«Scrivere della sua vita era un gesto di giustizia poetica». Ilide Carmignani e la “Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba”

by Agnese Lieggi

Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba di Ilide Carmignani, è un libro scritto con luminosa ispirazione che percorre il tempo della vita di un grande scrittore cileno, Luis Sepúlveda, dalla sua nascita fino, purtroppo, alla sua morte.

Dopo aver tradotto nell’arco temporale di circa trent’anni quasi tutte le sue opere, Ilide, (traduttrice letteraria dallo spagnolo per case editrici come Guanda e Adelphi, e voce italiana di Bolaño, Onetti, Borges e Márquez) si allontana dalla traduzione per scrivere la biografia dello scrittore, componendo una trama che è un meraviglia di fantasia e incanto. Il libro, ha uno stile limpido che arriva al lettore senza espedienti, attraversa quel solco narrativo già avviato da Sepúlveda, in cui si dà voce anche agli animali, proprio in continuità con personaggi già noti e pubblici come il gatto intellettuale Diderot di La Gabbianella e il Gatto.

Si tratta una biografia piena di delicatezza, magia e dolore. Il libro si apre con una poesia dal titolo: POESIA INGENUA, di Carmen Yáñez (moglie e compagna di una vita di Luis Sepúlveda) e da qui parte il racconto della nascita del nostro “cileno errante”, segue l’infanzia, la descrizione della sua famiglia (della mamma e del papà), del ruolo fondante e della dolcezza dei suoi nonni e la gioventù impegnata fra poesia e militanza degli anni di Salvador Allende.

La sua vita durante quei “mille giorni” del governo di Allende furono “intensi, duri, ma soprattutto felici”. Allende viene descritto come un uomo buono, un medico dotato di calore umano e privo di retorica. A questa prima parte del libro segue la parte più dura, “La fine di un sogno”. L’inizio del regime di Pinochet segna la fine della giovinezza del nostro, che viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Temuco. Grazie all’intervento di Amnesty International, la sua pena sarà convertita in esilio, il 17 luglio 1977 Luis lascerà il Cile e avranno inizio i viaggi della sua esistenza avventurosa.

Il libro è narrato in prima persona come fosse il racconto di Sepúlveda, come se fosse proprio lui a raccontare se stesso, ai ricordi si alternano i dialoghi con il gatto Diderot, un gatto colto ed enciclopedico.

Oggi abbiamo l’occasione di dialogare proprio con la scrittrice, e di poter scoprire molto di più del testo recentemente pubblicato.

Ilide, grazie in anticipo per aver accolto la mia intervista!

Come ha conosciuto Luis Sepúlveda?

Tanti anni fa era il 1992 o il 1993, mi era arrivato Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, di uno scrittore cileno “sconosciuto”. L’ho tradotto con grande partecipazione perché era un libro che mi aveva affascinato e quando l’anno dopo mi è arrivato Il mondo alla fine del mondo, mi sono resa conto che era un autore che mi interessava e mi incuriosiva, uno scrittore che parlava dritto alla gente, a quel punto mi è arrivata una telefonata particolare. Mi ha chiamata Luigi Brioschi della Guanda e mi ha detto che Sepúlveda voleva conoscermi, mi ero chiesta come mai mi fosse arrivato questo invito così insolito, poiché normalmente gli scrittori non invitano i traduttori.

Mi sono detta che forse questo scrittore cileno sta scalando tutte le classifiche diventando un fenomeno quasi pop, probabilmente voleva vedere se i suoi libri fossero in buone mani. Sono arrivata a Milano piuttosto nervosa da Lucca dalle colline, per tutto il viaggio mi sono fatta tante domande fra cui: “parlerò spagnolo in modo adeguato? Avrò letto i libri che lui pensa sia importante aver letto? che cosa penserà se non ho viaggiato abbastanza in America latina?”. Sono arrivata all’Hotel Manin in centro a Milano, e speravo di non trovarmi da sola con questo sconosciuto così importante, invece si è aperto l’ascensore ed è uscito un’ omone. Sepúlveda era alto più di 1,80cm, era un uomo robusto aveva un espressione seria, si capiva che aveva alle spalle un passato ingombrante, pesante. Lui ha visto che lo guardavo, lo avevo riconosciuto da una piccola foto che era uscita su Linea D’ombra l’anno prima, quindi sapevo che era lui e mi sono avvicinata, lui mi ha guardata con questa’aria interrogativa, io gli ho detto: “sono Ilide Carmignani, la sua traduttrice”, appena ha sentito il mio nome lui mi ha abbracciato stretto. Sono rimasta paralizzata, poi ho scoperto che era famoso per questi abbracci da orso e mi ha detto: “ti ho fatto venire su perché volevo ringraziarti perché mi hai prestato la tua voce per arrivare ai lettori italiani” e poi mi ha scritto subito una bellissima dedica sul libro Il mondo alla fine del mondo dove diceva: “a mi compañera de camino, con todo mi cariño” (alla mia compagna di strada, con tutto il mio affetto), era una dedica che ho preso come una dedica generosa e non troppo alla lettera, invece poi a distanza di tempo mi sono resa conto che era quello che lui voleva, mi invitata a Milano alle sue presentazioni mi ringraziava sempre in apertura, l’ho presentavo io stessa nella situazioni più diverse anche al festival della Parola a Monte Grotto Terme o in un palazzetto dello sport davanti a 3500 persone… successivamente è diventato anche rapporto di amicizia.

Potrebbe parlarci della vostra amicizia?

È venuto tante volte a casa mia, anche quando non c’ero, passava, si fermava a riposare un giorno o due durante i suoi tour di presentazione dei libri fra Milano e Roma, è venuto con Carmen (sua moglie) con Daniel Mordzinski (suo amico fotografo) con il suo produttore cinematografico, con amici scrittori, ho foto dei miei figli con lui un po’ a tutte le età, diciamo che è diventato un rapporto che è andato oltre al rapporto scrittore-traduttore. Quando traduci 26 libri, tutti gli articoli di giornale, le sceneggiature e qualunque cosa lui scrivesse che usciva in italiano (usciva a volte prima in italiano che in spagnolo), diventa in effetti un rapporto abbastanza particolare. Per me è stato un rapporto che ha occupato anni della mia vita dalla mattina fino alla sera, la sua è stata una voce che ho ascoltato per anni cercando di restituirla a pieno in italiano. Forse per questo motivo mi è venuto spontaneo scrivere questo libro, come se fossi lui, in prima persona, un libro per ragazzi me lo consentiva ed è stata la forma più naturale.

Quando ha cominciato a lavorare alla biografia di Sepúlveda e come è nata l’idea?

L’idea è nata man mano che passava del tempo dallo lo shock di questa assenza improvvisa. Noi ci vedevamo durante i tour, non avevamo un rapporto quotidiano, io vivo in toscana e lui viveva nelle Asturie, a volte continuo a pensare che sia ancora là, nel suo studio e che sta scrivendo un altro libro che fra un po’ mi arriverà come file allegato ad una mail.

Un giorno mi è arrivato un libro di foto di Daniel Mordzinski, per l’anniversario della sua morte, che si apre con una foto in cui ci sono le mani di Carmen Yáñez in primo piano, nelle mani c’è una catenella con una balena d’argento, era quella che Lucho portava sempre al collo…quella foto è stato il primo passo per mettere a fuoco quello che era successo e passato un primo momento di stordimento mi sono resa conto che non esisteva un libro di Lucho che raccontasse la sua vita, pur avendo avuto una vita avventurosa, in realtà sette vite! Sepúlveda è stato un guerrigliero in Bolivia col gruppo di Che Guevara, guardia del corpo di Salvador Allende, prigioniero politico di Pinochet, ha alfabetizzato i contadini nei villaggi andini dell’Ecuador, ha passato sei sette mesi con gli Shuar nella foresta Amazzonica, ha lavorato antropologo in una ricerca dell’UNESCO. Quando ha deciso che era stanco di questa vita così avventurosa, è andato in Europa per dedicarsi alla scrittura e mentre era ad Amburgo, un giorno è sceso sul molo a guardare il mare, ha visto una nave con un arcobaleno multicolore a prua e si è imbarcato con Greenpeace, dove ha trascorso tre anni a incrociare grandi navi che trasportavano scorie nucleari e a bloccarle, e a difendere le balene

Una curiosità da lettrice. La narrazione si costruisce su fonti iconiche e testuali: la ricerca del materiale è stato un lavoro condiviso con la sua famiglia?

Quando ho avuto l’idea di scrivere della sua vita, l’ho pensato perché la sua vita da scrittore era già sufficientemente nota, quindi ho voluto privilegiare e raccontare quello che lui non aveva mai raccontato. Ne ho parlato con la Poetessa Carmen Yáñez (sua moglie), lei mi ha detto che scrivere della sua vita era un gesto di giustizia poetica, considerato che lui non ha avuto tempo di farlo.

Ed è stata Carmen stessa che mi ha mandato le foto personali, la genealogia della famiglia Sepúlveda, mi ha raccontato dettagli, mi ha inviato la poesia in apertura, e il testo sul rapporto fra Lucho e gli animali, in chiusura. Ad ogni modo, le fonti raccolte sono frutto anche di questi 26 o 27 anni di rapporto e di vicinanza come traduttrice, infatti mi venivano continuamente ricordi di piccole cose che gli erano sfuggite mentre le raccontava anche durante le presentazioni pubbliche. A tavola da soli o con tanta gente raccontava molte storie, lui era un “tiratardi”, quindi le raccontava spesso dopo cena, ed io a volte non riuscivo a restare sveglia, li salutavo e andavo a letto. Ricordo in particolare una volta in cui Lucho è venuto con Mario Delgado, (erano miei ospiti), dopo averli portati in giro a visitare la mia terra, la sera, dopo aver ascoltato i racconti, gli lasciai una bottiglia di vino di riserva, li salutai e andai a letto. Adesso lo rimpiango perché avrei ascoltato ancora più storie…in tanti anni ne ho ascoltate tante.

Dopo aver tradotto per molti anni le opere di Luis Sepúlveda, sembra quasi naturale e in continuità con la sua carriera che fosse proprio lei a dare vita alla sua biografia, addirittura in alcuni tratti sembra un autobiografia. Quanto un traduttore si fonde con lo scrittore? Questa alchimia avviene sempre?

Credo che bisogna distinguere il rapporto su carta e quello personale, il traduttore sempre deve in qualche modo cercare di penetrare perfettamente nella mente dello scrittore e di entrare in sintonia con lui per diventarne il doppio o il sosia. In una intervista Claudio Magris diceva che sapere come tradurre il colore di una sera, bisognerebbe sapere qual è stato il vissuto di quello scrittore in quella sera, mentre Pennac diceva che i traduttori sono gli psicanalisti degli scrittori. Questo per descrivere qual è la spinta che un traduttore deve avere per restituire in italiano un testo. Nel mio caso, Sepúlveda si è seduto alla mia tavola, e mi ha fatto sedere alla sua, ed è un stato compagno, nel mio caso il coinvolgimento è stato maggiore.

Non poteva mancare una domanda un po’ tecnica. Luis Sepúlveda racconta all’interno del libro a proposito della lingua:

Mi sono sempre piaciute le lingue, ne parlo più o meno bene diverse – tedesco, francese,italiano, portoghese, russo – e adoro lo spagnolo. Forse per la mia nascita avventurosa o per la vita errabonda che ho fatto, ho sempre avuto la sensazione di non appartenere a un posto, ma a tanti, e di avere un’unica, amatissima patria: la mia lingua”.

La lingua riveste un ruolo fondante per la condivisione e la diffusione della cultura e dei suoi valori, così come la scienza della traduzione a seconda delle sue declinazioni nei vari ambiti di applicazione. In questi giorni si parla molto l’uso delle intelligenze artificiali per effettuare automaticamente delle traduzioni mediante un programma informatico. A fronte della sua esperienza umana e del rapporto vissuto proprio con Sepúlveda, come osserva questo tipo di cambiamento?

Qualunque strumento che sia di aiuto al lavoro difficilissimo di un traduttore letterario o editoriale, (come diceva Ortega y Gasset” impossibile”) è più che benvenuto. Credo che la traduzione letteraria artificiale potrà funzionare il giorno in cui i computer scriveranno i romanzi, il giorno in cui un algoritmo sarà capace di scrivere una poesia, certo non so a quel punto il concetto di umano che avremo. Octavio Paz diceva che la letteratura è una funzione specializzata del linguaggio e che la traduzione letteraria è una funzione specializzata della letteratura. Temo solo che in futuro utilizzando traduzioni meccaniche, non si svaluti il ruolo di un traduttore, per motivi meno nobili e mi auguro che il traduttore non diventi semplicemente un revisore.

La ringrazio anche a nome della rivista per averci dato l’opportunità di scoprire questa nuova avventura letteraria.

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