Il vuoto alla finestra di Giulia Arnetoli: l’intenso racconto della strage di via dei Georgofili vista con gli occhi puri di un bambino di nove anni

by redazione

Giulia era una studentessa dell’Istituto magistrale fiorentino, ricorda bene quel tragico evento passato alla storia come la “strage di via dei Georgofili”. Nella notte del 27 maggio 1993 un’autobomba fece crollare la Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, in quell’esplosione persero la vita cinque persone, tra cui Nadia Nencioni (9 anni) e sua sorella Caterina (meno di due mesi), ben quarantotto persone rimasero ferite.

Ne Il vuoto alla finestra (Società Editrice Fiorentina, 2022), Giulia Arnetoli racconta, tra finzione e realtà, lo sgomento di quella strage attraverso gli occhi puri di un bambino di nove anni, Giacomo, che abita proprio di fronte alla Torre della sua principessa, la piccola Nadia. Sceglie di affidare a lui la costruzione di una memoria collettiva, “perché se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”, l’autrice apre il suo libro con le parole di Paolo Borsellino.

Giacomo ha di fronte a sé il vuoto, che non è solo materialmente in quella torre che non vede più dalla sua finestra, ma diviene soprattutto metaforico, quando cerca ostinatamente una spiegazione, quando si tratta di dover risemantizzare il suo piccolo universo. È cresciuto avvolto e protetto dall’amore dei suoi genitori ma si ritrova improvvisamente a dover affrontare la brutalità dell’attentato, a conoscere il significato della parola mafia, a subire la perdita della sua amica Nadia, che incendiava le sue guance ogni volta che gli sorrideva. Come può comprendere tutto questo un bambino di nove anni? Giulia Arnetoli riesce a descrivere quegli occhi ricolmi di lacrime che rendono impotenti tutti, indistintamente, grandi e piccini, con estrema delicatezza in un racconto che si fa via via sempre più intenso.

Com’è nata l’idea del romanzo?

Ho voluto raccontare la strage di via dei Georgofili innanzitutto perché l’ho vissuta: ricordo ancora lo smarrimento di quei giorni, sembrava impossibile eppure la mafia aveva colpito anche Firenze; poi perché mi sono resa conto che si stava affievolendo il ricordo di quelle vittime innocenti, soprattutto tra i più piccoli.

Per questo hai scelto come protagonista un bambino?

Sì, ammetto che mi piacerebbe che questo libro fosse letto anche dagli adulti, credo sarebbe importante, ma ho voluto raccontare la strage dal punto di vista di un bambino perché, come ha detto il giudice Antonino Caponnetto, “la mafia ha più paura della scuola che della giustizia, perché l’ignoranza è il campo fertile per tutte le mafie e solo la cultura può essere l’antidoto”.

Effettivamente le maestre di Giacomo risultano fondamentali nel suo percorso di crescita, tanto che alla fine sceglie di diventare un insegnante…

Sì, anch’io, come lui, non capivo le metafore, lo confesso. Giacomo all’inizio sognava di diventare un vigile, come suo padre, poi però le maestre danno voce alla sua ipersensibilità, attraverso la poesia, lo aiutano a costruire la memoria e, per quanto possibile, a “superare” la tragedia. È stato semplice per me raccontare la quotidianità della scuola perché è parte del mio mondo, io insegno presso la scuola elementare Balducci a Sesto Fiorentino.

La pubblicazione di questo libro coincide, seppur involontariamente, oltre che con l’arresto di uno dei responsabili della strage, con il trentesimo anniversario. Sei stata coinvolta in qualche iniziativa?

Sì, l’operazione che ha condotto all’arresto di Matteo Messina Denaro, uno dei responsabili di quella strage, è stata chiamata “Tramonto”: si intitola così la poesia che scrisse pochi giorni prima Nadia Nencioni, la bambina rimasta vittima dell’attentato. Io ho conosciuto i suoi zii attraverso l’Associazione tra i Familiari delle Vittime, che ringrazio perché sono stati fondamentali in questo progetto. Presenterò il libro in Regione, a Palazzo Strozzi Sacrati, oltre che nelle scuole, dove sta già raccogliendo un grande consenso. Vedere l’entusiasmo, il coinvolgimento dei bambini che lo hanno letto è sempre molto emozionante per me.

Che progetti hai per il futuro? Stai già scrivendo altro?

Sì, come i miei romanzi precedenti, sarà rivolto ad un pubblico adulto. In realtà ho cominciato ad occuparmene la scorsa estate: si tratta della storia di una maestra, Maria Maltoni. Lei ha insegnato nella scuola elementare di un piccolo paese, San Gersolè, dagli anni venti alla metà del Novecento. La sua idea di scuola si basava sulla vita reale, lei non si limitava a trasmettere nozioni, educava i suoi alunni ad avere una coscienza critica. Credo abbia dato un grande contributo alla rivoluzione del metodo didattico.

Federica Fabiano

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