La nascita del femminismo medievale, Chiara Mercuri narra le idee «nuove e progressiste» di Maria di Francia

by redazione

Un bel saggio di storia medievale che è un intreccio tra femminismo, letteratura e amor cortese ai tempi di Maria di Francia. Un libro che esprime la forza della femminilità, un elogio all’emancipazione della donna, che anticipa i tempi affondando le radici nel Medioevo. Si presenta così l’ultimo lavoro editoriale di Chiara Mercuri, storica, saggista e traduttrice, docente all’Istituto teologico di Assisi. La nascita del femminismo medievale. Maria di Francia e la rivolta dell’amore cortese, edito da Einaudi (pagine XII-204, euro 22), in gara al Premio letterario nazionale I fiori blu.

Fulcro del saggio è, la “fallita rivoluzione” di Maria di Francia, vissuta in pieno XII secolo. Un personaggio poco noto, su cui siamo scarsamente informati. Circa il suo reale profilo, anzi, si può dire che non vi sia accordo tra gli studiosi. «Le idee di Maria di Francia – scrive Mercuri – non compirono il salto necessario per trasformarsi, come quelle degli Illuministi in arieri capaci di abbattere la Bastiglia. (…). Eppure le sue idee sulle donne, sul rapporto tra i sessi, sull’amore forzato furono prorompenti». Le idee di Maria di Francia riportarono in superficie la condizione femminile in età medievale che vedeva la donna in una visione nettamente minoritaria rispetto all’uomo, costrette al matrimonio forzato, minacciate costantemente di stupro, impedite a ritagliarsi un ruolo diverso da quello delle mansioni domestiche. Insomma un’anticipazione in prospettiva di secoli a quella che è la condizione contemporanea della donna tra parità di genere e ruolo sociale e, purtroppo, della piaga del femminicidio.

Del personaggio nulla si sa e questo ha dato adito alle interpretazioni più disparate e spesso contrastanti. V’è, infatti, chi ha suggerito trattarsi d’un nome fittizio, dietro il quale si celerebbe una figura maschile. Altri hanno tentato d’identificarla con questa o quella badessa di grido. Non ne è convinta l’autrice, che con ottimi argomenti la identifica, invece, con Maria di Champagne (1145-1198), figlia di Luigi VII, re di Francia, e di Eleonora d’Aquitania, futura regina d’Inghilterra, e sposa di Enrico, conte di Champagne e di Troyes, sottolineando come tale posizione, di estremo privilegio, possa averle permesso di rivendicare, tramite i propri scritti, un ruolo diverso per la condizione femminile. Qualcosa di realmente impensabile per una donna di rango anche solo appena inferiore.

Di Maria di Francia sono rimasti dodici lais, brevi novelle in ottosillabi a rima baciata: dal più corto, di soli 118 versi, Lai du Chievrefoil, in cui è narrato un episodio della vicenda di Tristano e Isotta, al più lungo, l’Eliduc, di 1184 versi, in cui si narra la vicenda d’un marito dotato di due mogli. A lei si deve, inoltre, un Ysopet, in prosa, il primo adattamento in antico francese delle favole di Esopo (o a questi attribuite), e il poema l’Espurgatoire Saint Patriz, adattamento d’un trattato omonimo. Siamo di fronte, insomma, a una fine intellettuale, capace di radunare attorno a sé un circolo di teste pensanti a cui affidare le proprie idee.

Idee «nuove e progressiste», scrive Mercuri, «sull’amore, sulla sessualità, sui rapporti coniugali, sulla vita di coppia». «Idee che avrebbero potuto – e dovuto», puntualizza Chiara Mercuri – «mille anni prima della rivoluzione sessuale del Novecento, segnare un nuovo corso della storia femminile, e quindi del mondo». Si tratta d’un’affermazione su cui potremmo discutere (e ben venga la discussione!). Certo, le idee covate alla corte di Champagne avrebbero preso piede, collocandosi, a suo dire, agli albori del cosiddetto «amor cortese». Eppure, il suo volto sarebbe rimasto nascosto: la sua, anzi, sarebbe stata una “rivoluzione” a metà.

Di quel mondo medievale, visto come un periodo tetro, buio da lei cantato si sarebbero appropriati gli uomini di epoche successive, quegli uomini che hanno fatto la rivoluzione non certo per difendere il ruolo della donna nello spazio e nel tempo, ma per difendere il loro potere. Alla rivoluzione femminile ci hanno pensato solo le donne. Questa, dunque, la provocazione di fondo che il libro di Mercuri vuole trasmettere al lettore e lo fa in maniera, sottile, arguta e documentata, come del resto deve fare una storica di mestiere. Ed è in questo senso che va inteso il “femminismo” che la stessa Mercuri rivendica: un’espressione da contestualizzare in un’epoca in cui non esistevano diritti per coloro che non portavano le armi. Non è, insomma, all’impiego odierno del termine che ci si riferisce ma a un’altra accezione: alla costruzione d’una visione del mondo alternativa, femminile, il cui fallimento sarebbe da legarsi alla struttura patriarcale della società. Una struttura che vede, tuttavia, gli schemi patriarcali in controtendenza rispetto al passato che qui Chiara Mercuri ha messo definitivamente in luce.

Mario Bocola

docente e referente gruppo di lettura Associazione ETS Per il Meglio della Puglia

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