StellaBianca di Antonella Belviso e Paolo Maulucci, il rapporto madre figlia e quel perdono per un amore sbiadito

by redazione

È una storia di riconciliazione intima e reale, quella che ci raccontano Antonella Belviso e Paolo Maulucci, nel loro primo romanzo StellaBianca.

Tra i luoghi del nostro territorio, si scandagliano le difficoltà di una figlia alle prese con l’inesistente rapporto con sua madre Stella. Dopo la sua morte, la protagonista, costretta dalle questioni legali del caso, torna nei luoghi dov’è vissuta: ritroverà un diario materno, tenuto nascosto da sempre, pieno di sofferenza e dolore. Verrà, quindi, rivelata un‘altra faccia del loro legame che permetterà ad entrambe, seppur in due dimensioni diverse, di riconoscersi e di perdonarsi per tutto quello che non sono riuscite a darsi.

  • Com’è nata l’idea di scrivere a quattro mani?

Antonella: È nata esattamente come un gioco, un esperimento. Siamo una coppia di accaniti lettori, abbiamo entrambi una forte passione per i libri e per la scrittura e un giorno ci siamo detti “Perché non provare? Vediamo cosa ne esce fuori.”

–  Da quale esigenza nasce la volontà di voler scrivere un libro sul rapporto tra una madre e una figlia?

Paolo: L’idea era quella di creare una storia che potesse evolversi negli occhi dei lettori. Il ricongiungimento è un espediente: non è frutto di alcuna necessità, neanche quella di redimersi nei confronti di esperienze personali. Anche se, in ogni libro, ci sono pezzi delle nostre storie nascosti tra le righe.

–  E’ una storia di perdono che può appartenere a tutti. Ecco, qual è il ruolo del perdono in questo libro?

Antonella: È fondamentale il suo valore. Nella storia la protagonista non comprende perché il rapporto con sua madre è sempre stato così sbiadito e trascurato. Solo quando trova quel diario sente la necessità di perdonarla, riscoprendola da un’altra prospettiva.

Paolo: Il perdono è infatti, soprattutto, uno sfogo, una liberazione per l’uomo. A un certo punto si mettono in discussione tutti i se e tutti i ma che ci arrivano dall’altra parte: si elimina così il grande problema dell’incomprensione che abbiamo nei confronti degli altri.

Antonella: È difficile perdonare, per tutti, ma è possibile e necessario! Ce l’abbiamo messa tutta per trasmettere questo nel romanzo.

–  Qual è stata la parte più difficile da scrivere durante la stesura, visto il lavoro a quattro mani? Quali le scelte e i pensieri diversi?

Antonella: In generale tutto il libro è stata una bella sfida: l’abbiamo scritto lontani, ognuno a casa propria, ma poi ci siamo incastrati bene, capitolo dopo capitolo.

–  E l’avete mai riletto?

Antonella: No, mai. Abbiamo un occhio troppo critico.

–  Il libro è ambientato in un paesino della Puglia. Scelta casuale o spinta dal desiderio di mettere in luce il nostro territorio?

Antonella: In realtà entrambe le cose.

Paolo: Si scrive quello che si conosce. Noi abbiamo un contesto paesaggistico variegato, ma non è sempre apprezzato e messo in risalto. Serviva un’ambientazione adeguata. Quale migliore più della nostra?

–  Il finale è aperto, spiazzante.

Paolo: L’enigma di uno scrittore è dare una conclusione. È una grave abitudine cercare e volere un finale preciso che tolga dubbi. In effetti il lettore medio disprezza la cruda realtà: la verità non è mai bella, confessata così com’è. I finali aperti, quindi, servono anche a questo: a interrogarsi, a destabilizzarci.

  • Che parola usereste per descrivere questo libro, riassumendo la sua morale?
  • Antonella: Speranza. Bisognerebbe insegnare alla gente la capacità di perdonare, come già detto prima, soprattutto nei tempi che corrono. Si è persa l’abitudine di analizzare i nostri sentimenti più profondi.

Paolo: Io userei l’aggettivo “Sincero”. Non abbiamo creato impalcature, effetti speciali. È tutto molto vivibile, reale. Appartiene ad ognuno di noi.

–  Avete pensato a un secondo libro?

Antonella: Sì, abbiamo buttato giù diverse trame, ma poi…

Paolo: Poi ci siamo scontrati con la difficoltà di emergere in una realtà provinciale come la nostra. L’editoria generalmente è un po’ pavida, ma si dimentica che l’esordiente parta dal locale. Per questo si dovrebbe puntare necessariamente alle novità del proprio territorio: dobbiamo cambiare molto, dobbiamo ancora evolverci. In ogni caso, abbiamo scritto singolarmente due racconti, entrambi arrivati in finale e premiati.

-Anche questo romanzo ha ricevuto dei riconoscimenti.

Antonella: Sì! È stato finalista al concorso nazionale Il Saggio e ha ricevuto il premio nazionale di poesia, narrativa e fotografia “Alberoandronico”.

Giorgia Ruggiero

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