto”: qui non c’è solo la trama, c’è anche la scena. Ottimo e consigliatissimo.

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