Perché tutti i bambini dovrebbero leggere “Tante storie per giocare ” di Gianni Rodari

by Paola Manno

Di tutti i regali della mia infanzia, di due conservo il ricordo. La poesia del mio compagno di classe Francesco, a 8 anni, che mi incantò con le parole “cuore ” e “arcobaleno”, anche queste, francamente, le più antiche difficili del mondo. Poi, “Tante storie per giocare”, raccolta di racconti che mi hanno spalancato il mondo su un autore, Gianni Rodari, che è nel mio cuore non soltanto perché è stato il primo della mia educazione letteraria, ma perché resta un grande amore anche dopo aver letto decine e decine di scrittori.

Sono cresciuta, come gran parte dei bambini della mia generazione, insieme ad Alice Cascherina, Giovannino Perdigiorno e le decine di personaggi nati dalla penna di questo autore dalla fantasia inesauribile, dallo stile diretto e dai versi profondissimi. Perché se te lo dicono a 8 anni che “ci sono cose da non fare mai: né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra” e ancora “bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi”, finisce che al messaggio non puoi che crederci davvero.

Ci sono racconti che ogni tanto rileggo ai miei bambini che oggi hanno libri colorati e moltissimi autori –grazie al cielo!- che si dedicano alla letteratura dell’infanzia. Eppure, Rodari (nato nel 1920!) non ha ancora smesso di dire quello che ha da dire e continua ad affascinare anche i ragazzini abituati a tablet e tv. Non mi stupisce, tuttavia: è l’autore che venne scomunicato nel 1951 per il suo “Il manuale del pioniere”, le cui copie venivano bruciate negli oratori, ma le cui opere sono state tradotte in tutto il mondo e diventate ormai un classico della letteratura di genere.

La parte più interessante di “Tante storie per giocare”, edito per la prima volta nel 1971, è che le storie sono aperte a tre diversi finali, ed è il lettore a scegliere quello che preferisce. “Voci di notte” è un racconto il cui protagonista è un vecchietto molto buono che, una notte, non riesce a prender sonno perché sente la voce di qualcuno che si lamenta. E’ un suono che sembra provenire da vicino, così l’anziano decide di uscire e cercare per le strade attigue la persona sofferente. Gira e rigira, si imbatte finalmente nella figura di un uomo malato al riparo sotto un portone, che ha freddo, che soffre la solitudine. Il buon vecchietto lo invita a casa sua, gli tiene compagnia e il giorno dopo lo accompagna in ospedale.

La notte dopo, prima di addormentarsi, è un’altra voce a tenerlo sveglio, a convincerlo ad infilarsi il cappotto alla ricerca del dolente. Questa volta la voce viene da più lontano e l’anziano si ritrova in un altro paese, di fronte a una mamma che ha bisogno di un dottore per il suo bambino.

Così, notte dopo notte, l’anziano continua a sentire altri lamenti, continua ad alzarsi e camminare per le strade del mondo e ritrovarsi di fronte a famiglie che hanno perduto la casa a causa della guerra, a uomini soli, a persone che conoscono il dolore. Finché un giorno…. PRIMO FINALE: Il vecchietto, a furia di andarsene in giro tutte le notti, non riesce più a riposare ed è talmente stanco che a un certo punto decide di comprarsi un paio di tappi per le orecchie, da utilizzare solo per un po’… un giorno sì e uno no, o forse qualche giorno in più…dopo un mese, il vecchietto toglie i tappi, ma a quel punto le voci non le sente proprio più… TERZO FINALE: questo è il finale che scelsi a 8 anni, e che mi torna in mente spesso, ed è il finale che non c’è, perché è il giorno in cui nessuna voce viene più sentita perché nessuno al mondo soffre più. Ma è un giorno lontano lontano e il vecchietto non lo vivrà mai. Nel frattempo continua ad infilarsi il cappotto, tutte le notti, perché “quello che va fatto va fatto, sempre, senza perdere la speranza”. Il SECONDO FINALE, a dire il vero, non lo ricordavo più, fino a ieri, quando ho riletto la storia e ho capito perché. Nel secondo finale il vecchietto continua ad uscire di notte, ma a un certo punto tutto questo movimento inizia a far destare dei sospetti ai suoi vicini – Dove andrà tutte le notti? Una sera, in un appartamento non lontano, avviene un furto. L’anziano è accusato e rinchiuso in prigione. In cella, ogni notte, il vecchietto chiude gli occhi e ascolta il pianto dell’altro, e piange, perché non può andare ad aiutarlo…

Che brutto finale, talmente brutto che non può essere vero! A questo avrò pensato, quando l’ho rimosso.

Eppure quel vecchietto rinchiuso dentro a una prigione è il personaggio, io credo, più intenso e più vero dei tre finali. Di uomini buoni con i tappi nelle orecchie ne è pieno il mondo: assuefatti al dolore altrui, stanchi, rassegnati, diventati insensibili perché vivere con il pianto sul cuore è insopportabile. Di eroi che escono ogni notte a combattere contro i mulini del male, invece, ce ne sono ben pochi, ma sono loro a tenere alte le torce nel buio. Gli altri, quelli rinchiusi nelle galere dall’odio altrui, a me sembrano i più eroici. Privati della libertà di fare, riescono ancora ad ascoltare le voci e a provare amore.

Tutti i bambini dovrebbero leggere oggi “Voci di notte” e anche ai grandi, sono sicura, farebbe un gran bene.

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