Questo Spentoevo, nei versi scarni e sgranati di Gianfranco Lauretano il suono precede e determina il senso dentro l’universo poetico di Giorgio Caproni

by Giammarco Di Biase

Esce per Graphe.it Edizioni, nella collana “Le mancuspie” diretta dal poeta Antonio Bux, la nuova silloge di Gianfranco Lauretano: Questo Spentoevo.  Nel suo percorso artistico Lauretano ha pubblicato diversi volumi monografici su Cesare Pavese, Guido Gozzano e Beppe Fenoglio (ricordiamo solo alcuni dei ritratti apologetici dello scrittore di Cesena, che ha sempre comparato l’originalità del suo versificare alla letteratura e alla poesia dei più grandi maestri del passato) e tradotto Il cavaliere di bronzo di Alexsandr S. Puskin e La pietra di Osip Mandel’stam.

Difatti, in tutta la buona poesia vi è un incontro con le lingue dei grandi poeti che ci hanno preceduto e, in “Questo Spentoevo”, Lauretano affronta l’esperienza della “musica nascosta delle parole” encomiando uno degli ierofanti della poesia del nostro Novecento, Giorgio Caproni, ritraendone tra prime pagine a mo’ di esergo un ritratto a carboncino.

Non ho scritto altro che d’amore

Non ho scritto altro che d’amore
non perché ne sia capace
ma perché percuote le mie ore
mi modella l’espressione della faccia
mi fa stare e andarmene in pace
nella guerra del mondo.
Anzi l’amore si scrive e si legge
da solo, unico artista
io mi godo la rappresentazione
da protagonista.

In questa sorta di “ermeneutica delle fonti” riflettente, di “litografia scanzonata”, Lauretano, tra gli autori e i critici più audaci del nostro tempo, si muove guardingo e attento rispetto alle catene di cui si nutre l’imitazione, il semplice e smanioso elogio. Anzi, con eclettica irrequietezza lascia “accadere” nelle sue partiture il mistero della vera possessione senza ridurre il suo “celebrato” ad una mera contaminazione. Su questo contraltare, il poeta romagnolo, non offre soltanto uno specchio di modelli riflessi verso un canone già visto ma riqualifica e compone un vero controcanto, una vera e propria trasformazione della partitura originaria. Cosicché, nella sua nuova racconta, sembra apparirci davanti all’improvviso l’animo armonico, salace e arguto di Giorgio Caproni ma anche un’originale esplorazione dell’universo poetico.

Togliti dalla lontananza

Togliti dalla lontananza
vieni, entra nella stanza.
Fallo tu perché i muscoli
non rispondono, non riesco
a dare ordini e non ho più
ricordi di bellezza. Vieni
in virtù di queste braccia
tese, come una brezza
fanne ali stese, madre
mia ti supplico col residuo
di energia disperdi la paralisi
che mi strazia e tienimi in quel
grembo pieno di grazia.

Nel suo lavoro originale e di rammendo, Laureano riallaccia il suo verso all’opera del poeta livornese accostandosi ai titoli danteschi, tra i più riusciti ed eversivi della poetica di Caproni. E’ udibile, in “Questo Spentoevo”, soprattutto la speciale interferenza con il secondo titolo dantesco dell’opera caproniana, “Il muro della terra”,uscito nel 1975, che rimanda ad un ostacolo opprimente e impenetrabile al di là del quale si aprono terre e ere sconosciute. Al vuoto e al deserto di questi «luoghi non giurisdizionali» corrisponde una versificazione scarna e sgranata dove il suono precede e talvolta determina il senso. Questo spentoevo sta finendo/in un evento che si desta/alza la testa e smette il sonno./Un’era veramente nuova/lo segue fedelmente/era che fu grande/sonnecchiante sottocenere/mentre il fuoco ripuliva.

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