La politica e la Madre. Il privato pubblico di Maria Grazia Calandrone in “Splendi come vita”. L’intervista

by Enrico Ciccarelli

Il romanzo “Splendi come vita” di Maria Grazia Calandrone è un successo editoriale che ha brillato anche al Premio I fiori blu.

Abbiamo avuto il privilegio di intervistare l’autrice.

Splendi come è caratterizzato da una struttura espressiva non canonica, con un impianto narrativo autobiografico molto solido e una scrittura che procede spesso per frammenti, elisioni, silenzi, al modo che siamo abituati a trovare nella poesia. È un ibrido?

Possiamo definire Splendi come vita un’esperienza, più che un esperimento, di prosa musicale. Si tratta di una prosa che contiene molti espedienti ritmici e metrici della poesia, ma che, intanto, si sviluppa come narrazione. Non siamo abituati a leggere prosa che proceda nei modi musicali, direi quasi ipnotici, per ciò tendiamo a chiamarla poesia e, in effetti la musica spesso prevale sull’impianto scheletrico del libro, anche il concreto pop degli anni 70 e 80, che sono gli anni della mia coscienza, raccontando i quali lascio le canzonette in funzione di esca, affinché il lettore, leggendo, possa almeno socchiudere il contenitore dei propri ricordi e depositarli nei vasti spazi bianchi a bordo pagina.

Lei non è solo una poetessa di fama, ma anche una grande “scopritrice di poeti”, in particolare esordienti. Quanto l’ha aiutata questa sua attività nella scelta, indubbiamente coraggiosa e faticosa, di scavare a fondo nella sua autobiografia?

È una bella domanda, che presuppone una comunità di esperienza e quindi mi piace rispondere di sì, mi piace rispondere che conoscere le esperienze poetiche degli altri mi abbia aiutata a trovare il coraggio della mia propria nudità.

Nel raccontare la sua vita lei disegna anche l’autobiografia di una generazione, uno spaccato di vita italiana fra il 1970 e il 2000, con gli accadimenti della politica, i reperti della cultura pop, a cominciare dalle canzoni, le vicende del costume. È una dimensione intima e collettiva insieme, per usare due aggettivi che abitualmente si intendono contrapposti. Lei ritiene che non lo siano?

La politica, insieme a mia madre (anzi, Madre, singolare collettivo) è coprotagonista del libro. Sono cresciuta in anni nei quali il privato era considerato pubblico e il personale, politico. Sono figlia convinta di quegli anni, non ho operato una revisione critica distruttiva, sono ancora persuasa che qualunque scelta privata influenzi la vita pubblica e ne sia a sua volta influenzata. Ogni nostra scelta è una scelta politica, perché modifica o condiziona la vita della collettività e questo accade perché, è quasi banale dirlo, la società è una somma di individui. Quali scelte private non coinvolgono altri esseri umani?

La sua prima opera in prosa, “L’infinito Melò” l’ha definita “pseudoromanzo”: come definirebbe “Splendi come vita”?

Romanzo musicale. Un po’ per ridere, ma è vero.

Nella voce di Wikipedia che la riguarda c’è scritto che lei ritiene la poesia “un’azione politica” e una forma di sollecitudine. Perché?

Perché credo che la poesia, anche quando è – per intenderci – intimistica, ci riduca ai nostri elementi basici, ci permetta cioè di raggiungere un luogo interiore elementare, nel quale ci riconosciamo simili agli altri. Di conseguenza, credo che la poesia sia un allenamento a sentirci corpo sociale. Questo è l’esatto contrario di quello che insinua certa politica contemporaea, ovvero la polverizzazione del corpo sociale, attraverso l’istigazione alla paura e addirittura all’odio nei confronti della differenza. La poesia ci ricorda che fra gli esseri umani non esiste alcuna differenza radicale. Inoltre, ci abitua a identificarci coi sentimenti degli altri e questo è un esercizio indispensabile all’armonia, individuale e pubblica.

Si augura che qualcuno riprenda la narrazione dall’anno in cui lei la interrompe? O lo farà lei stessa?

Quasi sicuramente mi occuperò dell’antefatto di Splendi come vita, cioè della storia sociale degli anni Sessanta e, molto probabilmente, avrò conferma di quello che immagino, che tanti pericolosi giudizi e pregiudizi di quegli anni non sono stati davvero superati. Temo dunque che un libro sul passato sarà il libro del nostro presente.

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