Io e Calvino

by Paola Manno

Di tanto in tanto sento il bisogno di incontrare Italo Calvino. Tra tutti gli scrittori che ho letto, e amato, è certamente quello che sento più “amico”. Non so spiegare bene il fatto, probabilmente questa amicizia nata sui banchi di scuola (chi non ha conosciuto Pin durante le vacanze tra la prima e la seconda media?) è durata così a lungo perché oltre ad essere uno scrittore straordinario, per me Calvino era anche una gran bella persona. Una di quelle che avrei ascoltato parlare per ore, a 14, a 25 e anche ora che ho 40 anni. E sebbene lo abbia scritto chiaro e tondo a Germana Pescio Bottino in una lettera “Io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere”, io invece resto convinta che la sua vita di uomo libero, il suo impegno civile e umano e il suo immenso amore per la letteratura siano parte integrante della sua opera d’arte.

Ogni tanto, dunque, ho bisogno di leggere Calvino. Per ritrovare la passione politica, che in tempi così bui mi riesce difficile tenere accesa. Ogni tanto lo cerco quando ho bisogno di sorridere, di rincontrare personaggi spassosissimi come Marcovaldo. Ho letto le fiabe di Calvino ai miei bambini, per farli addormentare. Lo cerco, soprattutto, quando penso alla potenza della letteratura, delle storie. Tutti i suoi romanzi sono giochi meravigliosi di intelligenza e ingegno, equilibri di immagini e parole. Calvino amava le storie, nessun lettore può non accorgersene. Leggo “Perché leggere i classici” per ricordarmi che le parole sono più potenti del tempo e dello spazio. Cerco Calvino quando ho bisogno di sognare di posti lontani.

E l’ho cercato ieri, quando davanti al racconto di una storia impossibile ho avuto voglia di vedere lui, cosa ne pensava. Ho comprato, e letto in una notte, “Gli amori difficili”, raccolta di novelle pubblicata nel 1970. Un libro che racconta di amori accennati, spezzati, non vissuti, sfiorati e non colti, desiderati ma non vissuti, di amori del passato che tormentano il presente, di amori-non-amori, soprattutto. Come quello, rappresentativo su tutti, di Amilcare in “L’avventura di un miope”, che Calvino racconta così: “Era appena giunto a formulare mentalmente queste conclusioni quando apparve Isa Maria Bietti. Era con un’amica, passeggiavano guardando le vetrine, Amilcare le si parò proprio davanti, stava per dire: «Isa Maria!» ma gli mancò la voce in gola, Isa Maria Bietti lo scostò con un gomito, disse all’amica: – Ma è così che si portano ora… – e andò avanti. Neanche Isa Maria Bietti l’aveva riconosciuto. Comprese tutt’a un tratto che era solo per Isa Maria Bietti che era tornato, che solo per Isa Maria Bietti s’era voluto staccare da V. ed era stato lontano tanti anni, che tutto, tutto nella sua vita e tutto al mondo era soltanto per Isa Maria Bietti, e adesso finalmente lui la rivedeva, i loro sguardi si rincontravano, e Isa Maria Bietti non lo riconosceva. Tanta era stata la sua emozione che non s’era accorto se lei era cambiata, ingrassata, invecchiata, se aveva l’attrattiva d’una volta o meno o più, niente aveva visto se non che quella era Isa Maria Bietti e che Isa Maria Bietti non l’aveva visto”. 

Le storie di strambi personaggi si susseguono tra tenerezza e frustrazione, tra desideri e paure, attraverso le “avventure” di un lettore più interessato a un romanzo che all’amore, di un fotografo novello, di un bandito impaziente e di altri protagonisti che sembrano antieroi in un mondo che non ha bisogno di eroi. Su tutti, è “L’avventura di una bagnante” il racconto che più mi colpisce, che mi sembra risponda bene alla domanda che gli ho posto. La bagnante si ritrova, durante un bagno in mare, senza la parte di sotto del costume, che ha perduto nuotando. Resta in acqua a lungo, cercando in qualche nuotatore di passaggio un segnale che possa darle fiducia, per poter chiedere aiuto in una situazione così imbarazzante. Molti uomini le passano accanto, ma la vergogna della sua nudità non le permette di chiedere soccorso. Con le donne non va meglio, ne scruta l’indifferenza, o ancora peggio, il giudizio. “La signora Isotta s’accorse allora di come la donna sia sola, di come tra le sue simili sia rara (forse spezzata dal patto stretto con l’uomo) la bontà solidale e spontanea, che previene gli appelli e che le affianca a un cenno d’intesa nel momento della disgrazia segreta che l’uomo non comprende. Mai le donne l’avrebbero salvata: e le mancava l’uomo. Si sentiva all’estremo delle forze.”

Ho scoperto, stanotte, un Calvino nuovo. Uno che ha descritto la nudità di una donna, non quella fisica, bensì quella dell’anima, come probabilmente l’avrebbe scritta una donna in prima persona. E mi sta ancora, ancora più simpatico.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.