Spirito libertino e visioni diplomatiche, la vita della Contessa di Castiglione nel romanzo di Benedetta Craveri

by redazione

Una vita come quella della Contessa di Castiglione è difficile da raccontare, perché è l’esempio più lampante di una vita pubblica, volutamente ostentata, frutto di una strategia di autorappresentazione dietro e sotto la quale bisogna invece avventurarsi, per comprendere davvero, fino in fondo, il reale ritratto dina straordinaria protagonista del nostro Ottocento e dell’Ottocento europeo.

Benedetta Craveri, per fare questo, ha dovuto indagare tra le testimonianze dell’epoca, negli epistolari, nelle cronache mondane, ma anche confrontarsi con la grande storia, con le trame più o meno occulte che, alla metà del secolo, portarono all’unità d’Italia, trame in cui Virginia di Castiglione ebbe un ruolo centrale. Ne viene fuori un libro che mette in equilibrio perfetto storia e mito di una protagonista che visse la propria vita tra l’estremo di contraddizioni stridenti, che ne fecero una delle donne più discusse d’Europa, ma al contempo la protagonista assoluta dei salotti parigini e non solo di quegli anni. Amante senza pudori, abile e illuminata diplomatica, Virginia vive e concepisce la sua vita come un romanzo e dunque la sua biografia (ma qui mi si permette l’uso più umanistico di “vita”, perché questo volume è più di una semplice biografia) è essa stessa un romanzo. Lo ricorda più volte Benedetta Craveri, quando la paragona ai personaggi dei romanzi libertini del Settecento (p. 114) o quando ancora riporta le sue stesse parole, quando si definisce come “eroina di un romanzo” (p. 238).

Eppure questa donna non è solo uno strumento di potere nelle mani del re di Piemonte o di Cavour, non è solo l’amante di Napoleone III e di tanti altri. La sua vita, ricostruita con vividezza di rappresentazione dalla Craveri, fa emergere il profilo di una donna abile e intelligente, capace di intuizioni e visioni degne del miglior diplomatico o uomo di stato dei suoi tempi, ma al contempo minata dentro da una condizione psicologica irrisolta che la rendono intimamente fragile, quasi vittime del proprio personaggio “romanzesco”.

E se questa vita fosse davvero concepita come un romanzo, che romanzo sarebbe? Potrebbe essere una spy-story, per i caratteri che già la società del tempo volle dare alle azioni di Virginia a Parigi, per questo ricorso ad un cifrario segreto che veicolò notizie fondamentali per lo sviluppo della storia d’Italia e d’Europa. Potrebbe essere appunto quel romanzo libertino che emerge ogni qualvolta si scopre che, come scrive al Craveri “sottraendosi all’imperante sentimentalismo romantico, la contessa di Castiglione sembrava restare fedele allo spirito libertino del secolo precedente che vedeva nell’amore un capriccio passeggero” (p. 142), un romanzo in cui l’autobiografismo di un’epoca qui si esalta anzitutto nel nuovo mezzo di autorappresentazione che è la fotografia, che non vuole mai ritrarre lei, la protagonista di quest’epoca, in modo oggettivo, ma che soggettivizza le sue fantasie. Ma potrebbe anche essere un romanzo psicologico ante litteram, un romanzo che anticipa in qualche modo quelli di fine secolo in cui viene rappresentato il dissidio di un io scisso tra pubblico e privato, tra l’immagine patinata di una fotografia o di una pagina di cronaca mondana e la sofferenza intima che emerge ogni qualvolta si tocchino le sue imperfezioni, le sue malattie, vere o immaginarie, specie quando si indaghi, come fa con finezza la Craveri, quel mondo irrisolto dei suoi affetti familiari. I rapporti intercorsi col padre (e con le figure paterne di cui si circondò), con la madre, suo modello e antimodello, con il figlio “ribelle”, in quell’oscillazione tra amore e odio che la restituisce alla dimensione di eroina romantica, nonostante tutto, ci danno in effetti il profilo di una donna sofferente, i cui ultimi giorni non sono un caso isolato, non sono solo la triste e intima chiusura in se stessa di un’esistenza pubblica, perché dalla Parigi degli ultimi giorni, con il tentativo di mettere in scena anche la propria fine, alle solitudini di Villa Gloria, Virginia di Castiglione è alla fine eroina tragica, simbolo della forza e della debolezza femminile al contempo.

Benedetta Craveri ha la capacità di restituirci questa figura rappresentandocela a tutto tondo, in modo pluriprospettico, incrociando su di lei gli sguardi di chi oggi legge quelle contraddizioni con quelli di chi allora volle rappresentarla in modo diverso, facendosi forte anche di come Virginia stessa si rappresentò, tanto iconograficamente quanto letterariamente (pensiamo alla sua voglia, estrema, di un romanzo che la raccontasse).

Sebastiano Valerio

Professore Ordinario – Letteratura Italiana
Direttore del Dipartimento di Studi Umanistici. Lettere Beni culturali Scienze della formazione Segretario dell’Associazione degli Italianisti (ADI)
Università degli Studi di Foggia
Dipartimento di Studi Umanistici

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