“La bellezza non ha prezzo”, l’autobiografia di Zdenèk Zeman con gli stilemi del romanzo di formazione

by Filippo Mucciarone

“Se hai una squadra in una serie inferiore e sei promosso hai vinto. Se hai una squadra da salvare e la salvi hai vinto. Se hai un giocatore con dei limiti e lo migliori fino a portarlo in Nazionale, hai vinto. Se gli trovi un ruolo che non ricopriva prima hai vinto. Se hai scoperto e puntato su giovani diventati talenti e campioni, hai vinto…Se hai permesso alle tue società di unire risultati e bilanci sani e sostenibili, grazie a mercati in entrata intelligenti e a cessioni vantaggiose, hai vinto…Se il tuo gioco è stato considerato moderno e innovatore da grandi maestri come Sacchi e Guardiola e sei stato di ispirazione per tanti allenatori che si dichiarano tuoi “allievi”, hai vinto. Se il pubblico alla fine delle partite si è divertito e ha applaudito anche dopo le sconfitte, hai vinto…Non ho medaglie, scudetti e coppe da mostrare in salotto, ma mi sento molto più vincente di tanti che hanno titoli in bacheca ma non vengono ricordati…”

E’ tardo autunno 2022. Andrea Di Caro (vicedirettore della Gazzetta dello Sport) dopo interminabili anni a richiedergliela, fa uscire per la casa editrice Rizzoli, L’Autobiografia con la A maiuscola. “La bellezza non ha prezzo”. Ovvero quella dell’uomo di calcio più stimato e controverso del calcio italiano degli ultimi quarant’anni. Zdenèk Zeman. Un’autobiografia rivelatrice con gli stilemi del romanzo di formazione che narra (anche) a detta dello stesso autore in frontespizio di sovraccoperta “cinquant’anni di carriera che ha diviso ma soprattutto unito… (Come) In un lungo viaggio attraverso città, squadre, campi polverosi e prati perfetti…Ascese, cadute, ripartenze, adii e ritorni. Battaglie per un calcio pulito e gioco d’attacco come filosofia di vita”.

Un libro che, per chi (appassionati di calcio e non), non avesse ancora avuto modo di leggere, potrà certamente captare attenzione ed interesse per gli amanti dello sport in generale. Mister Zeman, oltre che filosofo del calcio è anzitutto appunto, puro uomo di sport. A cui non è precluso ad esempio il paragone con importanti coach o team manager del secolo scorso come Phil Jackson o Arpal Weisz.

Dai campetti impolverati della sua Sicilia è facile allora il rimando con quelli come il campetto di calcio dell’oratorio di S.Ciro di Foggia, quasi adiacente allo Stadio Zaccheria, dove nacque di fatto Zemanlandia, e nell’intercalare d’appendice a questa presentazione de “La bellezza non ha prezzo”… una fiaba che parla di Lui

…Dalle sorprendenti geometrie dalla spiccata qualità d’alta giardineria del terreno di gioco dello Zaccheria anni ’80 (spesso spettacolo d’accoglienza inaspettato per chi dopo l’affollata canicola agli ingressi riusciva finalmente ad affacciarsi nello stadio), caratterizzate da grandi cerchi concentrici o da grandi maglie rettangolari, a rendere più evidenti e risaltanti i “chiaroscuri” dei bianchi e neri delle scarpette dei giocatori (già in fase di riscaldamento) ed i relativi cromatismi che così impreziosivano i fili d’erba del campo, nuove figure calcistiche come il portiere libero aggiunto ed il terzino mezz’ala e viceversa andavano forgiando la sintesi del credo zemaniano in lungo ed in largo. Proprio quando agli inizi degli anni novanta in serie A (gota ed epicentro del calcio mondiale) la musica stava cambiando ed il suo mood ipnotico ed il credo che professava che avvolgeva pienamente la città in un climax ambientale fatto di sensazioni di buone vibrazioni e semplicità, volontà disciplina e voglia di arrivare, “apparentemente” non cambiava mai. In tale ambito, l’astrazione del concetto di talento del resto, poteva sottolinearsi a grandi tratti già dal trascendente tracimare di gente dello Zaccheria in epoca Marchioro.

L’era “pantofola d’oro” Casillo era dunque iniziata, ed i miracoli con Zeman al timone tecnico diventavano così sempre più a portata di mano dietro l’angolo. Ogni cosa altresì, digerita e destabilizzata proveniente dal terreno di gioco dello Zac. poteva allora concretizzarsi dal rimando spensierato delle prodezze e della magia di una sfera di gioco, sino all’ebbrezza di un giorno da leoni incastonato nella incompiuta risolutezza di una giornata al tramonto (come stessa indeterminata “conclusione” filosofica del tempo). Metronomo certo anch’esso da queste parti fattore fondamentale, per la mole di campioni calcanti il suo manto, come felini di emotività introiettate. Prerogativa del resto quest’ultima, sviscerante e caratterizzante la “sfinge cosmica” del boemo come in un perenne work in progress proprio in progressione sulla voglia di farcela e di affermarsi come a sovrapporre in una sorta di “decrescita felice” del calcio italiano europeo e mondiale, sia l’assetto calcistico di derivazione della sua Sicilia (terra di adozione nei suoi fasti di inizio carriera soprattutto prima con la primavera rosa nero del Palermo definita una piccola Olanda di Cruijff ed il Licata poi nel suo primo espluà professionale in C), che quello di capitanata con il Foggia in serie B ed in A, facendole diventare a pieno titolo isole felici. La magica armonia (come reclamava un famigerato spot coca cola anni ’80) poteva già compiersi ed iniziare. Zemanlandia diventare a suo modo un fenomeno straripante dall’agone “Pop” del calcio (spettacolo) “globalizzato”, quando insomma (e a bocce ferme) il merchandising più che il business, poteva diventare un eufemismo.

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