R4 e la pazienza dei libri

by Francesco Berlingieri

L’ho cominciato, a letto, che mancava più di un mese a Natale.
L’ho finito oggi pomeriggio, a quasi un mese dalla Pentecoste. Che neanche il letto è rimasto lo stesso. Già, perché R4 di Paolo Trellini è stato, tra le altre cose, il libro del mio trasloco. Mi ha osservato riempire scatoloni e poi vi è finito dentro, per riemergere altrove e, senza spaesarsi più di tanto, continuare a raccontarmi la storia di una macchina che contiene un mondo. O la storia del mondo attraverso la storia di una macchina. E non si è ingelosito dei miei continui tradimenti, dei vari McAllister, Arriaga, Keefe, McCann, Osman presi, cominciati e finiti nel frattempo. Non credo che li abbia neppure percepiti come tali, in realtà. Si è dimostrato, piuttosto, un compagno paziente, consapevole di non prestarsi ad una lettura vorace, famelica, ma – per sua stessa suddivisione in capitoli brevi – ad essere più volte esplorato, lasciato – anche per lunghi periodi – e ripreso. Senza mai farti perdere il filo. Senza mai chiederti di tornare sui tuoi passi.

La storia è questa: ci sono questi due bimbetti delle elementari che subiscono gli scherzi feroci dei loro compagni di scuola. Diventano amici. Uno di cognome fa Citroen e l’altro Renault. Da grandi si appassionano di meccanica e velocità. Frequentano un bar dove se la fa Toulouse-Lautrec e dove è ancora vivo Paul Verlaine. Costruiscono prototipi, fanno automobili mentre tutti in Europa si domandano perché mai creare una cosa tanto futile quando la natura ci ha donato i cavalli. Fanno corse da Berlino a Madrid quando il pilota era anche il costruttore, il gommista e il meccanico del proprio mezzo. E spesso il medico condotto del proprio corpo accidentato. Impiantano officine e vendono i loro manufatti porta a porta ai vezzosi cicisbei della Belle epoque. Poi Gavrilo Princip, in quel di Sarajevo, abbatte Francesco Ferdinando e la duchessa di Hohenberg. E i taxi della Renault portano 6mila francesi in faccia ai tedeschi, sulla linea del fronte. E poi la fabbrica, la coscienza di classe, il sindacato, le lotte; e Ford e Hitler e Gianni Agnelli; la Resistenza di Parigi e Feltrinelli, che con la sua Citroen, torna da Berlino con il manoscritto del Dottor Zivago. E così via fino al sequestro di Aldo Moro e al ritrovamento del suo cadavere in una R4 in Via Caetani, attraverso una miriade di incastri, coincidenze e incontri che non puoi, da lettore, fare a meno di pensare a come abbia fatto il Trellini a sapere tutte queste cose.

Come fa a sapere che Deng Xiaoping è stato operaio a Billancourt, che la contessa Casati Stampa pagava la retta di un convitto cattolico ad un bimbo orfano che, da grande, avrebbe guidato le Brigate Rosse all’attacco al cuore dello Stato; che l’ex-marito della contessa ha scoperto la nuova moglie con l’amante e ha fatto fuori tutti, lasciando alla figlia minorenne e al giovane avvocato Cesare Previti la villa di Arcore, che quest’ultimo ha venduto a Silvio Berlusconi per un pacchetto di sigarette e due cerini. Come fa a sapere che Luigi Zampa è lo zio di Renato Curcio.
Qualcuno – già dal precedente La partita – a questo proposito ha coniato il termine “trellinismo” per indicare questa caleidoscopia d’informazioni apparentemente superflue e distanti tra loro che si fondono in una sorta di romanzo collettivo, di polifonico saggio storico, che progressivamente acquisisce volume e lentamente assume senso.

Io non so se sia sul serio così e se il termine sia destinato a durare. So che questo mi è piaciuto molto, che in giro ne ho parlato altrettanto. E questo è stigma d’apprezzamento, per uno come me.
Vi consiglio di comprarlo. Di sistemarlo su un tavolo. Di prenderlo quando avrete voglia. E di lasciarlo per altro tutte le volte che vi sentirete sazi di storie. È l’unico modo per apprezzarne davvero la pazienza.

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