«Mi interessava indagare quegli anni di transizione, in cui troviamo noi stessi e al tempo stesso ci perdiamo». Rodrigo Hasbún racconta “Gli anni invisibili”

by Agnese Lieggi

Scrivere di questo libro, Gli anni invisibili e poter intervistare lo scrittore Rodrigo Hasbún è davvero una grande opportunità. Ci sarebbero varie motivazioni, prima fra tutte perché la lettura del libro è una porta d’accesso a quel momento di passaggio della nostra vita che più si ama (o che magari si odia), ovvero gli anni della stratificazione del sé più puro, in cui la capacità di godimento e stupore rispetto agli eventi è un dono, in cui si vive senza il “peccato” dell’orgoglio. E ancora, sono quegli anni di forte impatto emotivo in cui nascono le suggestioni, che procedono dall’istinto, localizzate tra stomaco e cuore, che fermentano per venire a galla. Gli anni invisibili, a volte momenti tremendi e pericolosi, dovremmo ricordarceli tutti noi, per rammentare un modo di vivere di ostentata purezza che nella maggior parte dei casi abbandoniamo per fare strada a quell’essere umano, che diventerà adulto.

Il testo narra le storie di un gruppo di studenti che durante i loro anni d’oro di scuola/liceo vivono situazioni spesso al limite, disegnano i loro destini che il più delle volte sono prodotti del caso o della sorte. Il libro fluttua in una linea temporale molto originale, non è né passato, né presente, né tantomeno futuro è lo spazio della scrittura, non ben individuabile, ma è quel luogo etereo che accorcia le distanze fra la vita e la letteratura.

Un libro duro, ha una prosa asciutta, una narrazione che incalza e ti possiede in cui  l’autore resta sempre a distanza, in cui si può apprezzare anche una scrittura cinematografica, giacché il cinema è, ed è stato per Rodrigo Hasbún, imprescindibile per la sua scrittura, così come lui stesso rivela durante un’intervista per El Diario El  Comercio (Perù) nel 2019.

Rodrigo Hasbún è uno scrittore boliviano del 1981, nel 2007 è stato selezionato dall’Hay Festival come uno dei migliori scrittori latinoamericani, e nel 2010 la rivista «Granta» l’ha scelto come uno dei 22 migliori giovani scrittori in spagnolo. È autore del romanzo El lugar del cuerpo e di due raccolte di racconti. Andarsene è il suo primo titolo pubblicato in Italia (SUR, 2016).

Scopriamo molto ancora e più Gli anni invisibili con l’autore Rodrigo Hasbún che ringraziamo anticipatamente per la sua disponibilità.

“Gli anni invisibili” è un romanzo che hai custodito in un cassetto per tredici o quattordici anni. Qual è stato l’avvenimento chiave che ha permesso lo sviluppo del tuo lavoro e che il romanzo prendesse forma?

Ho scritto la prima versione de Gli anni invisibili nel 2007 o 2008, ma in quel momento non sono riuscito a farla funzionare e l’ho messa da parte. Pensavo che non avrei più ripreso il progetto, e invece dieci anni dopo quei personaggi sono tornati in modo inaspettato, un po’ come degli ospiti che uno si ritrova già accomodati in salotto, e ci ho riprovato. Più che un unico avvenimento, mi interessava indagare quegli anni di transizione, a diciassette o diciotto anni, in cui troviamo noi stessi e al tempo stesso ci perdiamo.

In Italia, la lettura del tuo libro è stata possibile grazie alla traduzione di Giulia Zavagna. Lo scrittore in un altro paese ha bisogno sempre del suo “doppio” per connettersi con il pubblico in un’altra lingua. Cosa più ti è piaciuto del processo di traduzione e della tua versione Italiana degli anni invisibili?

Sono molto contento che Giulia abbia già tradotto due dei miei romanzi. Fin dall’inizio, per il tipo di domande dettagliate che mi faceva (non solo su aspetti linguistici ma anche culturali e narrativi), per la sua sensibilità e il suo impegno, e per il suo spagnolo impeccabile, ho saputo di essere in ottime mani. Per uno scrittore preoccupato per ogni parola e ogni virgola, non c’è nulla di più felice che essere riscritto in un’altra lingua da una traduttrice altrettanto preoccupata per ogni parola e ogni virgola, e per tutto quello che c’è in gioco dietro o oltre queste: il tono, le atmosfere, il ritmo. Spero davvero che Giulia continui a essere lì, dall’altra parte, per molti libri ancora.

Stiamo vivendo anni molto importanti per la costruzione dell’essere umano, momenti che non dovremmo mai dimenticare, soprattutto quando ci rapportiamo a colleghi di lavoro, gente anziana , ai nostri figli, senza mai dimenticare ciò che siamo stati. Rodrigo, che sono per te questi “anni invisibili”?

Non sono sicuro di aver capito la domanda. Ma mi arrischio a dire che, al di là di tutti gli episodi catastrofici e tragici che ci è toccato vivere, questo anno di pandemia ci ha anche spinto a prestare più attenzione. E, per me, l’attenzione è sempre all’origine dei movimenti più significativi e dei cambiamenti più radicali. Siamo stati più attenti che mai ai nostri corpi e alla loro interazione con altri corpi, al funzionamento delle nostre società e delle nostre famiglie, ad alcune delle assurdità di questa modernità così fallimentare, al tempo e alla sua densità. Forse uscirà qualcosa di prezioso anche da questo disastro.

Durante la lettura del romanzo si apprezza una certa generosità verso il lettore: la descrizione di ciascun personaggio ti permette di entrare nella sua vita, infatti puoi vedere con i tuoi occhi Rigo, che attende in cucina e si occupa della pulizia ed dell’ordine della casa. Come sono nati i personaggi?

Come scrittore per me è importante stare il più vicino possibile ai miei personaggi, capire come si confrontano con gli altri e con sé stessi, sapere che cosa si portano dentro. Questa per me è una delle sfide più grandi e difficili. Perché ci vuole tempo per conoscere i personaggi, per vederli in faccia. Quelli degli Anni invisibili li seguo dal mio primo libro, pubblicato ormai quindici anni fa. C’è un racconto su alcuni di loro. Come sono nati? Come piccoli mostri, in buona parte usciti dalla mia esperienza personale, e per il resto dalle mie letture o dalla mia immaginazione, e così via. Sono fatti di scampoli ma sono molto più della somma di questi scampoli, almeno per me.

“Quella che nel libro chiamo Andrea” mette in evidenza altri personaggi che non hanno nome ma che caratterizzano tutto il romanzo e sono DISTANZA e SOLITUDINE… era tua intenzione denunciare un certo vuoto dell’epoca in cui viviamo?

È curioso che tu lo dica, perché la prima versione del romanzo si intitolava proprio La vida a solas. Però il mio proposito era più discreto: non volevo denunciare l’isolamento o la solitudine come fenomeni storici o sociali, desideravo solo dare testimonianza di come i personaggi lottano con quei fantasmi e cosa sono disposti a fare per sfuggirgli. L’adolescenza è un periodo di gran disorientamento e di enorme confusione sentimentale. È anche un periodo di scoperte importanti, che durano tutta la vita. Non so se ci sono riuscito, ma nel romanzo volevo mettere in luce quella strana confluenza di momenti assolutamente intollerabili e assolutamente luminosi.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.