Nell’oceano del complottismo. Bianchi: «I momenti di crisi sono sempre accompagnati da una grande fioritura di teorie del complotto»

by Felice Sblendorio

Nel suo precedente libro, “La gente”, Leonardo Bianchi, news editor di Vice Italia, aveva tratteggiato e indagato le caratteristiche del “gentismo” italiano. Più di un populismo casereccio, quasi un credo: i fatti sorpassati dall’emotività, l’irrazionale sul razionale, gli incubi privati a regolare il collettivo, il complottismo come lente finale per decifrare il presente. Dopo alcuni anni da quel libro che aveva intuito l’orizzonte di marcia del Paese, Bianchi ritorna con un bel saggio sul tema del complottismo: “Complotti. Da Qanon alla pandemia, cronache dal mondo capovolto” (minimum fax, 323 pagine, 18 euro).

Con il suo stile da palombaro nel grande oceano del complottismo, il giornalista racconta storie di grandi complotti e cerca di decifrare la natura e le caratteristiche di un fenomeno che sembra essere scoppiato come reazione oppositiva al crescente disordine mondiale. Partendo dalle marginalità sociali, Bianchi riesce a raccontare e capire il centro, il fulcro delle cose. Che, in questo caso, è il tema della verità. Credere o non credere: cosa? E a chi? Pasolini scriveva che il complotto ci fa delirare. E «ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità». bonculture ha intervistato Leonardo Bianchi.

Le teorie del complotto hanno radici solide nel corso della storia. Perché, oggi, hanno ritrovato forza, legittimità, presa?

Le teorie del complotto sono un fenomeno endemico che ha attraversato ogni epoca della modernità. Di più: fino agli inizi del Novecento era assolutamente normale credere in una teoria del complotto, e spesso queste coincidevano con la spiegazione ufficiale di un evento. Le cose sono cambiate dopo la Seconda guerra mondiale e l’orrore della Shoah, alimentata anche dal cospirazionismo antisemita basato in larga parte sui Protocolli dei Savi di Sion. In quel frangente storico le teorie del complotto sono così diventate una forma di conoscenza stigmatizzata e totalmente rigettata dalle autorità. Oggi, secondo la tesi del professore Michael Butter, siamo in una fase di coesistenza: le teorie del complotto sono simultaneamente rigettate da una parte della popolazione, e accettate da un’altra. Questo è successo soprattutto grazie ai grandi cambiamenti intercorsi nell’ambito della comunicazione e in quello più prettamente politico, con l’ascesa di leader e partiti della destra populista radicale che hanno normalizzato e legittimato il complottismo.

I complotti si rincorrono nei momenti complessi del nostro tempo. Una pandemia, da questo punto di vista, rappresenta una tempesta perfetta. Lei lo chiama «Rinascimento complottista».

I momenti di crisi sono sempre stati accompagnati da una grande fioritura di teorie del complotto. Secondo l’analisi fatta dai politologi Joseph Uscinski e Joseph Parent in American Conspiracy Theories, infatti, i picchi complottisti si sono registrati tra la fine dell’Ottocento e all’inizio della Guerra Fredda. La pandemia di Covid-19 è indubbiamente un momento di cesura, in cui milioni di persone sono alla ricerca di una spiegazione – una qualsiasi – e di un capro espiatorio per cercare di razionalizzare l’enormità di quello che è successo. Le teorie del complotto hanno avuto una specie di “rinascimento” proprio perché puntano a offrire risposte semplici a problemi estremamente complessi, per i quali non esiste una facile soluzione.

Alcune teorie del complotto partono da frammenti di verità. Qual è l’amalgama perfetta per una teoria convincente?

A parte teorie come quella sulla terra piatta, il cospirazionismo politico parte sempre da un nucleo di verità o dall’osservazione empirica della realtà. Un esempio in tal senso è la teoria delle scie chimiche: tutti vediamo nel cielo le scie di condensazione lasciate dagli aerei – e si tratta di un fenomeno tutt’altro che strano e inspiegato. Se ne vediamo di più, inoltre, è perché negli ultimi vent’anni i voli civili sono letteralmente esplosi in tutto il mondo. E sappiamo anche che l’industria aeronautica è una delle più inquinanti, quindi è lecito essere preoccupati.

Dunque?

Chi crede nelle scie chimiche osserva lo stesso fenomeno e magari ha le stesse preoccupazioni, ma arriva a conclusioni sballate: dietro alla comparsa delle scie ci sarebbe un piano ordito a tavolino da oscuri “poteri forti” per lavarci il cervello, o cose di questo genere. In questo modo però non si arriverà mai ad occuparsi dei veri problemi, che sono la deregulation del settore e ovviamente la responsabilità dell’uomo nella crisi climatica.

Perché, a volte, le teorie del complotto sembrano essere inconfutabili?

Perché è una delle caratteristiche principali delle teorie del complotto. Il loro meccanismo è stato efficacemente riassunto da Rob Brotherton nel saggio Menti sospettose: “Se sembra un complotto, significa che era un complotto. Se non sembra un complotto, era sicuramente un complotto. Le prove contro la teoria del complotto diventano prove del complotto”.

La competenza e il sapere in questa lotta cosa diventano? Come possono rivendicare la propria credibilità rispetto alle verità alternative?

La questione è molto più spinosa di quello che può apparire a prima vista. La vulgata generale sostiene che i complottisti siano dei mattoidi ai margini della società, con un basso livello di istruzione e in preda all’irrazionalità. Ma le ricerche più recenti hanno smontato questo assunto: la propensione a credere in una teoria del complotto è universale, e coinvolge anche i “competenti”. Non dimentichiamo che la teoria antivaccinista più famigerata degli ultimi decenni, quella che collega i vaccini all’autismo, è apparsa per la prima volta in uno studio pubblicato sulla più importante rivista scientifica al mondo, ossia Lancet. Ci sono voluti molti anni a smascherarla, depotenziarla e renderla meno dannosa, ed è servito uno sforzo collettivo da parte di giornalisti, scienziati, divulgatori e decisori politici.

I complottisti cercano insieme di “ordinare” questo mondo così caotico. Si può considerare questo attivismo come una forma di partecipazione politica, un’aggregazione sociale?

Può essere entrambe – dipende da come si sviluppa una teoria del complotto, e come viene interpretata da chi ci crede. Con QAnon, il movimento complottista convinto (tra le varie cose) che sia in corso una guerra segreta tra Donald Trump e i “patrioti” contro una “cricca” di pedofili satanisti, questa dinamica emerge in maniera netta: molti seguaci ci sono finiti dentro perché si ritenevano esclusi dalla vita pubblica, oppure perché nutrivano una forte sfiducia nel sistema partitico e istituzionale. Al tempo stesso, aderire a QAnon è anche un modo di stare insieme ai propri simili. Una delle attrattive del complottismo è proprio quella di dividere il mondo in campi ben separati: da un lato ci siamo noi, i cercatori della verità, e dall’altro ci sono loro, che fanno di tutto per nasconderla.

Come si struttura e come si entra nell’universo del complottismo? Sembra essere una rete stratificata, con più livelli di ingresso.

Non si diventa complottisti dalla mattina alla sera, chiaramente. Si entra nella cosiddetta “tana del Bianconiglio” per gradi, un poco alla volta, spinti da tanti fattori diversi: il nostro status sociale, le nostre esperienze di vita, il nostro orientamento politico, e talvolta anche per l’influenza di un familiare. Il complottismo è una rete che si autosostiene e crea costantemente connessioni al proprio interno; per questo motivo non si crede mai in una singola teoria del complotto, ma si prende il pacchetto completo.

Quanto è difficile dissociarsi da quel mondo? Si riesce sempre a comprendere l’inganno, ad accorgersi della fallacia di queste credenze?

È estremamente difficile. Se entrare dentro l’universo complottista è un processo, lo è anche uscire – ed è un processo lungo, tortuoso, pieno di difficoltà, che non si può intraprendere da soli. Rinunciare a una credenza complottista su cui si è investito molto, inoltre, equivale a sconfessare il proprio sistema di valori. In alcuni casi è come se ti crollasse il mondo addosso. Spesso e volentieri, infatti, scatta la dissonanza cognitiva: invece di ammettere di essersi sbagliati, si abbraccia con ancora più convinzione una teoria fallace.

I complottisti non sono solamente folcloristici, spesso ridicoli, a volte fuori dal tempo. Sono anche pericolosi, violenti…

Fortunatamente lo è solo una piccolissima parte, nella stragrande maggioranza dei casi quella che crede a teorie del complotto di estrema destra. Negli ultimi anni è specialmente una ad aver fatto danni e vittime: quella della “sostituzione etnica” o del “genocidio dei bianchi”. La teoria sostiene che i flussi migratori non siano il risultato di complesse cause geopolitiche, sociali e climatiche, ma una strategia di annientamento dei “popoli autoctoni” europei e statunitensi (cioè i bianchi “ariani” e cristiani) pianificata da “élite globaliste” (che è una parola in codice per dire “ebrei”). Il manifesto dell’attentatore neonazista di Christchurch si chiamava proprio “The Great Replacement”, ma va sottolineato che non è stato di certo l’unico ad averla fatta propria. L’aspetto più preoccupante di questa teoria è che ormai si tratta di un concetto sdoganato da partiti istituzionali e leader della destra più o meno istituzionale, che l’hanno rilanciata più e più volte con irresponsabile nonchalance.

Cita le parole di Jolanda Jetten: «Il cospirazionismo è un’esperienza totalizzante, da cui è molto faticoso affrancarsi». Come si dialoga con i complottisti? Come si scardinano le loro teorie?

Dialogare con chi crede in una teoria del complotto può essere estenuante e frustrante, e non ci sono garanzie di successo; il complottismo suscita emozioni molto forti, ed è facile che una discussione degeneri. Di sicuro bisogna evitare di ridicolizzare o insultare i complottisti, sebbene a volte l’impulso a farlo sia davvero forte. Per il resto il debunking rimane un’operazione fondamentale: ma arriva fino a un certo punto, e non scalfisce affatto i complottisti – anzi, li fa arroccare e può rinforzare le loro posizioni. Secondo gli esperti la vera differenza la fanno l’empatia e l’ascolto, specialmente nei confronti di amici, parenti e familiari suggestionati dalle teorie cospirative. In generale, l’importante è sapere che non esiste una bacchetta magica, né una “pillola rossa”, né un rimedio universale. Con il complottismo, insomma, dovremo convivere ancora a lungo.

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