“Infodemia e contraddittorietà delle posizioni scientifiche hanno ingenerato il panico”. L’Alto Volume di Francesco Giorgino

by Antonella Soccio

Nell’era del populismo e del sovranismo, nell’era del primato dei dati e dei social network, a contare è più la rappresentazione nella sfera pubblica mediata che la rappresentanza. Di questo, con grande cordialità e amicizia ha parlato l’anchorman del Tg1 Francesco Giorgino, docente di News Making & Brand Storytelling all’Università Luiss Guido Carli in un incontro dei Lions al Tennis Club di Foggia, presentando il suo ultimo libro di successo “Alto Volume”.

Il titolo “Alto volume” si riferisce all’intonazione complessiva e alla iper-comunicazione che identificano la società attuale e il dibattito pubblico. Il libro analizza come la politica diventa sempre più comunicazione e marketing e, dagli Stati Uniti all’Italia, si consolida un nuovo modo di conquistare e gestire il consenso elettorale. 

Noi di bonculture lo abbiamo intervistato sui temi dell’attualità italiana.

Professor Giorgino, che ne pensa della comunicazione istituzionale sul Coronavirus? In tanti accusano i giornalisti di fare cattiva informazione e di aver creato panico ed allarmismo nel Paese.  

Credo che siamo di fronte ad una infodemia che è una parola coniata da un docente e giornalista americano sul Washinton Post nel 2003 e che è entrata nella disponibilità di tutti con l’enciclopedia Treccani. Infodemia significa da un lato eccesso di informazioni, overload di informativo, dall’altro significa contraddittorietà delle posizioni anche in ambito scientifico e dall’altro ancora incapacità di produrre contenuti oggettivamente verificabili attraverso fonti qualificate. Stiamo vivendo in maggior ragione in questo contesto quello che in altri segmenti, quello della politica nel mio libro, la necessità di far convivere fonti formali con fonti informali, fonti ufficiali con fonti ufficiose. E far leva su un sistema cognitivo da parte degli utenti del web che non può essere a basso impegno. Deve essere ad alta intensità. Il fenomeno attecchisce producendo un disorientamento cognitivo perché alcuni contenuti vengono recepiti come veri pur non essendolo perché da parte degli utenti non c’è la volontà di approfondire. Ci stiamo rendendo conto cosa vuol dire non gestire la convivenza tra cosiddetti media mainstream con i new media, i social media. Con una aggravante: abbiamo avuto contezza che la logica dei social network rischia di contaminare anche la logica dei media mainstream.

Quanto è stata contaminata anche la Rai?

La Rai non credo, la Rai ha assecondato una narrazione complessiva del Paese che inizialmente è stata impostata sulla segnalazione dei molti rischi, poi si è capito che eccedendo in questa segnalazione si facevano molti danni e in qualche modo è rientrata la narrazione complessiva del Paese. Il risultato migliore si produce se incrociamo: narrazione istituzionale, narrazione giornalistica e narrazione degli attori scientifici- e anche lì c’è stato qualche protagonismo di troppo- e responsabilizzazione dei contenuti.

I giornalisti fanno bene a riprendere pedissequamente quello che i politici pubblicano sui loro social? Come si può recuperare il ruolo della mediazione del giornalismo? C’è un vantaggio dei giornalisti televisivi rispetto agli altri?  

Non ci sono differenze tra i giornalisti cartacei, televisivi o web. C’è la necessità di recuperare una intermediazione simbolica culturale tra la realtà rappresentabile, compresa la politica e il pubblico. La nostra funzione consiste in questo: riuscire a dare alla realtà una interpretazione e una descrizione, una denotazione e una connotazione in grado di restituire il senso della complessità. L’accesso diretto alle fonti è gratificante per le fonti perché azzerano i rischi di giudizi negativi e di interpretazioni non conformi alla propria volontà, ma al tempo stesso genera il presupposto perché si diffonda la cultura della iper semplificazione, che è l’anticamera del riduzionismo concettuale e produce forme di distorsione sistemica.

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