«Scrivere è una collezione di prime volte». Alessandra Minervini e Una storia tutta per sé

by Agnese Lieggi

In un tempo storico in cui lo sguardo verso il mondo e la realtà viene falsato ingiustamente dallo “splendore” del digitale, Alessandra Minervini ci ricorda che la bellezza può essere ancora garantita altrove, preparando accuratamente, un libro che parla di scrittura dal titolo Una storia tutta per sé, edito da Les Flâneurs.

Il volume è una guida chiara e diretta, indirizzata a scrittori esordienti, appassionati o a chiunque abbia voglia di far riaffiorare la magia del ricordo, scovarla in luoghi impensabili, far riemergere quanto di più sommerso appartenga alla memoria, alla vita e ai ricordi. Il testo si divide in tre parti (e venti capitoli) dai titoli L’idea per una storia, Trovare la tua storia e Finire una storia, seguiti da un’interessante appendice che raccoglie propostedi lettura intitolato Uno scaffale tutto per sé. Servendosi di diversi esempi di autobiografia, delle “Verità eterne”, perpetuate da scrittrici e scrittori come Gabrielle Sidonie Colette, Annie Ernaux e Cesare Pavese e dei “Rifornimenti” di tre scrittrici italiane quali Giulia Carcasi, Claudia Durastanti ed Elena Varvello, l’autrice propone espedienti (risultato di una prolungata esperienza come formatrice), fornisce molteplici consigli, creando così un vero e proprio rapporto confidenziale con il neo scrittore che lo conduce in un posto di creazione letteraria, in un primo momento a lui sconosciuto, ma che successivamente, grazie alla guida della sua tutor instancabile, riesce a percepire come proprio.

Alessandra Minervini nasce a Bari, è diplomata alla Scuola Holden nel 2005, è consulente di progetti editoriali, lavora come editor e insegnante di scrittura presso licei e accademie di comunicazione. I suoi racconti sono apparsi su diverse riviste letterarie italianecome Cadillac e EFFE. Il suo primo romanzo è Overlove (LiberAria, 2016). Scrive di libri e letteratura sul “Quotidiano del Sud” e “Exlibris20”. Nella primavera 2020 ha pubblicato “Bari una guida” per Odos Edizioni. A dicembre 2021 ha pubblicato Una storia tutta per sé.

Rivolgiamo qualche domanda ad Alessandra, per conoscere meglio il libro.

Come nasce l’esigenza di scrivere Una storia tutta per sé?

Questo libro nasce dal desiderio di stabilire dei punti fermi rispetto al mio lavoro di editor e di insegnante di scrittura. Un’esigenza che ho ritenuto necessaria, dopo un po’ di anni. Una specie di bisogno di fare ordine nel caos creativo. Ho tenuto la prima edizione del laboratorio autobiografico, Una storia tutta per sé, quasi dieci anni fa, nato dall’esperienza alla Scuola Holden. Qui ho imparato che la storia più importante che possiamo raccontare ce la portiamo addosso, e sono le nostre radici, di qualunque forma siano: geografiche, culturali, umane, sentimentali. Questo libro raccoglie le radici delle storie che sono nate dentro il laboratorio, comprese le mie.

All’interno del capitolo 3, della prima parte, intitolata L’idea per una storia, introduci l’importanza della percezione dei sensi, quanto sono stimolanti per la scrittura e come si allenano?

I nostri cinque sensi spesso sono sottovalutati. Si dice che lo scrittore abbia il sesto senso. Può essere. Ma nulla vale questo sesto senso senza i primi cinque, in apparenza, più elementari e dissacranti. Il discorso sulla scrittura percettiva è lungo e ispirante. Chi scrive prima di tutto sente, guarda, osserva. Chi scrive percepisce un mondo che poi nella scrittura rappresenta. Per cui allenare la percezione, anche attraverso la memoria, è un’operazione fondamentale per cercare, e si spera per trovare, la propria storia.

All’interno del libro hai citato Alejandro Jodorowsky e il suo Corso accelerato di creatività e i famosi guardiani interiori. Come pensi si possano riconoscere e sconfiggere?

Nel libro che hai citato, Jodorowsky dice: «Liberate i guardiani eccellenti, le prigioni mentali, fatelo in modo sciolto ricordando che per scrivere non è importante sapere, non è importante conoscere, è importante essere e guardare». Purtroppo la maggior parte dei guardiani eccellenti che ho incontrato in questi anni a lezione corrispondono a noi stessi. Il primo giudice che bisogna sconfiggere, dunque, è dentro di noi. Si impara a farlo con il tempo, quando il bisogno di scrivere una storia diventa più importante di tutto il resto. Un augurio che faccio spesso agli autori e alle autrici che seguo.

Il racconto autobiografico è anche un atto pubblico, come ci si attrezza per liberarsi dal quel senso di vergogna o di imbarazzo che lo scrittore prova mettendosi a nudo?

Vergogna, ansia, insicurezza, paura: non passano mai. Scrivere è una collezione di prime volte. Per cui ogni volta che si comincia una nuova storia, si ricomincia a fare i conti con sé stessi. Ci si attrezza con il metodo migliore che conosco: si scrive.

Quali consigli daresti a scrittori esordienti o appassionati che si avvicinano per la prima volta alla scrittura?

A chi frequenta per la prima volta un laboratorio oppure comincia a scrivere una storia chiedo spesso una cosa: perché si desidera scrivere, cos’è che determina quest’attrazione verso il mistero che le storie, proprie e degli altri, contengono. Bisogna fare i conti con il rapporto che si ha con la scrittura, non solo con la storia che si vuole scrivere. La scrittura è un sentimento, un modo di essere. Riconoscerlo è il primo passo per renderlo una parte importante di noi.

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