Rosella Postorino, autrice del premio Campiello “Le assaggiatrici”, torna con la sua ultima opera “Mi limitavo ad amare te”, dilaniante testimonianza che arriva da giovani profughi bosniaci: l’autrice ha interrogato “i protagonisti” sviscerando insieme lutto, sopravvivenza e sofferenza accordando i lunghi silenzi della guerra bosniaca dei primi anni Novanta. Pagina nera della Storia che non resta solo scenografia, non è solo sfondo, ma violenza perpetrata tra le pagine di una cronaca stipata nel dimenticatoio, resa qui vivida e letalmente romantica.
L’orfanotrofio pare un salvagente nell’orrore della guerra. Siamo a Sarajevo, gli anni dell’assedio dilatano il tempo e insieme tutte le ferite. Parlano, in “Mi limitavo ad amare te”, le voci dei figli tolti alle madri, strappati dalla stabilità, dalla tenerezza, dalla normalità di una vita serena; è solo un altro strappo, dopo quello primordiale della nascita: è solo il primo taglio che riserva questa sporca guerra.
Tra le anime dell’orfanotrofio, dove i cani randagi abbaiano agli spari, c’è quella di Omar che aspetta disperatamente il ritorno della madre aggrappandosi con tutte le sue forze ad una speranza. “Speranza” è anche il significato intrinseco del nome di Nada, la bambina dagli occhi celesti senza anulare che prova a ricucire lo strappo di Omar.
Romanzo di formazione “Mi limitavo ad amare te” è la grande prova che nessuno si salva da solo, che per sottrarsi al dolore serve sempre una mano nel buio.
Le vite, i traumi, le sopravvivenze di Omar, Sen, Nada e Danilo si intrecciano chiedendoci come si possa vivere senza guardarsi indietro, e ancora di più, senza guardarsi dentro.
“Per caso sono stata testimone del suo dolore, ed è bastato a unirci”.
Non è mai la solitudine orgogliosamente trattenuta e sperimentata che davvero può guarire, ma un dolore che ci assomiglia: un orecchio teso ad ascoltare il racconto delle nostre ferite che, per quanto profonde possano essere, piano vengono richiuse.
È davanti a quest’orecchio teso, a quella mano nel buio, che anche l’infanzia negata e l’amore mancato acquistano finalmente un senso, allontanandosi dalla crudeltà della guerra e della Storia.
I profughi viaggeranno verso l’Italia, una meta che tolga finalmente dalle loro spalle il peso della morte, che possa offrire loro nuove radici. Ognuno di loro, coi suoi lutti e la propria identità insepolta ci insegnerà che apparteniamo ai nostri strappi, che con coraggio e solidarietà verso l’altro possiamo cambiare per davvero facendo pace con le radici “erranti” e usurpate che ci spingono via.
Rosella Postorino vuole dirci con “Mi limitavo ad amare te” questo: Siamo il nostro passato, siamo il nostro dolore. Perché strappati, perché umani.
Giorgia Ruggiero