“La Luna d’inverno non parla”: 24 giovani maestrine napoletane e il passaggio cruento dal Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia

by redazione

Il romanzo La Luna d’inverno non parla si ispira ad una vicenda realmente accaduta, che ebbe come protagoniste ventiquattro coraggiose donne vissute a Napoli nell’Ottocento, in un periodo di drammatici cambiamenti: il passaggio cruento dal Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia. Quei difficili giorni furono per esse l’occasione di testimoniare la fedeltà alla propria coscienza e alla propria terra, pagando un prezzo molto alto e poi finendo dimenticate.

Ma chi erano quelle donne e che cosa accadde?

Nel mese di dicembre del 1861, quando il Regno d’Italia aveva pochi mesi di vita, il personale dei Regi Educandati femminili di Napoli dovette confrontarsi con l’obbligo del giuramento ai Savoia, che avevano cancellato il Regno delle Due Sicilie con la guerra terminata nel febbraio precedente con l’assedio di Gaeta. L’obbligo del giuramento riguardava non solo i nuovi assunti, ma anche coloro che erano in servizio e che già l’avevano prestato per il legittimo re Borbone. L’imposizione fu possibile grazie ad un espediente, una forzatura finalizzata all’epurazione dei dissidenti: imporre una nuova nomina in servizio, subordinandola al giuramento stesso.

Negli educandati scenario della vicenda erano accolte, in forma residenziale, bambine ed adolescenti soprattutto di ceto elevato, che venivano istruite ed educate conformemente alle aspettative che l’uso dell’epoca induceva a nutrire su tali ragazze, anche con un’accurata formazione religiosa. Vi lavorava sia personale esterno, principalmente insegnanti, sia personale interno che viveva in struttura a stretto contatto con le allieve: il “Primo Educandato”, il più prestigioso, era sito in piazza Miracoli e il “Secondo Educandato” in largo San Marcellino.

Le istitutrici residenti erano dette “maestrine” e rappresentavano il principale riferimento educativo ed affettivo delle fanciulle. Non di rado esse erano ex alunne alle quali, raggiunta l’età per lasciare la struttura ed essendosi fatte apprezzare per le capacità, veniva proposto di restarvi come tali: dapprima onorarie e poi titolari stipendiate e con un proprio alloggio nell’istituto. Alcune di esse, dunque, vivevano lì da decenni, talvolta non avevano più solidi riferimenti familiari all’esterno e l’educandato rappresentava il loro mondo non solo lavorativo.

Quando fu intimato il giuramento, poche maestrine vi aderirono, mentre la maggior parte respinse l’ipotesi, ben sapendo a che cosa si andasse incontro: espulsione, con perdita simultanea di lavoro e abitazione. La questione si articolava lungo due versanti: anzitutto quello di coscienza, che poneva il problema del tradimento del precedente giuramento e l’adesione ad un regime palesemente anticlericale; poi quello politico, come riconoscimento della legittimità di un “nuovo ordine di cose” esito dell’aggressione armata contro il proprio Paese.

Per comprendere meglio la portata del rischio corso dalle maestrine e l’inquietudine che le accompagnava, va considerato che per una donna dell’epoca non più giovanissima, ancorché di rango, era arduo formarsi una famiglia o trovare una nuova fonte autonoma di sostentamento. Un altro aspetto da considerare riguarda le allieve che, in caso di espulsione delle maestrine non giuranti, avrebbero perso all’improvviso figure ben conosciute, a loro affettivamente e concretamente vicine nel quotidiano. Stiamo parlando di fanciulle a partire dai sette anni (talvolta anche meno) fino ai diciotto. Prospettiva la quale non poteva che accrescere il tormento di quelle educatrici.

Fu fissato una sorta di ultimatum: l’8 gennaio 1862 per le maestrine del Primo Educandato e il giorno successivo per quelle del Secondo. Se non avessero giurato in quei giorni, sarebbero state espulse e avrebbero dovuto lasciare all’istante gli educandati: letteralmente abbandonate al loro destino.

Nell’epilogo della vicenda, che registrò anche momenti convulsi ed umilianti, brillò la figura di queste donne determinate, leali e autenticamente nonviolente: capaci di lottare senza piegarsi e senza aggredire, armate della sola verità per difendere il posto di lavoro, l’abitazione, i bisogni educativi delle allieve e la loro terra devastata. Per contro, personaggi famosi, cui oggi sono dedicati monumenti e strade, non spiccarono certo per sensibilità umana e pedagogica.

L’episodio delle maestrine dissidenti sollevò all’epoca grande rumore e finì col provocare un’interpellanza parlamentare, cui rispose il Ministro dell’istruzione, e sul quale poi fu calato un silenzio assoluto. Le maestrine coraggiose e la loro bella testimonianza vennero relegate nell’oblio.

A centosessanta anni di distanza, La Luna d’inverno non parla toglie dal dimenticatoio quelle ventiquattro donne napoletane e invita a lasciarsi contagiare, con ammirazione, dalla lezione di vita che offrirono. Il loro spirito di sacrificio può essere per noi un vigoroso esempio di affermazione di identità e libertà.

Antonio Lombardi 

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