“Mancava una biografia non accademica dedicata ad Aldo Manuzio, l’inventore del libro moderno”. La conversazione con Alessandro Marzo Magno

by Fabrizio Simone

Chi si nasconde dietro l’invenzione del libro moderno? Un italiano: Aldo Manuzio (1449-1515), il re degli editori. A lui dobbiamo non solo tutta una serie di accorgimenti utilizzati ancora oggi (introdusse il corsivo, la numerazione delle pagine e fondamentali segni di interpunzione come l’accento, l’apostrofo, il punto e virgola, la virgola e il punto di chiusura della frase), ma anche l’adozione del formato tascabile. Grazie a Manuzio il libro inizia ad essere letto praticamente ovunque, proprio in virtù del suo formato più consono al viaggio e al trasporto. Bonculture ha intervistato il giornalista Alessandro Marzo Magno in occasione della pubblicazione del suo ultimo libro, L’inventore di libri: Aldo Manuzio, Venezia e il suo tempo (Laterza, 20 euro).

Lei ha pubblicato numerosi libri sulla storia veneta. Questa biografia di Aldo Manuzio, oltre che un omaggio doveroso ad un italiano geniale, sembra anche un’ulteriore dichiarazione d’amore verso la sua città natale, Venezia.

Beh sì, perché a Venezia, nella prima parte del ‘500, sono successe alcune cose clamorose che continuano ad influenzare la nostra vita quotidiana. Giusto per rimanere in tema, noi oggi usiamo i caratteri di stampa che sono stati in qualche modo approntati da Aldo Manuzio in quel periodo. Il Times, ad esempio, deriva dai caratteri aldini e lo usiamo tutti i giorni per i libri e per i giornali. Il corsivo è un’invenzione di Manuzio. Insomma, basta leggere un libro o un giornale per prendere in mano un oggetto che ha a che fare con Aldo. E poi, mancava una biografia non accademica dedicata ad Aldo. L’ultima di questo tipo era stata pubblicata nel 1925. Perciò il mio libro risponde anche ad una finalità prettamente divulgativa: ho cercato, infatti, di scrivere una biografia alla portata di tutti, soprattutto dei non esperti.

Aldo Manuzio è la figura che più ha contribuito alla formazione del libro così come lo conosciamo oggi. Manuzio, però, è anche l’editore per eccellenza. Nell’attuale scenario editoriale italiano, chi potrebbe incarnare il suo spirito coraggioso?

Manuzio univa ad un’approfondita conoscenza dei classici e della lingua greca – questo signore conversava normalmente in greco antico – una forte capacità imprenditoriale. Era molto attento agli investimenti, alla gestione economica e finanziaria della sua stamperia. Gli editori dei nostri giorni dovrebbero conservare questi aspetti. Indubbiamente, oggi, in Italia, esistono case editrici a gestione familiare, in cui troviamo editori che presentano capacità intellettuali e imprenditoriali. Penso a Cesare De Michelis, scomparso due anni fa, presidente della Marsilio, con sede proprio a Venezia. Però è difficile trovare un editore italiano che possa realmente avvicinarsi a Manuzio. Sicuramente nessuno è in grado di conversare in greco antico.

Manuzio stampò principalmente classici greci e latini, consapevole che la loro riscoperta avrebbe apportato numerosi benefici non solo agli intellettuali suoi contemporanei, anche se evitò la stampa di edizioni “economiche”. Perché, nella nostra Italia, il mercato editoriale non attribuisce la giusta forza alla divulgazione del patrimonio letterario classico, permettendo così che alcune opere cardine del mondo antico – si veda la Naturalis Historia di Plinio, ad esempio – finiscano quasi nell’oblio? L’attività di Manuzio dovrebbe fungere d’esempio.

Aldo pensava ai classici in genere e comincia con quelli greci, ma passa ai latini e ai volgari perché si rende conto che non c’è abbastanza mercato. Non dimentichiamo che Aldo contribuisce a rendere Petrarca un vero bestseller. Le sue non sono edizioni economiche, come hanno stabilito gli studi più recenti. Alcuni anni fa si pensava che il formato tascabile fosse meno costoso e più economico rispetto al formato grande, ma non è così. Certamente un libro tascabile costava meno di un libro grande, ma il costo per foglio di un libro tascabile non era inferiore a quello dei libri grandi perché si trattava di edizioni ricercate e quindi rivolte ad un pubblico molto ristretto. Oggi non si presta tanta attenzione ai classici, forse perché non sono tanto di moda. Nell’editoria la moda fa la sua parte.

Per nove mesi, tra il 1507 e il 1508, Erasmo da Rotterdam lavorò nella stamperia di Manuzio. Cosa rimase all’autore dell’Elogio della follia di quella magica esperienza?

Per Erasmo, il soggiorno veneziano è stato fondamentale. Lo ha fatto diventare famosissimo: gli Adagia, stampati nelle edizioni aldine, hanno reso Erasmo un autore conosciuto in tutta Europa. E comunque, anche l’esperienza intellettuale è stata importante. Insieme ad Aldo esisteva un circolo di intellettuali, soprattutto greci, con i quali Erasmo si è relazionato. Non dimentichiamoci che Costantinopoli era caduta cinquanta anni prima e in Italia c’erano ancora persone fuggite da Costantinopoli. I veneziani avevano imparato il greco direttamente da loro. Però ci sono due incognite sull’attività intellettuale di Manuzio. Una è quella religiosa, l’altra è quella linguistica. Sappiamo che Erasmo è stato tra coloro che hanno ispirato la riforma protestante pur senza mai uscire dall’ortodossia della Chiesa cattolica. Sappiamo che Manuzio frequentava dei circoli religiosi veneziani dove si discuteva di riforma della chiesa, ma non sappiamo concretamente quale sia stata l’influenza di questi intellettuali sui successivi avvenimenti. Come non sappiamo quale sia stata l’influenza sulla lingua italiana. Uno dei più stretti collaboratori di Aldo era Pietro Bembo. Bembo comincia ad occuparsi delle questioni della lingua italiana nel 1502, poi codificherà l’italiano – noi parliamo l’italiano di Dante e Petrarca codificato da Bembo anche se tendiamo a dimenticarlo – e nel 1525, dieci anni dopo la morte di Aldo, pubblica le Prose della volgar lingua, la prima grammatica italiana. Possibile che Aldo Manuzio e i loro amici non parlassero di lingua? È ovvio che avranno parlato di lingua. Probabilmente non lo sapremo mai, così come non sapremo mai quale sia stata la loro influenza sull’opera di Pietro Bembo, a meno che non saltino fuori nuovi documenti.

Manuzio collaborò con i migliori intellettuali del tempo. Quale fu il suo rapporto con Pietro Bembo, amante di Lucrezia Borgia e primo curatore secondo i dettami filologici della Commedia dantesca e del Canzoniere petrarchesco?

Erano molto amici, ma Manuzio era anche amico del padre di Pietro Bembo, Bernardo. Manuzio trae ispirazione per il formato piccolo proprio vedendo i manoscritti piccoli custoditi nella biblioteca di Bernardo Bembo. Bembo impara il greco a Messina col bizantino Costantino Lascaris e porta ad Aldo il manoscritto della grammatica greca del suo professore. Manuzio pubblicherà questa grammatica greca e per ringraziare Bembo pubblicherà anche la sua prima opera, il De Aetna, un dialogo in latino in cui Bembo racconta la sua ascensione sull’Etna. Dal carattere del De Aetna, inciso da Francesco Griffo (poi inciderà il corsivo), deriveranno il Times e anche il Bembo. Il mio libro su Manuzio usa proprio il Bembo. C’è da dire che Bembo ha lavorato sulle opere di Dante e Petrarca come si lavorava con i classici greci, dato che le loro opere sono scritte nel volgare di due secoli prima, quindi in una lingua morta. Non avrebbe potuto farlo con un volgare a lui contemporaneo, in continua evoluzione: non si può codificare una lingua che cambia.

La salma di Manuzio è andata dispersa proprio come quella di un altro veneziano illustre, Antonio Vivaldi. Il suo prossimo libro sarà sul Prete rosso?

C’è già un ottimo libro su Vivaldi, scritto da Federico Maria Sardelli per la Sellerio. Vivaldi è morto a Vienna povero e dimenticato e, come Mozart, dev’essere finito nelle fosse comuni. Manuzio non si sa dove sia stato sepolto. Nel testamento scrive che vuole essere sepolto a Carpi, dove anni prima era stato precettore dei principi Alberto III Pio e Lionello Pio, ma non sappiamo se sia mai arrivato lì. A Carpi tendono ad escluderlo perché nessuna cronaca dell’epoca parla di questo funerale, che se ci fosse stato sarebbe stato epocale. Può anche darsi che si sia perduta la cronaca, però non è mai stata ritrovata la sepoltura. Può darsi che sia stato sepolto provvisoriamente nella chiesa parrocchiale di san Paternian, a Venezia, che non esiste più, perché a metà dell’800 è stata rasa al suolo per costruire la nuova sede della Cassa di Risparmio. E quando buttavano giù le chiese, le ossa sepolte finivano direttamente in un’isola della laguna.

Morto Manuzio, la stamperia passa agli eredi. Come si comporterà Bembo?

Non conserva relazioni particolarmente strette con la famiglia e non stampa più con i Manuzio.

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