“Solo Mia”, Annalisa Graziano racconta le donne e la violenza, fuori e dietro le sbarre

by Marilea Poppa

E’ una sala gremita quella che ha accolto la presentazione dell’ultimo libro dell’autrice e giornalista Annalisa Graziano, Solo Mia’, storie vere di donne Edizione La Meridiana. Agli occhi dei presenti nel salotto live della Libreria Ubik risaltava una rosa rossa adagiata su una poltroncina nera: “Questa è per la mamma di Mia”, ha esordito Graziano, trattenendo le lacrime e spiegando il motivo di quel posto “occupato. Impossibile contenere l’emozione dopo la pubblicazione di un romanzo come “Solo mia”, fortemente voluto e preceduto da un lungo ed estenuante lavoro di raccolta di testimonianze tra le carceri di Foggia e Lucera.

Le storie narrate, infatti, hanno come protagoniste le donne, non quelle comuni, ma le detenute che convivono, dietro le sbarre, con un passato fatto di violenza, abusi e sofferenze. Una realtà familiare alla giornalista, che ieri ha conversato con la collega della nera Tatiana Bellizzi e che da anni collabora con il CSV Foggia (Centro di servizio per il volontariato) in ambito penitenziario e che ha già raccontato il mondo del carcere nel libro “Colpevoli- vita dietro (e oltre) le sbarre”.

Mia è il personaggio che dà il titolo al romanzo nel quale si articolano le vicende di altre figure femminili accomunate dalle stesse esperienze di violenza e repressione che l’autrice ha voluto ascoltare e portare alla luce scongiurando quel senso di paura volto a opprimerle. Eva, Debora, Lorenza e Antonella rappresentano la personificazione del coraggio, la potenza della parola contro un pugno, un coltello o un proiettile. “Solo mia” presenta un significato bivalente: è la frase tipicamente pronunciata dagli uomini accecati da un sentimento di gelosia insana nei confronti della figura femminile, così come può rappresentare la volontà di riprendere in mano la propria vita, di ricominciare mettendo da parte un vissuto di ferite scolpite nel cuore oltre che sulla pelle. Rinascere come una fenice, come è accaduto a Mia, dopo essere stata tradita e abusata da un uomo che credeva un padre e che in un’alba di sangue le ha strappato la figura più cara, sua madre. Da qui la scelta di quel simbolico posto vuoto e del racconto che ha commosso il pubblico. “Non è stato semplice scrivere questo libro. A volte mi capitava di interrompere il colloquio con le detenute per asciugare le lacrime, tirare un respiro profondo e ripartire”, spiega l’autrice.

Mia aveva provato a lanciare un campanello d’allarme a scuola, scrivendo un tema passato tristemente inascoltato. Un motivo in più per portare questo libro nelle scuole, affrontando con gli studenti queste tematiche e cercando di avviare la società a una maggiore consapevolezza con la speranza che queste storie vengano denunciate senza timore. 

Ci sono diversi tipi di violenza.
La prima è subdola, silenziosa. Inizia a scorticare l’autostima poco per volta, lacera le certezze, ferisce i sentimenti, offende. Annulla, stritola sogni e desideri.
Poi c’è quella che urla, fa volare le sedie, dá pugni sui tavoli e sul corpo. Lascia lividi blu e graffi invisibili. Controlla, stringe, soffoca.
Strappa via l’innocenza.
Spesso convivono, l’una sfocia nell’altra.
Chi agisce violenza non lo riconosce, si giustifica, finge. Non vuole perdere il controllo, non può permettere che la sua preda fugga.
I pugni possono diventare proiettili, coltelli, mani strette attorno al collo delle vittime. Lacci.
Le vittime sono (quasi) sempre donne.
A loro, alla complessità delle loro esistenze è dedicato “Solo Mia”.
E non solo.
Perché il mondo femminile ha tante sfumature.
Le storie non sono tutte uguali, come diverse sono le circostanze della vita che portano donne giovani e meno giovani dietro le sbarre di una cella.
Non solo detenute: madri, figlie, mogli lontane dagli affetti, con ferite nascoste dai colori scuri dei tatuaggi e dagli sguardi freddi.
“Solo Mia” racconta storie vere di donne, nella cornice del romanzo.
Storie dure, alcune terribili.
Storie difficili da ascoltare, da scrivere.
E che, paradossalmente, proprio per questo motivo, per la loro stessa sostanza, diventano un inno alla vita. Lo sanno bene le volontarie che per salvare vite operano, silenziosamente, ogni giorno.

Annalisa Graziano

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