Renata, la figlia di D’Annunzio col sogno della scrittura

by Fabrizio Simone

Nel 1891 d’Annunzio (il poeta preferiva la d minuscola, proprio come i suoi predecessori) lasciò Roma per Napoli e si invaghì della principessa siciliana Maria Gravina Cruyllas de Ramacca, moglie del conte Ferdinando Anguissola e dedicataria del suo secondo romanzo, L’Innocente.

A Napoli conobbe Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo e il futuro presidente del Consiglio Antonio Salandra (nato e sepolto a Troia), frequentò le redazioni dei giornali e i migliori salotti della città partenopea, ma la tresca con la nobildonna non sfuggì al conte Anguissola, che colse sul fatto gli amanti. Maria, incinta di sua figlia Renata, andò a convivere col poeta, talmente indebitato da digiunare frequentemente in quel periodo (nella Contemplazione della morte parlerà di “splendidamiseria”). La relazione con la gelosissima principessa (tra i suoi corteggiatori figurava anche il futuro Vittorio Emanuele III) durò quasi quattro anni ma Cicciuzza – questo il soprannome attribuito dal Vate alla sua unica figlia – fu sempre legata a suo padre, tanto da correre al suo capezzale quando perse l’occhio destro in seguito ad un atterraggio d’emergenza nelle acque di Grado. Il poeta contraccambiò garantendole l’immortalità nel suo Notturno, opera intima e riflessiva composta nei mesi di cecità. Bonculture ha intervistato lo studioso dannunziano Tobias Fior, curatore del romanzo inedito di Renata d’Annunzio Montanarella, Una donna, pubblicato dalla casa editrice pescarese Ianieri (12 euro, 144 pp.).

Cosa ha spinto la figlia di d’Annunzio a scrivere un romanzo?

La spinta può essere solamente data da quella passione per la scrittura, ereditata da Gabriele d’Annunzio e dalla sua vicinanza, che si era formata nel tempo in Renata. Prendiamo ad esempio le lettere intercorse tra figlia e padre quando questa era poco più che una bambina, già da queste possiamo vedere come la passione per la scrittura si facesse avanti con forza. Ovviamente nel tempo questa passione è diventata forte e nel 1918 cominciò a scrivere un diario di quanto accaduto dal 15 novembre 1915 al 21 settembre 1916, dove si raccontavano in prima persona tutte quelle vicende accadute nel periodo bellico dalla morte di Giuseppe Miraglia, evento che avrà un forte impatto sia su d’Annunzio sia su Renata, fino alla convalescenza di d’Annunzio dopo la perdita dell’occhio destro in un ammaraggio di fortuna nelle acque di Grado. Durante la stesura di questo diario Renata scrisse più volte al padre che stava lavorando con molta lena, e sembra quasi di leggere quelle lettere in cui d’Annunzio comunicava ad amici ed editori il suo forsennato lavoro sulle sue opere. Questa forte passione per la scrittura quindi non si fermò al solo diario, ma si riversò in quello che poi divenne il romanzo Una donna. Non è possibile dichiarare con certezza se ci fosse un motivo preciso per il quale Renata scrisse questo romanzo, ma la sua forte passione è di per sé una ragione valida.

Quali sono le influenze letterarie più evidenti?

La principale influenza letteraria è quella paterna, infatti molti passaggi del romanzo sono stati ispirati sicuramente dalle opere di d’Annunzio, che Renata aveva avuto modo di leggere e di amare.  Leggendo Una donna ci troviamo molto spesso a leggere alcune descrizioni che ci suggeriscono e ci rimandano ai famosi romanzi del Vate, si pensi ad esempio alle atmosfere del Piacere, ma in particolar modo a quelle veneziane del Fuoco, che hanno offerto diversi spunti per le descrizioni presenti in Una donna. Un esempio su tutti è quello della descrizione del Giardino di Eden, dove troviamo dei parallelismi comuni con l’opera veneziana di d’Annunzio. Certo, occorre anche dire che nonostante la forte influenza delle opere paterne, Renata ha fatto in modo da creare un romanzo dove la propria impronta prevalesse su tutto.

 Quanto ha pesato il rapporto paterno sulla stesura dell’opera?

Il rapporto di Renata con il padre ha influenzato l’opera in alcuni suoi aspetti, ma non in maniera esclusiva. In particolar modo la scena in cui Lina, la protagonista del romanzo, giunge al capezzale del padre morente e lui le posa una mano sulla testa quasi come una specie di tenero perdono o di benedizione paterna, mette in risalto quella necessità di Renata di ottenere il perdono di d’Annunzio. Questo bisogno è un chiaro dato di fatto dal momento che i rapporti tra padre e figlia erano ormai ridotti ai minimi termini al momento della morte del Vate nel 1938.

Questo è certamente uno degli elementi più forti e marcati all’interno del romanzo. Ovviamente ci sono altri aspetti che rimandano, seppur in maniera più blanda e meno evidente, al rapporto di Renata con il padre. L’esperienza di guerra vissuta accanto a d’Annunzio a Venezia, ha lasciato sicuramente un’impronta indelebile nel suo animo; un’impronta talmente forte che andrà a costituire l’ambientazione del romanzo Una donna.

 In che condizioni si trovava quando cominciò a scrivere il suo unico romanzo?

Il dattiloscritto non riporta la data di stesura del romanzo, come gli scrittori erano soliti fare negli anni passati, quindi non possiamo dire con certezza quando Renata abbia cominciato a scrivere Una donna. Possiamo però, sulla base di alcuni punti di riferimento, fare delle supposizioni, che potrebbero rivelarsi essere più vicine alla realtà di quanto si possa immaginare.

Prendiamo in considerazione il fatto che nel 1948, a dieci anni dalla morte di d’Annunzio e solo tre dalla fine del secondo conflitto mondiale, Renata pubblicò sulla “Nuova Antologia” degli stralci di quel famoso diario della Sirenetta, che scrisse su consiglio del padre e che non era mai stato pubblicato prima di allora; successivamente, questi stralci vennero nuovamente pubblicati, con delle aggiunte non indifferenti, nel 1952 a puntate sulla “Domenica del Corriere”. Lo stesso anno Renata aveva anche inviato, l’8 e il 9 gennaio, al quotidiano “Il Tempo” alcuni articoli dove raccontava alcune vicende accorse durante la sua infanzia e in particolar modo durante il periodo di d’Annunzio alla Capponcina. Quindi sulla base di questo flusso di pubblicazioni possiamo presumere che Renata abbia scritto il suo romanzo durante questo periodo, sicuramente un periodo di fervore letterario, che in realtà non era mai diminuito.

Quando scrisse Una donna Renata era la mamma di otto figli, il marito, Silvio Montanarella, era tornato a casa nel 1945, dopo dieci anni di assenza, durante i quali aveva prestato servizio durante la campagna etiope voluta da Mussolini. Durante quei dieci lunghi anni Renata ebbe la forza di essere madre e padre allo stesso tempo di otto figli, con coraggio aveva accudito i figli e non aveva mai perso la fede, elemento essenziale che la accompagnò fino agli ultimi giorni di vita e che si riscontra anche nella lettura del suo romanzo. Possiamo concludere quindi dicendo che il romanzo venne scritto durante un periodo dove le cose erano tornate lentamente alla normalità e Renata ebbe modo di rimettere mano a una passione, quella della scrittura, che non era mai venuta meno.

Esistono ulteriori prove letterarie della figlia del Vate?

Renata coltivò grandi aspirazioni letterarie, trasportata da un forte passione per la scrittura, ereditata anche dalla vicinanza con il padre. Nel 1918, su consiglio dello stesso d’Annunzio, Renata cominciò la stesura di un diario contenente gli avvenimenti e le sue impressioni dal novembre 1915 al settembre 1916, periodo che trascorse accanto al padre a Venezia e che fu caratterizzato dalla morte di Miraglia, dalla perdita dell’occhio destro di d’Annunzio e dalla nascita del Notturno. Questo diario era inizialmente destinato alla pubblicazione, ma d’Annunzio trovò che mancasse di stile e nel 1922 ne bloccò la pubblicazione.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale Renata pubblicò stralci di quel famoso diario prima sulla “Nuova Antologia” (1948) e successivamente, a puntate, sulla “Domenica del Corriere” (1952). Oltre a questo l’8 e il 9 gennaio 1952 pubblicò due articoli sul quotidiano “Il Tempo”. Questi articoli narrano alcune vicende accadute durante la sua infanzia trascorsa alla Capponcina con il padre ed Eleonora Duse.

 Renata riposa al Vittoriale, diversamente da Luisa Baccara, ultima compagna di D’Annunzio per ben 19 anni. Com’è stato il loro rapporto?

Il rapporto di Renata con Luisa Bàccara, che aveva appena un anno in più rispetto a lei, inizialmente fu ostico, soprattutto dopo la caduta di d’Annunzio dal balcone nell’agosto 1922. Infatti Renata, assieme a Mario, primogenito di d’Annunzio, non esitò ad accusare la pianista di essere la responsabile dell’incidente. Proprio per questa ragione Renata e Mario furono allontanati dal Vittoriale per un lungo periodo.

Successivamente il rapporto tra Renata e Luisa Bàccara si ammorbidì, ci furono degli scambi di lettere tra le due. Renata, infatti, non esitava a scrivere a Luisa quando non riusciva ad avere un contatto con il padre; molto spesso Renata scrisse al padre di portare i suoi saluti a Luisa, oppure di ringraziarla per le sue lettere.

 Allontanata dal poeta in seguito alla misteriosa caduta del 1922, Renata riuscì a riavvicinarsi a suo padre. Cosa emerge dal carteggio tra i due, soprattutto negli ultimi anni di vita del Comandante?

Fu un riavvicinamento momentaneo, infatti negli ultimi dieci anni di vita di d’Annunzio il rapporto tra padre e figlia andò lentamente logorandosi. Renata venne spesso accusata dal padre di bussare alla sua porta solo per chiedere denari, molto spesso i toni delle lettere sono molto duri, anche se in gran parte gli sfoghi veri e propri vennero riservati nello scambio di lettere con Maroni e Antongini. Negli ultimi anni d’Annunzio cominciò a non rispondere più alle lettere di Renata, al punto che la figlia, in una delle sue ultime lettere, scrisse: “tutto il tuo affetto per me è morto”. Un epilogo senza dubbio molto triste, considerando anche come Renata fosse la figlia prediletta di d’Annunzio, elemento che non nascose mai, al punto da immortalarla nel Notturno come la Sirenetta.

Tobias Fiore

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