Svegliarsi negli anni venti di Paolo Di Paolo: il rapporto col futuro e la morte del mondo come lo conoscevamo

by redazione

Svegliarsi negli anni venti è l’ultimo libro di Paolo Di Paolo. Già il titolo può essere un primo spunto di riflessione: facciamo ancora un po’ di fatica a realizzarlo del tutto, ma quando parliamo degli anni venti ormai ci riferiamo anche al presente e non solo agli anni ruggenti del jazz, di Freud e di Fitzgerald. Un decennio, quello, che ha visto contraddizioni e cambiamenti, sfarzo e fragilità, e che il libro si propone di ricordare e analizzare a confronto con il presente.

Paolo Di Paolo lo ribadisce chiaramente però, è un’esigenza nostra, umana, poco scientifica e molto psicologica quella di dividere il tempo in decadi ed epoche sempre troppo arbitrarie. Tuttavia è quello il punto di partenza del libro, che non vuole tanto trarre conclusioni assolute o fare pronostici improvvisati sui tempi che viviamo e vivremo, ma piuttosto vuole essere un momento di riflessione, un posto di blocco per fermarci qualche momento a tirare le somme, per renderci conto di dove siamo, di cosa possiamo aspettarci.

E infatti il libro procede proprio così, per grandi domande che ci facciamo tutti e che ci siamo sempre fatti: di cosa abbiamo paura, con chi ce l’abbiamo, come ci sentiamo, per dirne alcune. A rispondere non è l’autore, ma sono i protagonisti del secolo scorso a confronto con quelli di oggi, a dimostrare che nella storia quasi tutto torna, e i problemi di chi assiste scettico alla nascita e all’ascesa della fotografia non sono così diversi da quelli di chi ogni giorno si trova davanti decine di selfie su Instagram, così come si assomigliano Kafka, quando parla dell’impersonalità delle conversazioni a distanza, via lettera, e i professori che oggi sono alle prese con la didattica a distanza, ancora, e soprattutto, sono davvero simili quelli a letto con l’influenza spagnola e i malati di Covid.

È una prospettiva davvero interessante a questo proposito quella di prendere come spunto per ogni capitolo Siri e Alexa, assistenti virtuali di Apple e di Amazon rispettivamente, che sono entrate nelle case di tutti e ormai sono molto di più di una voce registrata, sono quasi parte della famiglia, ci rivolgiamo a loro con spontaneità, ci può capitare di dimenticare, sovrappensiero, che effettivamente non stiamo parlando con nessuno, perché Siri e Alexa rispondono, anche ai grandi interrogativi che gli pone l’autore, con una loro personalità, prendendo in prestito parole di grandi pensatori, o anche liquidandoci con sarcasmo a volte. Parlare con loro diventa un po’ come interfacciarsi con l’umanità intera idealmente astratta, cosa paradossale visto che si tratta di intelligenze artificiali ma che ha un che di poetico.

Tornando però ai contenuti del libro, Paolo Di Paolo non si limita a un elenco di similitudini tra due decadi, no, sarebbe riduttivo e lascerebbe un po’ il tempo che trova. Del resto la vita si può capire solo all’indietro ma la si vive in avanti, lo diceva Kierkegaard. No, invece a parlare sono soprattutto i protagonisti di quegli anni, grandi scrittori, pittori o scienziati, che però vengono presentati innanzitutto come uomini alle prese con i cambiamenti del loro tempo. Il libro dopotutto nasce da una serie di viaggi fisici dell’autore nei luoghi di vita di questi personaggi, tra la Copenaghen di Bohr, oggi capitale dell’innovazione green, alla Parigi sempre in fermento piena di artisti e modelle (viaggi che, tra l’altro, si realizzano poco prima della pandemia, fornendo un altro spunto di riflessione: il ritorno dei confini, l’impossibilità degli spostamenti proprio nel momento storico apice della mobilità e del cosmopolitismo. Al contrario degli anni venti del Novecento, quando si aveva appena finito di disegnare nuovi confini, oggi, negli anni venti del Duemila, non abbiamo quasi più confini ma ci troviamo comunque a non poterli attraversare).

Insomma questi sono viaggi all’inseguimento della vera essenza di personaggi così conosciuti, di un lato fragile e umano che fornisca un punto di vista privilegiato da cui poter osservare le contraddizioni di un’epoca intera. C’è una digressione, ad esempio, su Carlo Fiala, protagonista di un romanzo di Franz Werfel; il personaggio quindi è di fantasia ma diventa specchio dell’interiorità dell’autore in qualche modo. Fiala è austriaco e vive il trauma post Prima guerra mondiale, ma soprattutto vive la morte del mondo come lo conosceva: era un usciere imperiale, rispettato, con una stabile posizione sociale, e ora la sua Vienna, da polo principale della cultura e dello sfarzo, si ritrova a essere lo scheletro di un impero crollato, e Carlo Fiala non può accettarlo, si ostina a credere che tutto tornerà come prima, pensa alla sua divisa bella e scintillante anche se in realtà sta prendendo polvere. E oggi Carlo Fiala rischiamo di esserlo tutti noi: di fronte a cambiamenti epocali che non avremmo mai immaginato e per cui non eravamo assolutamente preparati, rischiamo anche noi di cullarci nell’idea che presto tutto “tornerà alla normalità”, senza così prendere coscienza di come possiamo impegnarci per affrontare il futuro concretamente.

Questo mi porta a concludere sul tema fondamentale del libro, almeno a mio avviso; il rapporto con il futuro. Vari capitoli sono spesi sulla questione climatico-ambientale, sul dialogo con i giovani, sull’integrazione, con la chiara speranza che il ricordo del passato e le idee dei grandi di un secolo fa, anche e soprattutto con tutti i loro errori, possano darci armi in più per superare la contemplazione del passato, prendere in mano il presente e fare del nostro meglio per trasformarlo nel futuro che vogliamo.

Michele Ciletti

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