La misura del tempo e Guido Guerrieri, l’avvocato scrupoloso, che non parteggia aprioristicamente per il proprio assistito

by redazione

Gianrico Carofiglio è un autore che non ha bisogno di presentazioni. Torna in libreria dopo cinque anni con il suo più importante personaggio, l’Avv. Guerrieri, protagonista, questa volta, de “La misura del tempo”, con il quale proprio qualche giorno fa è stato candidato anche per il Premio Strega. La misura del tempo è un libro che ho letto in pochi giorni, anche nelle modalità dell’avvocato Guerrieri, nelle attese tra un’udienza e l’altra, perché è un testo assolutamente piacevole, delicato e molto appassionante.
Il personaggio, del quale viene ben tratteggiato come sempre il lato umano, con il suo smaccato lato ironico ed autoironico, è capace di emozionare, di far sorridere ma allo stesso tempo di far riflettere, in un contesto di equilibrio e scorrevolezza generale tra i dialoghi e la narrazione.

Dietro la vicenda processuale, che ad un approccio superficiale sembrerebbe essere il cuore di tutto il libro, l’autore si sofferma su verità scomode e difficili, a volte angoscianti, così come quando parla del mondo dopo di noi e prima di noi, del rapporto con i genitori, delle paure di un’anziana nell’affrontare la morte.

Ma soprattutto si sofferma sul rapporto dell’uomo – appunto – con la misura del tempo. Quel tempo, indefinito, che confonde i ricordi, li idealizza, li modifica o li cancella, creando nella mente un susseguirsi di sensazioni malinconiche e inquietanti, e quesiti sulla propria esistenza. Un tempo, insomma, con il quale fare i conti ogni giorno e sul cui senso l’autore si interroga a fondo, finendo poi per affermare come sia qualcosa di così complesso che – pur volendo – non si può definire o descrivere, se non usando delle metafore.

Non posso esimermi dal fare un’altra riflessione, ma questa volta dal punto di vista dell’avvocato impegnato anche nella politica forense e nella difesa della dignità di tale professione, oltre che del suo rilievo costituzionale.

In un momento storico in cui un dilagante giustizialismo coinvolge la figura dell’avvocato mettendolo spesso all’indice come colui che con l’autore di un omicidio (o di altro reato odioso) è spesso un colluso o un favoreggiatore, ho apprezzato molto il modo in cui viene tratteggiata e caratterizzata la figura professionale dell’avvocato Guerrieri.
Un avvocato scrupoloso, che non parteggia aprioristicamente per il proprio assistito, cui, appena conosciuto, non chiede nemmeno di conoscerne la reale colpevolezza e verso il quale non nutre simpatia, ma il cui unico obiettivo è quello di fare luce sulle zone d’ombra di una vicenda processuale (e di una sentenza) non affrontata in maniera adeguata da un precedente collega.

Un avvocato che si pone dunque, correttamente, come parte attiva del meccanismo di costruzione di una giustizia giusta, alla ricerca di elementi utili a raggiungere una verità processuale che sia il più vicino possibile alla verità sostanziale.

Trovo molto importante, dunque, che una narrativa di ampio respiro come quella di Carofiglio, racconti certe storie, quelle di innocenti in carcere e di sentenze sbagliate (perchè sono storie come ce ne sono a centinaia nei Tribunali italiani) e faccia passare questo tipo di messaggi come contraltare mediatico a certe risibili affermazioni – che siamo stati costretti ad ascoltare di recente – come quelle del Ministro della Giustizia Bonafede, per il quale “gli innocenti non vanno mai in carcere”, o quelle del Magistrato Davigo, per il quale un imputato assolto è solo un “colpevole che l’ha fatta franca”.

Un tipo di impostazione giustizialista e allo stesso tempo di sistematico discredito per la figura dell’avvocato che a mio parere Carofiglio non condivide e combatte, tanto da farla in qualche modo impersonare al Pubblico Ministero della vicenda processuale del libro. Il PM che, all’inizio della sua requisitoria, citando Manzoni e la famosa frase di Azzeccagarbugli: “All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi imbrogliarle”, accusa chiaramente Guerrieri – in classico stile davighiano – di aver tentato di dissimulare la realtà pur di raggiungere a tutti i costi il suo obiettivo, e che Carofiglio pone molto ben in contrasto, subito dopo, con quella che è invece l’impostazione e l’approccio alla vicenda processuale da parte dell’avv. Guerrieri, facendo emergere tutta la grossolanità del pubblico ministero.

Guerrieri è infatti una figura esemplare di avvocato, pur coi suoi dilemmi interiori, con le sue debolezze, i suoi dubbi e le sue incertezze. Perché è mosso da una pura tensione verso la verità, ha un approccio tecnico e mai di eccessivo coinvolgimento emotivo con il suo assistito o con la madre, suo vecchio amore giovanile. Un avvocato che dice chiaramente ai suoi testimoni di dire il vero e che ha come unico obiettivo quello di difendere fino in fondo il diritto del suo assistito di essere giudicato sulla scorta di tutti gli elementi di fatto possibili, che diventa l’ultimo baluardo del suo diritto di difesa quando anche la madre non crede più fino in fondo all’innocenza del figlio e che, così facendo, apre dei nuovi squarci di possibili verità possibili, con lo scopo ultimo – ben preciso – di insinuare nella testa della Corte il ragionevole dubbio.

Quel ragionevole dubbio, e qui si torna alle profondità dell’autore, che è un altro elemento fondamentale del libro, perché è per Carofiglio un modo di approcciarsi alla vita e un messaggio chiaro e distinto per il lettore.

Un invito. Quello ad avere un punto di vista sempre vivo sulle cose, di guardarle e scrutarle da più angolazioni, dubitando delle verità e cercando di mettere punti interrogativi ad affermazioni che abbiamo sempre dato per scontato.

Solo questo, per l’autore, è il modo per fare passi avanti, in un aula di tribunale come nella vita, e per diventare magari persone migliori, senza verità precostituite, ma, sempre, pieni di ragionevoli dubbi.

Valerio Vinelli

Avvocato e presidente Lions Club Foggia Host

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