“Mantieni il bacio” di Massimo Recalcati: il grande dilemma tra il durare e il bruciare

by Enrico Ciccarelli

Cosa si può dire di Mantieni il bacio, di Massimo Recalcati? Intanto che è un libro snello, di sole 128 pagine, per produrre il quale è stato necessario sacrificare dalla metà a un terzo degli alberi che devono essere abbattuti per un libro di Federico Moccia.

Inoltre il carattere tipografico è di grandezza tale a non costringere noi persone di una certa età a fare pensieri irriguardosi sugli antenati dell’autore e del tipografo. Da ultimo il costo di 14 euro, alla portata di tutte le tasche.

La copertina è inoltre in colori moda (bianco, fumo di Londra, arancione) con una magnifica foto bianco e nero da “Io ti salverò”, con l’incantevole Ingrid Bergman e il fascinoso Gregory Peck. È quindi, anche sul piano estetico, un libro più che presentabile in società.

Chi ha letto i diversi libri di Recalcati si renderà facilmente conto che siamo in presenza di un libro-intermezzo, che non ha il formidabile impianto del Complesso di Telemaco o del Segreto delle cose. Ma è un signor libro, che unisce al piacere divulgativo un rigore di analisi dogno di nota.

Sottolineo questa che dovrebbe essere un’ovvietà perché viviamo in tempi di profonda crepetizzazione (da Paolo Crepet) della psicoanalisi, di una sua insopportabile mutazione televisiva. Recalcati è invece un seguace di Sigmund Freud che ha studiato Lacan, cioè uno che sa quale groviglio di sentimenti e pulsioni, quale miscela di natura e cultura, quale aggrovigliato e caotico impiantito sottostia alle emozioni umane.

Quindi, malgrado le esigenze di marketing editoriale abbiano indotto Feltrinelli a sottotitolare questo volume come “Lezioni brevi sull’amore”, Recalcati non intende insegnare alcunché, fin troppo consapevole com’è che l’amore non si impara e non si insegna. Rassicuratevi: questo non è un manuale per bimbiminkia di ogni età, né la versione 2.0 delle antiche rubriche “il sessuologo risponde” dei giornalini per adolescenti, nelle quali la domanda tipo era “se lo bacio con la lingua posso rimanere incinta?”.

Siamo da un’altra parte a un altro livello. Il livello nel quale lo psicanalista si chiede, con Arthur Schopenauer, se l’amore altro non sia che un inganno dell’istinto, il rivestimento più o meno efficace di una pulsione di vita, come è nella riflessione di Freud. Se l’amore non sia cioè la messa in bella di un desiderio di accoppiamento finalizzato alla procreazione. Come in altre circostanze, il nostro presunto libero arbitrio altro non sarebbe che l’esecuzione di un comando biologico, di un imperativo genetico.

Recalcati, però, introduce molti elementi di contraddizione in questo schema, che piacerebbe molto al povero senatore Pillon. A cominciare dall’idea e dalla constatazione che l’erotismo non è affatto un dato naturale. Dove le leggi dell’accoppiamento sono direttamente collegate alla riproduzione, la dinamica sessuale conosce ben poche varianti. La conquista dell’intelligenza e la perdita dell’estro, cioè la possibilità per le femmine umane di accoppiarsi anche se infeconde, privilegio negato alle altre specie, vanno di pari passo, e sono collegate alla necessità di tenere unito il nucleo familiare che deve gestire la lunga infanzia del cucciolo di homo sapiens.

Ma la prospettiva antropologica è fuori dal perimetro di osservazione di Recalcati, che da bravo studioso di Lacan, concentra la sua attenzione sul linguaggio, sulla parola, sul “Parlantessere”. Così indaga con l’acume che gli è abituale la inevitabile natura feticistica della sessualità maschile (che quasi sempre considera la donna “per pezzi”: il culo, le tette, gli occhi, i piedi) e quella spesso verbale della sessualità femminile (“Mi ami? Ma quanto mi ami? Perché non mi dici che mi ami?” e così via).

Ho trovato in particolare molto belli i capitoli dedicati al tradimento e al perdono, all’arrivo del Figlio come morte e al tempo stesso massimo successo del Due, della coppia, al grande dilemma fra il durare e il bruciare. Voi sapete che ogni favola che si rispetti finisce con “e vissero sempre felici e contenti”, che è un modo per dire “non c’è più niente di interessante da seguire”. Perché un amore, qualsiasi amore, sarà raccontato sempre con maggiore efficacia se descritto nel momento del divampare della passione, dell’incontro problematico e ostacolato. E forse –suggerisce Recalcati- se l’essere amato fosse per noi non un oggetto da possedere, ma un libro da leggere e un racconto da ascoltare, magari avremmo maggiori possibilità di felicità.

Nell’amore ai tempi del colera, manifesto dell’infinita durata di una passione che non ha potuto consumarsi e bruciare, Juvenal Urbino, il medico che sposa Fermina Daza e passa con lei i decenni che lo separano dalla morte, le dice “Il segreto di un buon matrimonio non è la felicità, ma la stabilità”, e in questa frase sono riassunti molti dei dubbi che vengono indagati da Recalcati, per fortuna senza pretesa di risposta precostituita.

In questo libro godibilissimo e utile, nell’ultimo capitolo l’Autore propone una possibile ipotesi di alleanza fra il durare e il bruciare, una via per la quale passione e costanza possano convivere. Non so se la risposta vi piacerà, e naturalmente non ho alcuna intenzione di fare spoiler rivelandovela. Ma direi che è un buon motivo per leggere, acquistare e votare questo libro.

Come probabilmente ricorderete, Emily Dickinson ha scritto “che l’amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell’amore”. Recalcati si mostra non del tutto persuaso che l’amore sia tutto (“chella è ‘a salute”, avrebbe detto Massimo Troisi), ma anche convinto che si possa sul tema dire qualcos’altro, anche se certamente non risolutivo. Un libro che non dà risposte, ma propone una diversa declinazione e formulazione delle domande. Tutt’altro che poco.

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