“La ricreazione è finita”: il noir della giovinezza tradita, illusa e disillusa

by Federica Fabiano

Dario Ferrari, ne “La ricreazione è finita” (Sellerio, 2023) racconta la generazione dei trentenni, il non troppo nuovo che arranca, con l’horror vacui della senilità.

Il protagonista cui cede la voce è Marcello Gori, trentenne viareggino, “laureato in Lettere nel capitalismo neoliberista”, abituato da sempre a difendersi dalle accuse di inconcludenza con l’alibi di ferro della giovinezza, di calviniana memoria. Non ha ancora un vero lavoro ed è fidanzato da sempre con Letizia, il suo grillo parlante, brillante studentessa di medicina, ricca, giovane, praticamente perfetta.

Per evitare di occuparsi del bar di famiglia, partecipa a un concorso di dottorato di ricerca in italianistica col prof. Sacrosanti e, contro ogni previsione, lo vince. A fargli da Virgilio nella “complessa rete della geopolitica accademica”, fortunatamente c’è Carlo Ceccanti, “l’enfant prodige del dipartimento” da quindici anni. È lui a svelargli trame e sottotrame, ad insegnargli che il valore di un articolo scientifico sta tutto nelle note e nella bibliografia, lì si stringono alleanze e si dichiarano guerre, combattute poi a suon di grandi complimenti durante i più prestigiosi convegni.

Avrei capito che l’accademia è un mondo psicotico affetto da una grave dispercezione della realtà, popolato da individui dotati di fama estremamente limitata (alcune micro-aree del loro micro-campo di expertise), che operano in un settore marginale e assolutamente indigente come quello della cultura, e che nondimeno si sentono delle rockstar, e hanno ego e comportamenti commisurati a questa loro convinzione.”

Se Carlo rimane vittima della sindrome di Stoccolma, a parti inverse, Marcello si ritrova in un mondo che non riconosce perché non gli corrisponde. L’osservanza farisaica dei coscritti arruolati per fare “il lavoro sporco” (organizzare convegni, esaminare gli studenti, ecc) il più delle volte lo lascia interdetto.

“(…) avrei dovuto scrivere le mail con elementi di sussiego da codice diplomatico settecentesco e con formule di rispetto che sarebbero parse eccessive a Baldassarre Castiglione.”

Tutto questo non gli impedisce di nutrire una sincera stima per il Chiarissimo prof. Sacrosanti. Marcello sembra non vedere il dominus della facoltà di Lettere, il suo immenso potere nell’eterna faida tra italianisti, filologi e linguisti; è concentrato sulla sua umanità, sulla sua teatralità, sulla sua passione.

“Il prof. Sacrosanti mi ha ricordato chi sono e perché faccio quello che faccio e mi ha rammentato che nel mondo esiste un incanto che la gente normale nemmeno si sogna, anche se a volte occorrono anni di studio per arrivare a intravederlo.”

Abbagliato da quell’incanto e onorato di essere un suo protetto, si lascia convincere a svolgere il suo lavoro di ricerca a Parigi, dov’è custodito l’archivio di Tito Sella. Riesce ad esaminare le sue opere letterarie ma soprattutto, con non poche difficoltà, riesce a ricostruire la biografia del rivoluzionario viareggino negli anni di piombo. Nel suo delirio di onnipotenza da neointellettuale arriva perfino a scrivere la “Fantasima” (l’autobiografia mai ritrovata). A questo punto il romanzo nel romanzo: in particolare il romanzo storico nel romanzo di formazione.

Dario Ferrari offre al lettore una nuova prospettiva, assolutamente inedita su quegli anni sempre rimasti avvolti nel mistero e così poco indagati. Sceglie di raccontare l’uomo, la vita quotidiana di gente comune, nei bar di provincia, la rivoluzione animata da grandi ideali e finita in tragedia. L’escamotage è quello di sovrapporre la vita dei due protagonisti, Marcello e Tito, apparentemente lontani, ma sostanzialmente identici, in un terzo romanzo. Il noir di due giovinezze tradite, illuse e disilluse. La condanna di chi rimane ai margini, nonostante i mille sforzi e le migliori intenzioni.

Non è un romanzo semplice, perché Ferrari non si accoda alla fin troppo nutrita fila degli scrittori rassicuranti. Il suo è un romanzo irriverente -non usa mezzi termini per raccontare il lato oscuro dell’università o i privilegi di classe- ma anche scanzonato, che tiene il lettore incollato alla pagina. Victor Hugo sostiene che “La libertà comincia dall’ironia”, Dario Ferrari lo conferma con il suo irresistibile sarcasmo. D’altronde le premesse sono chiare fin dal titolo. “La ricreazione è finita”, è la celebre frase utilizzata da de Gaulle per ristabilire lo statu quo ante, ma in questo caso assume diverse accezioni. Può significare “la festa è finita, gli amici se ne vanno” perché a trent’anni è tempo di costruire, di metter su famiglia e di cominciare a fare sul serio. Può finire per ricordare la battuta di Tancredi nel Gattopardo: Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” quando poi le aspettative si scontrano con la realtà. Ammesso che crescere voglia dire smettere di illudersi, fare i conti con la realtà, forse è per questo che si fa sempre tanta fatica a “diventare adulti”. Forse per questo non si smette mai di essere giovani: per continuare a coltivare illusioni…

Federica Fabiano

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