Se questa è una donna, la banalità delle guardiane nazi

by redazione
Gli angeli del male

Quali libri approcciare per prepararsi alla Giornata della Memoria? È senza dubbio molto significativa la lettura di Mónica G. Álvarez, col suo testo “Se questa è una donna. Il racconto dell’altra faccia del male”. Il titolo originale è “Guardianas nazi”, edito nel 2012 in Spagna da EDAF, S.L.U.

L’autrice fa un compendio della vita delle diciannove sovrintendenti, guardiane, responsabili di baracche e ausiliarie più sanguinarie dei campi di concentramento tedeschi tra il 1939 e il 1945. Il testo è suddiviso in due parti distinte: I sette arcangeli del terrore e Le dodici apostole del Reich.

L’attrazione morbosa per le tecniche di punizione

Come scrive Álvarez, se gli uomini di Hitler furono perversi, loro, le “guardiane” dei campi di concentramento, costituirono l’implacabile braccio esecutivo della giustizia ariana. Non ci fu giudice più spietato di Maria Mandel, di Ilse Koch, di Irma Grese, di Hermine Braunsteiner, di Dorothea Binz e via dicendo, fino ad arrivare a diciannove nomi.

Tutte indistintamente costituirono un modello per addestrare le loro adepte a bastonare, malmenare, fustigare, maltrattare e vessare le loro prigioniere fino alla morte. Nel corso di questa fase di addestramento, compiuta prevalentemente nel lager di Ravensbrück, le future assassine impararono a torturare e a comportarsi come belve.

La disumanità fu il loro supremo pilastro. Le migliaia di internati di Birkenau, Buchenwald, Majdanek, Ravensbrück, Auschwitz o Stutthof subirono nella loro carne il feroce accanimento di queste donne che, lungi dal garantire la pace e “salvaguardare” la loro integrità personale, estirparono alla radice la poca speranza che potevano avere nella vita.

Vi proponiamo la prima donna, per stimolare il desiderio di conoscere la banalità del male delle altre.

ILSE KOCH o La volpe di Buchenwald

Nome vero: Margarete Ilse Köhler. Soprannome: “volpe di Buchenwald”, “cagna di Buchenwald”, “strega di Buchenwald”, “Commandeuse”. Luogo e data di nascita: Dresda, 22 settembre 1906. Luogo e data di morte: Aichach, 1 settembre 1967. Ruolo: civile; moglie di Karl Koch, comandante del campo di concentramento di Buchenwald. Tortura preferita: ordinare lo scorticamento di pelle umana tatuata con cui fabbricare lampade. Numero di assassini: approssimativamente 5.000 prigionieri. Condanna: ergastolo e lavori forzati.

La testimonianza

La paura che incuteva questa donna al proprio passaggio era tale che persino i prigionieri politici di altri paesi la descrivevano così: «Ho conosciuto Ilse Koch. Per altro sarebbe più corretto dire che avevo paura di trovarmela davanti, per cui, da quando divenne una delle persone più temute di tutto il lager, feci di tutto per evitare di incontrarla. Insieme al suo celebre marito, visse e si avvantaggiò di quello che spremettero dall’amministrazione del campo di concentramento, dalle decine di migliaia di infelici prigionieri e dall’appropriazione indebita di denaro pubblico. Tra le altre cose, le piaceva montare a cavallo, sia nei pressi del lager sia nel grande maneggio, in cui in seguito furono giustiziati prigionieri innocenti. C’era persino una banda, composta da internati, il cui compito era suonare per intrattenerla. Per un prigioniero, conoscerla era una vera disgrazia.

Talvolta diventava furiosa perché il malcapitato non la salutava, talaltra perché osava farlo, qualche volta perché la guardava e magari semplicemente perché era di cattivo umore. Noi prigionieri eravamo costretti a considerare quelle frustate come una punizione aggiuntiva. Quando non eravamo osservati, chiudevamo gli occhi per non vedere il sangue che sgorgava dalle ferite aperte e ci tappavamo le orecchie per non sentire le urla strazianti delle vittime. Tuttavia la signora Koch rendeva ogni cosa più difficile. Era capace di restare dentro la recinzione del campo per osservare con grande interesse quelle brutali bastonate. Non stupiva che, nel lager, parecchi uomini avessero ottimi motivi per provare tanto timore e odio nei confronti di Frau Koch, la donna che, dietro le sue spalle, chiamavamo la “Commandeuse”, la “Signora Comandante»

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