“L’uomo che vendette il mondo”, l’esordio letterario di Alessandro Galano sul destino giovane che devia

by Anna Maria Giannone

“In tutta risposta, Alex aveva schiuso leggermente le labbra, fissando un punto che non ero io e che forse non era niente, nessuna allucinazione, nessun riflesso nervoso, nessun segnale. D’altronde, anche se fosse stato cosciente avrebbe avuto ugualmente difficoltà a seguire i miei discorsi. Gli avevo par-lato a ruota libera per tutto il tempo, a vuoto, ma non m’importava. Era il mio migliore amico”.

L’amicizia profonda e una riflessione sul tempo, che spesso consente al destino ad un bivio di deviare, di prendere, da erranti, la strada in apparenza errata. E di essere perduto.

L’esordio da romanziere di Alessandro Galano, insegnante, giornalista e libraio di Foggia, con “L’uomo che vendette il mondo” è un viaggio affascinante nei timori, nelle incompiutezze e negli atti mancati della Generazione X, a cui tutti chiedevano performance e che invece si è inceppata, frenata. Il libro è una ricerca del proprio sé attraverso l’incontro con la diversità, con lo stigma. Abilissimo nel descrivere la psicologia dei personaggi, Galano riesce a tenere insieme tante possibili sotto trame, che emergono nei vari luoghi attraversati dal protagonista.

Santo Bardi, l’io narrante, è un professore precario di trentacinque anni, tornato single dopo una lunga relazione con Paola, la “donna sbagliata” della sua vita. Durante una cena estiva riceve una telefonata: Alex, il suo miglior amico, del quale non ha notizie da dieci anni, è stato ricoverato in una clinica per malati psichici, Villa Navis. Ha avuto uno strano incidente, forse causato da un’overdose di ketamina: è come bloccato. Dopo la notizia, Santo rompe con i vecchi legami, cambia casa, si impone una svolta; trova il coraggio di frequentare la clinica. Qui incontra Alba Laura, una studentessa albanese che accudisce un’anziana signora di cui Santo si finge nipote. Ma, soprattutto, ritrova Alex. Le visite all’amico evoca-no il tempo trascorso e la sua storia personale, in cui spiccano le “sparizioni controllate”: periodi di oblio in cui faceva smarrire ogni sua traccia. Tra Roma e Budapest, per Santo comincia un viaggio nella vita perduta di Alex, ma anche dentro di sé.

Il libro sta avendo un grande successo, per la sua lingua ricca e avvincente. Già presentato a Foggia, a Termoli e a San Severo, il romanzo sbarcherà il 17 settembre a Castelluccio Valmaggiore nello spazio del Museo; il 29 settembre Cerignola nella libreria L’albero dei fichi; il 7 ottobre Bari, alla Portineria 21 e alla fine di ottobre a Milano.

Per i concittadini dell’autore che si fossero persi la presentazione a Parcocittà lo scorso 8 agosto, Galano sarà a Masseria De Vargas, il prossimo giovedì 23 settembre.

Vi proponiamo un estratto del romanzo.

Era stato Gilardino a farmi venire in mente Alex. Nell’esatto momento in cui lanciava Del Piero, nel secondo dei due gol segnati alla Germania, minuti finali della partita. Il primo gol l’avevo vissuto come un incidente, stritolato tra la folla della piazza, confuso tra sconosciuti e lattine di birra: non ero stato in grado di rendermi conto di dove mi trovassi e con chi e fino a che punto dovessi essere felice. Ma l’altro, il secondo, era stato più lucido. Durante la traversata verso la porta dell’attaccante mi sarebbe tanto piaciuto abbracciare qualcuno di familiare, stringere il collo di un amico, tirarlo dalla mia parte. E quel qualcuno, mi accorsi, mi sarebbe piaciuto che fosse Alex. Lui a quel tempo aveva già cominciato le sue peregrinazioni. Già da qualche anno, per la verità. Roma, Torino, Genova. E poi ancora Roma, Firenze, Livorno. Milano, addirittura. Era stato anche a Bologna, mesi prima, da Libero. Per poi trasferirsi nelle campagne vicine, membro di un progetto agricolo che aveva mandato al diavolo per chissà quale divergenza. “Sparizioni Controllate”, le chiamava. A quei tempi però, finiva sempre per rientrare alla base, per fare il punto ai Dardanelli – come quell’ultima volta, mesi prima, quando non ero riuscito a intercettarlo.

«C’è questo mio amico, pare sia tornato».

«Quello che gira?».

«Sì, quello che gira…» sorrisi, la definizione mi piaceva. «Te lo devo presentare per forza».

Paola era appena una promessa, allora. Mi camminava accanto, affascinata da quel neolaureato che qualche sera prima, a un concerto di James Senese, le aveva rivelato che non gli sarebbe dispiaciuto andare a insegnare alle Isole Tremiti. Tutto l’anno, in piena solitudine.

«Ti ci portano con l’elicottero d’inverno, lo sai? Gratis!».

«Ma hai ventiquattro anni, come può piacerti stare a morire dieci mesi là?!»

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