“Negli anni 80 accettarsi era un percorso da compiere da soli”. La scoperta della sessualità ne “Gli anni incompiuti” di Francesco Falconi

by Marilea Poppa

Gli anni incompiuti” (La Corte Editore) è una storia d’amore, una di quelle che si leggono tutte d’un fiato e che tengono i lettori incollati alle pagine, o per meglio dire agli schermi, considerando il periodo. Marco e Aurora si incontrano in un’occasione speciale, il loro ottavo compleanno che coincide con il 29 Febbraio, una data speciale anche per la narrazione, che procede ogni quattro anni scorrendo tra le vite dei due protagonisti dall’infanzia fino all’età adulta, sullo sfondo degli indimenticabili anni ‘80. Da quella conoscenza fortuita nascerà un’amicizia speciale, che si trasformerà in un amore tormentato, impossibile o irrealizzabile per natura, ma necessario e insostituibile per entrambi.

Francesco Falconi racconta, con una scrittura delicata e toccante, la complessità della crescita, la scoperta della sessualità e l’universo delle relazioni umane abbattendo gli schemi che le condizionano. Il romanzo è stato candidato al Premio Strega 2020 dal docente e scrittore Alessandro Perissinotto.

Bonculture ha intervistato l’autore.

Lei ha scritto di generi diversi, occupandosi di narrativa per ragazzi e di racconti fantasy, prevalentemente. In quale genere riesce a esprimere meglio le sue qualità e per quale motivo ha scelto di tornare, per la seconda volta, alla narrativa?

Non seguo una regola fissa ma dipende dalla storia che ho in mente e da ciò che voglio esprimere, ciò che voglio raccontare. In passato ho iniziato con il genere fantasy, ma in quest’ultimo libro volevo concentrarmi sulla storia dei protagonisti. Mi ero accorto, con le ultime pubblicazioni, che l’elemento fantastico era quasi un corollario, non era più un elemento preponderante come poteva esserlo il dramma della storia dei personaggi. Mi sono dedicato alla narrativa per spostare la mia attenzione dall’elemento fantastico. Non escludo di tornare, in futuro, al genere fantasy.

La storia è collocata nella cornice storica degli anni ’80, un periodo molto delicato per il nostro paese, specialmente per la concezione dell’omosessualità. Ricordiamo la scoperta delle prime malattie sessualmente trasmissibili e la fondazione dell’Arcigay. Perché la scelta di ambientare la storia proprio in un’epoca in cui amori simili erano resi ancor più impossibili?

Buona parte della storia si svolge negli anni 80’, vissuta dai protagonisti nella fase adolescenziale; forse la parte del libro in cui la narrazione acquista più colore. Gli anni 80’ per musica, moda e costume, rappresentano quel decennio che le persone della mia età ricordano con maggiore affetto e nostalgia. Probabilmente perché si tratta di un decennio più colorato e forte rispetto agli anni novanta o duemila. Sicuramente ciò permette di notare meglio il contrasto tra quegli anni e i giorni nostri: la difficoltà di comprendere l’omosessualità e di accettarsi derivava dal fatto che c’era molta solitudine; era un percorso da compiere da soli. Oggi, invece, è possibile avere un confronto molto più ampio, considerando i nuovi mezzi di cui disponiamo, sempre con i rispettivi pro e contro.

Oltre agli eventi storici ripercorsi accuratamente, ci sono i luoghi: dalle risaie grossetane osservate da un finestrino alle piazze e alle vie affollate di Siena e di Roma. I luoghi sembrano rispecchiare l’evoluzione dei protagonisti, la crescita e la perdita di quel senso di protezione che l’infanzia in Toscana custodiva. Quanto incidono le descrizioni di questi luoghi nella narrazione?

Hanno inciso molto e per me è stato molto semplice raccontarli. Volevo concentrarmi sulla crescita di Marco e di Aurora e su questo sentimento così sfaccettato che li univa, collocando la loro storia in luoghi che conoscevo, dove sono cresciuto e dove ho vissuto. Le emozioni sarebbero emerse in maniera meno autentica se avessi scelto un’ambientazione diversa. In qualche modo è stato più semplice riuscire a trasmettere il senso di protezione e la semplicità di Grosseto e della Maremma toscana. Già a Siena i personaggi si avvicinano all’età adulta e quella bolla di ingenuità in cui erano vissuti sino a quel momento si incrina, fino ad arrivare poi alla vita della grande metropoli, che rappresenta la fase adulta, con tutte le difficoltà che essa comporta.

“Gli anni incompiuti” sono quelli che legano Marco e Aurora. I due si amano, ma la natura pone una barriera tra loro. Marco non accetterà mai del tutto la sua omosessualità; Aurora, invece, il rifiuto e la mancata corrispondenza di un sentimento nato sin dalla tenera età. Gli anni incompiuti che trascorrono insieme sono sinonimo di un’incompletezza nella vita di entrambi?

Il romanzo viene scritto durante gli anni compiuti, cioè gli anni bisesti, lasciando al lettore la possibilità di immaginare cosa accade nei tre anni di gap tra un racconto e l’altro, che appunto sono i cosiddetti anni incompiuti. L’aggettivo incompiuti rispecchia in parte un senso di incompletezza visto che il legame così forte che li unisce non potrà mai compiersi, per natura, da entrambi i lati. Credo che il percorso di Marco giungerà a compimento soltanto quando accetterà la sua omosessualità e quando riuscirà a  raccontare la sua storia a Frida (sua figlia), ormai in età adulta.

Marco troverà l’amore di un uomo, Emiliano, che gli dice:” la vita non è bianco o nero, Marco. C’è un infinito di grigi nel mezzo. Noi siamo soltanto una di quelle sfumature. Ognuno lo è. Dobbiamo trovare solo quale grigio ci rende felici. Io l’ho trovato, ma non è stato facile. E tu, quando comincerai a cercarlo?” è una frase che pone Marco di fronte a una verità che, per quanto dura da riconoscere, è inevitabile. La vita è una continua ricerca del grigio perfetto?

In un certo senso sì, lo è. Oggi più che mai siamo costretti ad esprimerci, a prendere una posizione, a garantire una certezza, sui social e nella vita reale. Risulta molto più difficile rispondere con un semplice “non lo so”. Il “non lo so” rappresenta qualcosa che non è né bianco né nero. Come le complesse sfaccettature della vita, anche la sessualità, secondo me, non può essere categorizzata. Non esistono eterosessuali oppure omosessuali, così come non è possibile separare in maniera netta l’amore spirituale da quello carnale. È tutta una sfumatura di colore grigio che riesce ad amalgamare questi sentimenti.

Lei dice che il sentimento amoroso può generare un’ intolleranza, un odio che ci acceca, portandoci ad offendere e a puntare il dito anche contro chi diciamo di amare. Quanto è labile il confine tra questi sentimenti così contrastanti?

Quando vi sono sentimenti così intensi è molto difficile tracciare e definire confini, per cui è facile passare dal bene al male, dall’amore all’odio. Quello di Aurora nei confronti di Marco non credo sia un vero e proprio odio, ma una forte frustrazione nel sapere che l’amore fisico non potrà mai essere ricambiato.
Tuttavia penso che l’odio, nella loro storia, non sia dettato dall’amore.

La sessualità, come dice, è ancora inglobata in schemi sociali opprimenti?

Nella nostra società vi sono ancora tabù che pongono dei paletti nel nostro modo di vivere la sessualità, cosa che non dovrebbe accadere. La paura del diverso e la paura dell’ignoranza ci spingono a rispondere con l’odio. Penso che quando ignoriamo qualcosa inevitabilmente tendiamo a stigmatizzarla, motivo per il quale assistiamo a fenomeni come l’omofobia, il sessismo.

La sua storia è stata paragonata a una trama avvincente come quella di un film di Özpetek. E’ d’accordo con questo paragone? Ha immaginato una trasposizione cinematrografica per il suo romanzo?
Özpetek è un regista che apprezzo, ma paragonarmi a lui mi sembra un po’ azzardato (ride). Il suo modo di scandagliare l’animo umano può essere un punto di contatto in comune. Il desiderio c’è, come anche il timore che la riduzione scenografica possa cambiare quello che è il senso del libro. “Gli anni incompiuti” potrebbe diventare una sceneggiatura soprattutto per i tanti spunti d’interesse che offre.

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