“Un metro lungo due metri” di Mauro Orletti: Remo Gaspari e i singoli anfratti d’Italia

by Francesco Berlingieri

Mauro Orletti
Un metro lungo due metri
(Exorma)

Ill mio undicesimo compleanno lo festeggiai a Caravaggio, in provincia di Bergamo.

Lì, a Caravaggio, c’era zio Giuseppe, che lavorava in ferrovia.
Attraversammo l’Italia in macchina. Una traversata della speranza.
Erano gli ultimi giorni di luglio. Era il 1987 ed ero molto spaventato.
Perché, al telegiornale, avevo saputo del crollo di una diga in Valtellina, nel Nord.
Ero un grande consumatore di tg, ai tempi. Delle tre reti Rai, ovviamente. Gli altri non c’erano.
Eppure ignoravo che il Nord non fosse un monolite. Così parlavo a tutti della diga in Valtellina. E mi meravigliavo che, proprio a Caravaggio, nessuno ne sapesse niente. Ritenevo sconsiderata quella sottovalutazione.

In Valtellina, zona di Sondrio, dal 18 al 28 luglio del 1987, le piogge torrenziali avevano causato una serie di frane e di smottamenti, con interi paesi spazzati via, un numero esorbitante di sfollati e uno imprecisato di morti. Sul campo, a rappresentare il governo nazionale in qualità di ministro – ma questo non potevo saperlo – c’era Giuseppe Zamberletti, politico varesotto che finirà agli annali come “padre” della moderna Protezione civile. Il governo, quando comincia l’alluvione, è guidato da Amintore Fanfani. Poi, un rimpasto volto a bilanciare le correnti interne della DC e il rapporto di forza con gli alleati, cambia gli scenari. Il nuovo capo dell’esecutivo diventa Giovanni Goria. E in Valtellina, tra le rovine, al posto del capace Zamberletti, ci finisce Remo Gaspari da Gissi.

Ecco.

Remo Gaspari è uno di quei nomi che, senza bisogno d’altro, evocano – affastellate, confuse eppure chiarissime – le immagini emotive di un’intera epoca. Un po’ come Schultz e Shevardnadze. Come Bonolis a Bim Bum Bam. Come i trancini del Mulino Bianco. Uno di quei nomi grigi e misteriosi – direi quasi esoterici – della nomenklatura democristiana della Prima Repubblica; un nome da “transatlantico” del Tg1 delle 20, quando nonno bloccava gli orologi e la camera in mezzo si riempiva di Pentapartiti e partecipate. Remo Gaspari è un De Mita, un Cirino Pomicino, un bene fungibile. Uno di quei riferimenti domestici dei quali, andando a stringere, a stento conosciamo la rudimentale biografia.

Uno di quei personaggi che mai avrei pensato di trovare in un libro. E mai, soprattutto, avrei pensato di leggerlo, un libro così, con Remo Gaspari nel ruolo del protagonista. Invece è avvenuto. Perché Mauro Orletti, che con l’esoterico democristiano condivide l’entroterra natio, ha un talento smisurato per le grandi narrazioni dei piccoli fatti. E, con una prosa a tratti iperbolica, riesce a raccontare un paese nel Paese, una famiglia – la sua – tra tante famiglie simili, una Storia alta e al contempo minuta, la sua Chieti come ogni singolo anfratto dell’Italia di quegli anni che ancora ruggivano e intanto dolevano.

Consigliato. A tutti coloro che ancora credono che si possa uscire vivi dagli Ottanta. E a tutti quegli altri che, in un mare di commissari sbilenchi e noir inoffensivi, cercano un po’ di letteratura domestica, fatta per bene. Come in certi ristoranti scampati al turismo di massa.



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