La Felicità degli Infelici di Mino Grassi e il dramma umano e sociale degli anziani nelle RSA durante i giorni del Covid

by Daniela Tonti

“Desideriamo la felicità e non troviamo in noi se non incertezza. Cerchiamo la felicità e non troviamo se non miseria e morte”

È davvero possibile cambiare la vita che abbiamo costruito e scrivere un finale alternativo? Ed è possibile farlo quando la prospettiva di futuro è ristretta e non ci resta più molto tempo?

La Felicità degli Infelici, il romanzo di Mino Grassi, suggerisce al lettore che non è mai troppo tardi per avere il coraggio di essere stessi. Attraverso le storie di diversi personaggi – che si snodano sullo sfondo di cinquant’anni di storia in un Sud depresso e profondamente arretrato dove le possibilità sono ridotte ai minimi termini e non c’è spazio per i sogni – sfilano uomini e donne arrivati alla fine che, isolati dal covid nelle Rsa, si interrogano sulle loro vite cucendo i fili della memoria cercando un senso all’esistenza.

Nostòs algia il dolore del non ritorno, che scava dentro i personaggi, li spinge a voltarsi correndo il rischio di essere pietrificati e raccontare le proprie storie in una narrazione struggente che parte sempre dall’amore, il cuore di tutte le cose. Irrisolto, irrealizzato o solo idealizzato.

Noi di bonculture abbiamo intervistato l’autore.

Mino noi giornalisti abbiamo affrontato la pandemia studiando, spesso tentando strade per molti nuove come l’approfondimento scientifico nel tentativo di raccontare il tempo che stavamo attraversando. L’impressione che ho io da lettrice è che è mancata la letteratura. Il tuo libro va in questa direzione. Quanto è importante l’universalità della letteratura, la potenza di personaggi in cui ritrovarsi per leggere il nostro tempo?

In effetti l’idea creativa del romanzo nasce dalle immagini impietose del dramma umano e sociale che gli anziani vivevano, soprattutto nelle RSA, durante i giorni del Covid. Nel libro gli aspetti scientifici e medici non sono stati trattati per niente. Molte pagine sono dedicate, invece, alla disperazione di chi muore da solo, abbandonato e senza l’assistenza degli affetti più cari.

Ed è quello che fa più male.

L’ho definita “la strage degli infelici. Una generazione, quella degli ultraottantenni, che ci ha dato la vita e ci insegnato a vivere con dignità. Non meritava né merita di “andar via” senza uno straccio di attenzioni. Per questo, le uniche finalità del libro, che per me rappresenta “una dichiarazione d’amore” verso quella generazione, sono soltanto quelle che non cali il sipario sulla situazione sociale ed umana dei “nostri vecchi”. La scrittura in questi casi rappresenta l’universalità storica affinché non si perda il vero ed autentico patrimonio della  vita: le nostre origini.

Il tuo libro scardina l’idea che la fine sia irreversibile e cioè ci suggerisce che anche quanto fatto in ultima battuta possa essere un segno che va oltre la propria presenza, quasi un esempio per quanti non hanno coraggio.

“La Felicità degli Infelici” è una contraddizione dolorosa della vita.

 È vero che dalle pagine del romanzo vien fuori una idea che un barlume di felicità, prima o poi, arriva nella vita di noi esseri umani. Ma è altrettanto evidente che in tutte le storie di questi uomini vien fuori quanto sia predominante il loro destino irreversibilmente tracciato e predestinato alla “infelicità”. Come può essere felice un uomo (o una donna) quando nasce povero, in una terra misera come il Sud di metà ‘900, senza un lavoro e con pochi affetti familiari?

Eppure, questa è la grande contraddizione del Romanzo: c’è un momento, forse un solo momento, in cui quegli Uomini e quelle Donne hanno respirato la “Felicità”. E anche se cerco di orientare il lettore verso un’idea precisa e personale di quello che potrebbe essere, alla fine lo decide il lettore perché la “felicità”, o meglio la sensazione di sentirsi felici, è qualcosa di intimo, di spirituale.

Chiaramente, dalla lettura completa del libro viene fuori una visione romantica e leopardiana della vita dei protagonisti: la Felicità rappresenta il piacere e l’Infelicità il dolore. Scontato il mio responso.

Nel tuo romanzo c’è molto lavoro sulle fonti storiche non solo orali ma anche una precisa descrizione delle strutture in cui sono ambientate alcune storie. Come ti sei organizzato?

Fa parte del mio approccio con la scrittura e con il mondo della comunicazione in genere. Non avendo una cultura scolastica “umanista” cerco sempre, con la curiosità adolescenziale e con un senso di osservazione quasi maniacale, la completezza del dettaglio. Insomma, è la mia visione della vita: il bicchiere sempre mezzo vuoto. Eppoi, in questo mio primo romanzo c’è tanto di vissuto, di respirato, di sentito. Non poteva essere diversamente.

C’è qualche personaggio a cui sei più legato?

Beh, come dicevo prima, è il mio primo romanzo. Scritto con la rabbia, il cuore dilaniato e con gli occhi gonfi. Molti dei protagonisti sono frutto di una “fantasia reale” e quindi li sento completamente miei.

Anna e Marco (Annina e Marcucc), però, rispetto a tutti gli altri, rappresentano l’essenza più intima de “La Felicità degli Infelici”. Loro sono il grande architrave emotivo del libro. Sicuramente il vero motivo per cui è stato scritto.

Stai portando in tournee anche una performance teatrale sul testo. Come sta andando? Dove potremmo vederla?

Chi mi conosce bene, sia come professionista della comunicazione sia come imprenditore, sa che sono un razionale con i piedi ben piantati per terra. Perquesto sembra avventato il Progetto che parte ufficialmente tra qualche giorno, anche se in maniera sperimentale, a pochi mesi dall’uscita del libro. Mi hanno convinto i commenti, le recensioni, le impressioni di decine di persone che hanno letto il libro o hanno assistito ai diversi reading. Tutti avevano percepito quello che volevo trasmettere con il romanzo: commozione per delle storie d’amore e di vita di uomini di altri tempi. È nato un copione tratto dal libro, completo di letture, interpretazioni, narrazioni e canzoni di Lucio Dalla. Insomma, una pièce letteraria a tutti gli effetti. Come sempre si parte in sordina ed in autoproduzione e se funziona…

Hai scelto Ultimi per i proventi del tuo libro. Come nasce il tuo rapporto con Don Aniello?

Don Aniello? È un uomo straordinario, unico, semplice. Un vero uomo di Fede. Se lo conosci, ti entra dentro e non va più via. Rimane per sempre dalle tue parti: anche se non lo vedi fisicamente.

L’ho conosciuto il 1976 ad Alberobello quando arrivò come diacono in parrocchia. Non ci siamo più persi. Il 2013 abbiamo fatto insieme il Cammino di Santiago. Un’esperienza straordinaria vissuta con tantissimi giovani scrittori italiani del Concorso di Scrittura creativa multimediale “Scrivoanchio.it”, di cui don Aniello era il testimonial sociale. Di quei giorni abbiamo scritto insieme un diario di viaggio “Legalità e Scrittura in cammino verso Santiago”, i cui proventi stanno finanziando ancora l’attività sociale di Aniello in Italia. Per me è un onore cercare di essere al suo fianco nelle sue “scorribande d’amore” verso gli ultimi.

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