“Ogni storia di lettura è la storia di una dipendenza”, la grande invasione del Festival della lettura di Ivrea

by redazione

Non potrebbe esserci impresa più ardua che quella di salvare un’istantanea, una soltanto, tra le tante scattate nel corso di quest’edizione post-covid de La Grande Invasione – Festival della lettura tenutosi a Ivrea dal 28 al 30 agosto scorsi. Si nota tra gli scatti: Tito Faraci, re del riso e del fumetto, camminare tra le vie del centro con fare sconsolato e ombrello sottobraccio; Valeria Parrella, noncurante delle condizione metereologiche avverse, bloccare il camminar spedito dei piemontesi per scattarsi un selfie con Maddalena Cazzaniga in mezzo alla folla; ancora lei qualche ora più tardi, d’oro vestita, riscaldare un teatro con la lettura del suo monologo “Ciao maschio”; Simonetta Sciandivasci e Francesco Costa seduti come studenti liceali al bar in attesa che l’insegnante severo li prelevi per l’interrogazione; e poi i dimenticati, gli interessati, i tamarri e i turisti che invadono una città, Ivrea, abile nel muoversi in quell’unica coordinata concessaci dalla pandemia – lo spazio – e capace di ricostruire un tempo, il tempo che ci era stato sottratto: il tempo dell’insieme.

Sono tante le parole sentite, rubate, appuntate, dimenticate, in un festival costellato da così tanti, e tanto grandi, nomi, che una volta riprese in mano le note, le agende, i post-it stropicciati, pare impossibile tramutare quel caos in una geografia composita e si finisce a rileggere disordinatamente quel fardello incomprensibile fino a quando una citazione, ormai dimenticata, cattura lo sguardo, e mette a tacere il resto: ogni storia di lettura è la storia di una dipendenza.

Teatro Giacosa, interno notte.

Sul palco due poltrone di velluto rosso su fondale nero, un appaluso del pubblico presente e non pagante accoglie l’entrata in scena di Claudia Durastanti e Nadia Terranova, lì per raccontare agli interessati la loro carriera da lettrici. Ad accomunarle: le origini meridionali – l’una cresciuta in Basilicata, l’altra figlia di uno Stretto che sempre si porta con sé –, una passione equilibrata per Pavese, smodata per qualsivoglia paio di scarpe, la candidatura a un Premio Strega e un’eleganza sobria, raffinata, d’altri tempi.

È Durastanti a rompere il ghiaccio e per farlo torna ad abitare i luoghi deserti della sua infanzia: “Non c’erano fiabe o filastrocche, c’è stato il fumetto prima e il libro derivato – da mia madre – poi: libri musicali, Beat generation, tantissima letteratura americana, racconti di strada e rinnegati che leggevo marinando scuola. Il testo che per primo ha scartavetrato la mia immaginazione è Ultima fermata a Brooklyn di Selby Jr., ancora di mia madre. Arrivarono poi i libri rubati nella biblioteca del paese, ricchissima certo, ma comunque un deposito limitato che ancora non mi permetteva una scelta libera, lessi così “Lolita”, “Cime Tempestose” e “Cronache di ordinaria follia”. Più tardi scoprii i classici e infine la scelta. Lavoravo come standista al Palazzo dei Congressi a Roma, zona EUR, mi serviva un libro che m’impegnasse il tempo vuoto di quei giorni e comprai “”Underworld” di De Lillo, attratta da quella sua mole infinita. Temevo di trovarmi davanti a un libro padre, e invece scoprii un’opera complessa, la cosa che si avvicina di più alla Bibbia, che per me da laica americana è “Foglie d’erba” di Whitman. Non è un libro sulla paranoia, ma un racconto sul gettare, sullo smaltire e sul baseball, sport che tra l’altro profondamente detesto. È un libro sull’emozione che accompagna l’attesa di un evento.”

Terranova prosegue migrando verso i tempi mossi dell’adolescenza: “È notte, una casa al mare, ci sono una figlia, una madre e un’amica della figlia, la madre e l’amica chiacchierano riguardo vicende amorose e sentimentali tutte più pensate che avute, la figlia si estromette perché deve finire un libro. Dopo poco tempo l’amica e la madre accorrono a consolare la ragazza, scoppiata in un pianto inconsolabile. Ero io quella ragazza, avevo appena finito “La Storia” di Elsa Morante. Uno dei dieci libri che la professoressa di lettere ci aveva consigliato per l’estate, un libro che la stessa Morante volle vendere in edizione economica e per questo si tirò dietro la sciagura dell’essere popolare. Mi ricordo che la copia che lessi riportava in copertina ancora il titolo originale: Uno scandalo che dura da 10.000 anni. Scandalo dal greco offesa, molestia. La storia come offesa che viene portata dentro, e la molestai che compiamo noi umani alla storia con la nostra esistenza.”

La carriera da lettrice di Durastanti prosegue con i libri in cui ci si identifica e i libri in cui si ricerca distanti da ciò che si è, tra questi: “L’ora della stelladi Clarice Lispector, poco conosciuta in Italia ma considerata la maggior narratrice brasiliana del Novecento. “Un ‘opera barocca (l’incipit è magnetico: Il mondo inizia con un sì) che lessi in lingua originale, il portoghese, pur non conoscendone una parola. Capii poco e nulla, non era che suono. Donne che salvano donne, qui si apre il duetto, quando Nadia presenta “Le poesie” di Anne Sexton e Claudia ricorda degli incontri tra la poetessa e Sylvia Plath: “si ritrovavano davanti a un cocktail e una bistecca cruda a discutere riguardo i modi in cui sarebbero morte.”

Le voci frantumate di donne torturate da una vita che non hanno mai capito, e non le ha mai capite. Donne che risplendono, ora più vive e forti che mai, in ciò che ne resta e nelle parole giuste di due scrittrici, e prima ancora intellettuali, così potenti.

Terranova presenta poi “L’ordine simbolicodella madre di Luisa Muraro, un saggio letto recentemente ma non per questo meno importante, anzi capace di dimostrarle ancora una volta il potere immortale della lettura prima e della scrittura poi. “Quando un libro ti mette a soqquadro, ti interroga e capovolge tutto quello che hai scritto, capisci che qualcosa può continuare a spostarsi sino alla fine.”

Affiora tra gli appunti: noi siamo i libri non letti.

A dirlo è Durastanti che chiude l’incontro parlando de “L’educazione sentimentale” di Flaubert, un classico sempre evitato per il ricordo antipatico che la serie tv Dawson’s Creek e i film di Woody Allen le avevano appiccicato addosso. Una volta preso in mano quest’estate ha pensato, ancora una volta, a quanto vorrebbe leggerne una versione raccontata dalla controparte femminile. “Ho riscoperto un classico. Io che i classici li conobbi finanziando forme di lavoro che avevano a che fare con una dipendenza: compravo, infatti, edizioni rilegate e stampate da cooperative sociali dove spesso trovavano lavoro tossicodipendenti. E così se Foster Wallace diceva che ogni storia d’amore è una storia di fantasmi, io potrei dire che ogni storia di lettura è la storia di una dipendenza.”

Nicolò Bellon

PH Alessandro Franzetti

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