«Lockdown on Wheels», Emilia Vetere e la pandemia sfidata su quattro ruote

by Livio Costarella

Il viaggio? «Non è mai una questione di soldi, ma di coraggio», diceva Paulo Coelho. E di coraggio ne ha da vendere Emilia Vetere, autrice di «Lockdown on Wheels», piccolo gioiello ascrivibile alla già ricchissima letteratura di viaggio, tra le più appassionanti da leggere. Per un motivo: perché – come spiega Aldous Huxley – «viaggiare significa scoprire che tutti hanno torto riguardo gli altri Paesi». E questo è ancor più vero se il libro in questione svela luoghi, situazioni e intrecci di vita che spiazzano e colpiscono continuamente il lettore. È così che la bisettrice che unisce Roma (la città «madre» della scrittrice, classe 1997, nomade per natura) a Berlino, meta tanto agognata quanto «matrigna», diventa un percorso da leggere tutto d’un fiato, in 196 pagine che non lasciano indifferenti. In questa autoproduzione Amazon (rintracciabile e acquistabile per il momento solo lì) – spiega la stessa Emilia – «non c’è prefazione o introduzione. È come me, semplicemente così come lo leggete».


La storia semiautobiografica parte da una domanda centrale: «Cosa può voler dire ritrovarsi a viaggiare sola, su un vecchio e problematico camper nel pieno dellì’inizio della pandemia?». È da lì che si dipana il racconto della protagonista all’epoca ventiduenne, che alle soglie del lockdown, nel febbraio 2020 (quando ancora non si poteva immaginare l’inferno scatenatosi di lì a poco), decide che il viaggio con destinazione Berlino, doveva essere svolto. Costi quel che costi. Anche se quel vecchio camper scassato poteva abbandonarti da un momento all’altro, se il tuo compagno di viaggio aveva il sapore malinconico di un ex, se i soldi in tasca erano pochi e non vi era alcuna certezza sull’approdo finale.
Se tutto il mondo ha vissuto un lockdown privato e quasi irraccontabile, la scrittrice offre un punto di vista nuovo e prezioso: quello di una delle pochissime persone trovatesi in movimento perenne (prima, durante e dopo il blocco totale) e che hanno saputo cogliere di ogni imprevisto e difficoltà la poesia di un luogo appena scoperto, la possibilità di una crescita e trasformazione interiore indimenticabile.

C’è un tale ritmo nelle pagine di Emilia che non si riesce a staccare la lettura, come se ci fosse una specie di sicura: il racconto è scritto con notevole proprietà di linguaggio, non è mai banale e descrive le situazioni vissute dalla protagonista con metafore qua e là che si accendono come lampi. Inevitabile chiedersi cosa ci sia di autobiografico e di romanzato in quei mesi cruciali vissuti dalla ragazza, capace di arrivare in Germania quasi per miracolo (a cavallo del peggior mese di marzo che tutti noi ricordiamo), a bordo di un camper che esalava gli ultimi respiri e con l’angoscia dietro l’angolo di non trovare un alloggio (per ottenere il famigerato «anmeldung», la registrazione della propria residenza in Germania), o un lavoro per tirare avanti.

Ma non è neanche importante chiedersi cosa sia reale e cosa no. Ciò che conta è riuscire a prendere per mano il lettore e fargli vedere ciò che hanno visto i tuoi occhi, e persino riuscirgli a far sentire ciò che sentivi. Compreso lo sterco dei cavalli, il dolore nelle ossa, l’adrenalina e lo sconforto che si inseguono a un ritmo così schiacciante. L’estrema lucidità con cui si racconta Emilia è forse l’elemento che più colpisce nel suo racconto. Specie quando, in preda alla disperazione, alla ricerca di cibo e soldi, persino droghe e alcool, scioglie un nodo centrale su sé stessa: «Nessuno avrebbe potuto essere più cattivo con me – scrive – di quanto non lo fossi già stata da sola».

Questo spiega la forza sovrumana e il coraggio cosciente delle azioni della ragazza, che unite alla sua fragilità umanissima determinano un mix esplosivo. Un po’ come quel motorino di avviamento del vecchio camper Ford. Che una volta riparato non si accende, e poi – chissà come – torna a rumoreggiare nel bel mezzo di Berlino.

Un discorso a parte si può fare sul capitoletto finale, avulso dal romanzo. Il pensiero dell’autrice su quanto e come il Covid abbia cambiato le nostre vite spezza all’improvviso il ritmo, e probabilmente sgonfia le ruote di quel camper sul più bello. Ma questo, seppur non abbia una logica all’interno del puro racconto, non sposta di una virgola la bellezza del lavoro: che porta per mano il lettore fino in Germania, in quello straordinario guazzabuglio del mega ranch dei cavalli, con personaggi grotteschi come il vampiro, l’apparizione dell’angelo Ben, o la kafkiana Marzenna e la sua casa. In un’atmosfera che a tratti sembra richiamare i protagonisti allampanati del cinema di Wes Anderson.

L’impressione che si ha al termine è che la storia sia solo all’inizio. E che le avventure di Emilia possano andare ancora avanti e per chissà quanto. Perché la sua scrittura si fa amare da subito, ed è un motore sempre acceso, che non ha bisogno di sostituire l’avviamento. Ma scorre, fa rumore, tuona e poi si ferma in un nuovo giardino, con uno sguardo sempre nuovo e poetico. Con tanto da descrivere.

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