Pinocchio e la libertà di Gek Tessaro di cambiare finale al testo di Collodi

by La Magna Capitana

Tra gli ospiti più amati e seguiti di questa 11° edizione del Buck Festival – Festival della Letteratura per ragazzi di Foggia – tutta dedicata ai classici, vi è stato Gek Tessaro, che ha proposto il suo Pinocchio.

Il libro, edito da Lapis Edizioni (2017), è un bel volume corposo, con la copertina rigida ma di carta “grezza” che ricorda i vecchi testi rilegati a mano con carta da pacchi che poi le madri abbellivano con qualche piccola decorazione. È una rivisitazione audace, per alcuni versi irriverente, del Pinocchio che tutti conosciamo e tutti abbiamo amato.

Il testo

L’autore osa una riscrittura della storia tra le più note al mondo, e si prende la libertà di cambiarne il finale. Non taglia nulla dell’originale, ma lima, “asciuga” il testo di tutto quello che potrebbe rendere le vicende del burattino lontane dai noi e dal nostro presente. Un’operazione discutibile, forse per alcuni irrispettosa, che certamente ha creato stupore e qualche perplessità tra gli amanti dei classici e i lettori meno giovani.

Come ci racconta lo stesso Tessaro nella sua premessa al libro, dal titolo significativo Metto le mani avanti:

Molti giganti l’hanno illustrato, ma avendo un minimo di pudore e di rispetto si sono ben guardati dall’intervenire sul testo. Il risultato (e qui azzardo un’ipotesi temeraria e forse discutibile) è che poi si osservano, si amano le figure, ma si sorvola su quel che sta scritto.

Dunque, l’esigenza dell’autore pare essere soprattutto quella di rendere la narrazione aderente al tempo che abitiamo, cucita addosso ai nostri lettori più piccoli ma anche a chi con i bambini ha a che fare, in modo che questa storia arrivi presto, arrivi dritta e tutta intera, senza colpe da espiare e malefatte da punire, e che resti impressa.

La prima volta che l’ho letto, di tutte le sciagure che lo vedevano protagonista, quella che più mi ha colpito è stata l’immagine finale del burattino, morto, buttato su una sedia, rinnegato e deriso dal nuovo Pinocchio. […] La trasformazione di Pinocchio in ragazzo ha un costo altissimo: la perdita di sé, la sua identità. […] Così, di fronte a questo ragazzo bello, ricco, e ubbidiente, che è appena comparso e già sembra insopportabile, mi sono preso il privilegio di liberare Pinocchio dalla necessità di essere “normale”. Come tanti lettori, anch’io ho spesso desiderato poter intervenire in favore del mio eroe. E l’ho fatto.

Questo è un libro che ha spessore e bellezza in sé e in questo senso va considerato. Non va giudicato nel confronto con il Pinocchio originale, ma in quanto opera nuova.

Tessaro parteggia, cosa che pochi sembrano saper fare ultimamente, e senza mediare si assume la responsabilità di stare dalla parte del burattino, sottrae alle sua sorte la colpevolizzazione, le mortificazioni, il confronto – che lo vedeva perdente – tra un pezzo di legno rigido, sciupato e sporco, e un bambino vero, con la carne rosea, morbida e fresca, e decide da che parte stare, consapevolmente: Pinocchio resta burattino.

È un Pinocchio rivoluzionario e poetico, questo di Tessaro, non solo nella rivisitazione del testo, ma anche nell’illustrazione: nelle immagini a colori o in quelle in chiaro scuro, il burattino è sempre bianco, come una sagomina di carta ritagliata e posta su uno sfondo sempre diverso, che non gli appartiene del tutto. Forse perché è diverso da tutti, è unico, e il contesto nel quale di volta in volta capita non scalfirà la sua essenza. Le sue mani, poi, sono decisamente grandi, quasi sproporzionate, delle manone accoglienti e vibranti, ché forse è proprio con quelle che scegliamo, schiviamo pericoli, ci proteggiamo, costruiamo il nostro destino.

Quel che arriva a noi è un’immagine certamente diversa dal Pinocchio a cui siamo abituati, che però non ha perso niente della sua identità e che non fatichiamo a riconoscere.

Lo spettacolo

Il Pinocchio di Gek Tessaro è anche uno spettacolo teatrale per piccoli e grandi, con la regia dello stesso autore insieme a Lella Marazzini, sua compagna nella vita e nell’arte. In scena, sul palco, di fronte a platee ricche di bambini di tutte le età, Pinocchio esce finalmente dalle pagine, narrazione e immagine si fondono e il racconto prende corpo.

La poesia dei suoi disegni dal vivo, l’emozione del gesto nel momento stesso in cui nasce e diventa segno, la musica che al gesto si fonde, la presenza in scena dell’autore che con mani agili e sicure crea i personaggi, restituisce vita e tridimensionalità a una delle fiabe più belle di tutti i tempi. Un percorso suggestivo che diventa anche omaggio a Fiorenzo Carpi, autore della colonna sonora dell’indimenticabile Pinocchio di Comencini.

Le figure, realizzate su una lavagna luminosa con tecniche pittoriche diverse, diventano scenografie originali e bizzarre e, allo stesso tempo, sono le protagoniste assolute della performance, e creano un’atmosfera magica dentro la quale lo spettatore si perde.

Siamo grati a chi compie gesti intellettualmente coraggiosi. Sono queste piccole ribellioni pacifiche che incidono su modi di pensare consolidati e che mutano con delicatezza il modo in cui ci approcciamo alle cose.

Roberta Pilar Jarussi

bibliotecaria

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