Sara Cassandra e il cruciverba incompiuto

by Enrico Ciccarelli

Sono più o meno cent’anni che il pubblico italiano conosce le “parole crociate” (sapete che il copyright dell’espressione è della Settimana Enigmistica?), nate negli Stati Uniti circa un decennio prima. Specialità enigmistica che i puristi disdegnano, i cruciverba non potevano che nascere oltreoceano, come proiezione di Manhattan e dei tipici assetti da decumano e cardo delle città Usa, in cui ogni casa e ogni punto sono definiti da una classificazione numerico-analogica di Street e di Avenue.

È un mondo simmetrico e ferreo quello dei cruciverba, nel quale la giovane scrittrice e blogger aversana Sara Cassandra introduce elementi di tensione ludica o drammatica, giocando sui significati e i significanti di parole che vengono definite mediante altre parole. Lo fa in “La solitudine del cruciverba incompiuto – Storie di tranelli linguistici e disturbi semantici”, uno snello libro di 160 pagine in formato A5, uscito nell’aprile di quest’anno per i tipi della Iuppiter Edizioni (può essere acquistato su Amazon e altri siti online o ordinato in libreria).

Un’esperienza pressoché decennale di blogger su Tumbir, Cassandra, malgrado la giovane età, è al suo secondo libro, il primo in prosa. Testo inconsueto e intrigante, La solitudine desta molte più domande di quelle a cui risponde (e forse i buoni libri dovrebbero servire a questo). Non inganni l’attitudine giocosa o il piacere dell’autrice per il calembour e l’ironia. La scrittura è aerea nella forma e dolente nella sostanza. Perché la solitudine del cruciverba che ci riguarda è densa e spessa, e non è facile interromperla saltando o aggirando le caselle nere che l’enigmista sparge sul nostro cammino. Bonculture ha intervistato Sara Cassandra.

Blogger a diciassette anni, poetessa a venti, autrice di un primo libro in prosa a ventisei. Quali sono le altre casualità biografiche e anagrafiche di Sara Cassandra, che è un nome così perfetto da sembrare uno pseudonimo?

Casualità biografiche. Uhm.

Ti dirò. Il mio nome, sommato al mio cognome, è un già un tranello morfologico. SaraCassandra. Pensa che io avevo delle professoresse che univano in maniera in-intenzionale questi due “elastici alfabetici” (li chiamo elastici, il nome e il cognome, perché venivano compressi fino a intersecarsi) e mi chiamavano: Sandra.

Da S(aracass)andra a Sandra il passo è breve. Magari avevano un desiderio inconscio di sintesi. Come potevo non appassionarmi ai tranelli ottici del linguaggio?

“La solitudine del cruciverba incompiuto”, con il suo sottotitolo “Storie di tranelli linguistici e disturbi psicosemantici” è un libro lontano dai generi, difficile da classificare. Da scrittrice che ha letto e legge molto, quali sarebbero i suoi compagni di scaffale? O è talmente solo da richiedere una collocazione a parte?

Compagni di scaffale per il mio libro, dici? Solo se gli autori sono già morti. Di certo si rivolterebbero nella tomba. E io sogno di togliere alla morte il potere della pietrificazione.

Una tua proclamata passione è la filosofia. La tua prima opera a stampa, la raccolta di poesie Pazzo fu il vetturino, ha un titolo che prende spunto da un episodio della vita di Nietzche, autore che hai caro. Anche la filosofia è un cruciverba incompiuto?

Nietzsche mi piaceva a diciotto anni perché era il mio pensatore-scudo preferito (è così che io chiamo i pensatori che talora ci servono da scudo per difendere autorevolmente le nostre ideologie); ecco, mettiamo una disputa fra i commenti Facebook del tipo:

eh? cosa? tu credi che Dio sia buono? dovresti leggere Nietzsche! Poiché Nietzsche è un genio, allora Dio non è buono. Insomma, una panoramica di ingenui bias dei miei diciotto anni.

Adesso Nietzsche mi piace stilisticamente, ma ho perduto quella morbosa identificazione nelle sue idee. Quanto alla filosofia, sì, è decisamente un cruciverba incompiuto. Perché l’inesauribilità della ricerca vitalizza lo slancio della ricerca.

“La solitudine” presenta registri stilistici piuttosto articolati, con una narrazione che a volte è giocosa o ironica, altre volte dolente e vertiginosa. Quanto dramma c’è nel tuo gioco?

Forse troppo. Tanto che il dramma esorbita dal gioco. Ti basta sapere che sono ironicamente passata dai “quiz sintomatologici” ai quiz di logica.

Mentre io cercavo di indovinare la causa di certi miei sintomi particolari, mi venivano idee per creare indovinelli di pensiero laterale.

Dev’essere successo qualcosa. Nel mio cervello, dico. Chissà, forse l’ipocondria mi ha slatentizzato un meccanismo cognitivo combinatorio. Un meccanismo che magari presiede alla configurazione degli indovinelli.

Visto che parliamo di cruciverba, ti diverti a risolverli? E i tuoi sono cruciverba a schema libero o senza schema?

Risolvere i cruciverba degli altri non mi affascina più. Adesso mi affascina soltanto creare i miei. Anche solo per risolvere quel che io stessa creo. Come dire, per districare quel che io stessa ho metodicamente intricato.

Chi ti conosce sui social (saracassandra su Instagram, Cassandrablogger su Tumbir, Sara Cassandra su facebook) sa che sei una ragazza decisamente attraente, che però non ha mai puntato sull’immagine per dare maggiore notorietà o diffusione ai suoi libri. Timidezza o saggezza?

In verità io mi servo della mia immagine esteticamente gradevole secondo N-persone (attraente? boh, non secondo i miei parametri), dicevo, mi servo della mia immagine per implementare il feed dei social sui miei testi scritti. Ho notato che le didascalie lunghe catturano l’attenzione degli utenti se ben collegate a una fotografia. Potrei parlarti delle mie ambizioni singolari. Tanto per dirne una. Non mi piace essere amata. Mi piace essere interpretata. E in effetti, io scrivo per una sorta di triade interpretativa: scrivo per reinterpretare me stessa mentre interpreto le interpretazioni degli altri.

Non cerco la popolarità ma la buona divulgazione. Voglio aiutare qualcuno a riflettere, per quanto sia presuntuoso credere che qualcuno abbia bisogno del mio aiuto.

Il mio smodato desiderio di aiutare pecca di presunzione. Ma io so di avere una capacità intuitiva fuori dal comune (…oh, accidenti, anche questo suona presuntuoso), non più efficiente, ma porta innovazione. E ogni innovazione può essere utile alla collettività. Però ho paura della popolarità e degli affarini collaterali al mio desiderio di divulgare. Ho paura di essere al centro dell’attenzione. Vorrei, appena finisco la mia strategia coi social, lavorare dietro le quinte.

Il passo da giovane astro nascente a un grande avvenire dietro le spalle è molto breve. Tu a che punto senti di essere?

Sento di essere al punto in cui posso ancora mettere a punto una strategia per tornare indietro.

In una intervista di qualche anno fa parlavi di un tuo primo romanzo che avrebbe dovuto chiamarsi L’inganno dei doppiatori. Che fine ha fatto?

È stato rifiutato, grazie al cielo. E non soltanto dalle case editrici. Ma anche dal mio buonsenso.

Quel libro era un azzardo adolescenziale. Un capriccio letterario. Non avevo ancora raffinato la mia conoscenza linguistica per stendere un’idea di quella portata.

Avrei fatto del male al lettore, se io avessi insistito. E io amo il lettore. Il bene del lettore viene prima dei miei desideri di pubblicazione.

Un’ultima domanda: le caselle nere dei nostri cruciverba le mettiamo da soli? O un ordine superiore che non riusciamo a vedere?

Credo che le caselle nere siano gli iscurimenti congeniti dell’esistenza umana. Probabilmente sono connaturate alla nostra stessa condizione di esistenza.

Le caselle nere dei cruciverba mi ricordano che l’oscurità non è per forza un fatto negativo. Quelle caselle nere sono soltanto battute d’arresto necessarie alla strutturazione del cruciverba. Così, la strutturazione dell’esistenza si serve delle ombre.

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