“Una donna a Berlino”, Marta Hillers e il tabù degli stupri dell’Armata Rossa della Liberazione

by Daniela Tonti

Una donna a Berlino è un diario del periodo che va dal 20 aprile al 22 giugno del 1945 a Berlino che racconta in maniera agghiacciante le esperienze vissute in prima persona dall’autrice durante l’occupazione della città da parte dell’Armata Rossa.

Anonima racconta in dettaglio gli stupri subiti dalle donne in un diario che rimase a lungo nel cassetto. I risvolti più neri delle pagine della Storia erano ancora argomento tabù su cui si preferiva tacere per la vergogna e per la paura di non essere credute.

Molti hanno scritto del crollo del Terzo Reich e dell’inizio del periodo di occupazione, della fame, delle macerie, delle tempeste di fuoco e dei bambini. Ma nessuno mai aveva scritto delle quasi due milioni di donne tedesche di età compresa tra gli 8 e gli 80 anni che furono violentate, come una sorta di punizione per il solo fatto di essere tedesche e di aver preso parte, anche silente, al nazismo.

Su richiesta dell’autrice il diario fu pubblicato in forma anonima e soltanto dopo la sua morte si scoprì che era la giornalista Marta Hillers. Marta non volle associare il suo nome al diario al punto che qualcuno ipotizzò si trattasse di un falso.

Il diario travalica l’esperienza personale per divenire la parabola di tutte le donne che in Germania dovettero fare i conti con la violenza dell’esercito russo considerato in un primo momento “liberatore”. Divennero il capro espiatorio del male nazista. Si tratta di un’opera agghiacciante e senza omissioni su quello che è stato definito lo stupro di Berlino e dalla quale gli uomini escono malissimo. Vigliacchi e incapaci di difendere le donne tedesche, spesso andavano a nascondersi durante le violenze.

Ho osservato in questi giorni che i miei sentimenti, i sentimenti di tutte le donne, di fronte agli uomini stanno mutando. Essi ci fanno pena, ci appaiono meschini e privi di forza. Il sesso debole. Una specie di delusione collettiva si diffonde, sotto alla superficie, tra tutte le donne.

Le donne divennero come gli orologi da cui erano ossessionati i russi e che saccheggiavano ovunque indossandoli tutti in segno di ricchezza.

Nella prima edizione Ceram scrive che Una donna a Berlino è “un documento e non un prodotto letterario” ponendo l’accento sul suo valore di testimonianza.

L’autrice, una donna sola il cui compagno è al fronte, descrive i bombardamenti e la vita nelle cantine dove si sviluppano dinamiche strane di convivenza forzata fino a descrivere scene di saccheggio e la caduta di ogni regola civile. La sua piccola mansarda diventa quasi subito inagibile a causa dei bombardamenti e così accetta l’ospitalità di una vicina vedova. Con loro vive anche un uomo, Herr Pauli, che si rivelerà totalmente inutile. Sono le forze delle donne a mantenerlo in vita, sono loro ad arrabbattarsi in cerca di cibo, a fare le file, ad andare a prendere l’acqua. Mano man che i giorni passano la vigliaccheria degli uomini diventa sempre più evidente.

Così il libraio ha la scusa della sua appartenenza al partito, il disertore quella della sua diserzione, altri quella del loro passato nazista e dietro a tali scuse si barricano quando si tratta di andare a prendere l’acqua o di osare qualche altra cosa. Le donne fanno anch’esse del loro meglio per difenderli dai cattivi nemici. Perché, che cosa mai potrebbero fare a noi donne? Ormai a noi hanno fatto di tutto. Quindi siamo noi che tiriamo la carretta.

Marta conosce il russo. Nei primi giorni cercherà di salvare la moglie del panetterie da un tentativo di stupro da parte di due soldati e il salvataggio le costerà la violenza a sua volta. Nonostante le sue disperate richieste d’aiuto nessuno dei suoi compagni in cantina aprirà la porta. Violentata due volte, dai russi e dai suoi compagni. Non esiste solidarietà umana. Marta lo capirà presto.

Una sera un vecchio soldato entra nell’appartamento e la stupra per tutta la notte in modo particolarmente umiliante. Le apre la bocca per sputarci dentro e le getta un mezzo pacchetto di sigarette sul letto come pagamento. Questa ennesima esperienza di stupro crea una sorta di punto di svolta per l’autrice, che decide che doveva usare il suo cervello per uscire da quella situazione. «Qui dentro deve venire un lupo che tenga lontano altri lupi. Un Ufficiale, il più in alto possibile, un comandante, un generale, quello che riesco a trovare.»

Troverà dapprima protezione nel tenente Anatol. Una protezione fasulla che non le risparmierà altre violenze ma che le darà qualche forma di beneficio (pane, burro) per sé e per il piccolo menagè famigliare.

L’autrice si interroga a lungo sul dolore delle madri e sul risemento delle mogli.

Che cosa proverà mai la madre di una ragazza rovinata? Che cosa proverà chi ama sul serio e non può prestare aiuto o non osa prestarlo? A quel che pare i mariti sposati da molti anni sono quelli che sopportano meglio. Non si riesce a spiegarselo. Il loro conto un bel giorno se lo vedranno presentare anche dalle proprie mogli.

Marta racconta storie agghiaccianti sui suoi stupri e su quelli di altre donne, incluso il dolore di una donna che è stata violentata 20 volte di seguito:

La sua bocca gonfia esce dal viso pallido come una prugna blu. … Senza una parola apre la camicetta e ci mostra i suoi seni, tutti lividi e morsi. Riesco a malapena a scriverlo; solo a pensarci mi fa vomitare tutto ancora una volta.

Molte sono le donne che si suicidano o vengono assassinate da soldati ubriachi. Tutte sono pervase da una vergogna profonda ma trovano il coraggio di sfogarsi e curarsi le ferite tra loro come possono.

La piccola Gerti, diciannove anni, esile e pensierosa. Finalmente confessò gli occhi abbassati che tre russi l’avevano violentata sul divano di un appartamento di estranei a pianterreno. Misero sottosopra l’appartamento e dopo averla stuprata trovarono marmellata e surrogato di caffè. Tra grasse risate versarono la marmellata, a cucchiai, sulla testa della piccola Gerti: e quindi vi spolverarono sopra il caffè. Fissai esterrefatta la piccola mentre raccontava a voce bassa, vergognosa, china sull’asse del lavatoio; cercai di immaginarmi la tremenda scena. Mai, mai un autore di romanzi avrebbe potuto inventare qualcosa di simile.

Marta descrive gli stupri, quello che chiama il dolore collettivo di tutte le donne non solo fisico ma anche psicologico che definisce la somma delle lacrime. Non sa più per quale motivo è al mondo si interroga a lungo sulla profonda repulsione per tutti gli uomini e non sa se tornerà mai più la ragazza di prima che amava riamata il suo compagno.

Ho l’impressione di essere molto ben corazzata per la vita, come se avessi membrane per galleggiare sul fango, come se la mia fibra fosse particolarmente flessibile e resistente. Dall’altra parte vi sono molti fattori negativi. Non so più che ci stia a fare a questo mondo. La somma delle lacrime, dei dolori e dei timori, con la quale ciascuno paga per la propria vita rimane costante.

Tento di immaginarmi cosa sarebbe stato se tale esperienza di vita mi fosse capitata per la prima volta in un modo simile. Devo ricacciare il pensiero. Una cosa è certa: se questa ragazza in qualsiasi momento di pace fosse stata violentata da un qualche vagabondo avrebbe avuto uno choc ben diverso. Qui invece si tratta di un’esperienza collettiva, preventivata, spesso temuta. E questa forma collettiva delle violenze sessuali di massa dovrà anche essere superata collettivamente.

Uno dei momenti più tristi per Marta è quando è costretta a lasciare la casa della vedova e ritornare nella sua mansarda. Quando il tenente era partito, Herr Pauli, l’uomo più inutile sulla faccia della terra, le aveva fatto capire che non era più la benvenuta perché le riserve di cibo della vedova si stavano assottigliando. Ma Marta recupera le forze per sistemare la mansarda e uscire di nuovo in cerca di cibo.

L’incomprensione tra gli uomini e le donne diventa sempre più profonda. “Vi siete trasformate tutte in un branco di puttane senza vergogna, ognuna di voi nell’edificio”, commenta il suo compagno tornato dal fronte incapace di accettare quelle donne che parlavano così apertamente delle violenze subite.

Nel 1954 il giornalista e scrittore Kurt Wilhelm Marek – che abitava nella stessa zona dei fatti – dopo aver scoperto l’esistenza del diario convinse l’autrice a pubblicarlo negli Stati Uniti e successivamente in Germania nel 1959.

Marta Hillers si aspettava che il libro fosse accolto positivamente dai tedeschi se non altro perché il mondo avrebbe saputo che anche loro erano stati vittime della guerra. Tuttavia i tedeschi risposero con ostilità o silenzio mettendone persino in dubbio l’autenticità.

Le donne tedesche non dovevano parlare della realtà degli stupri e gli uomini tedeschi preferivano non essere visti come spettatori impotenti.

L’atteggiamento dell’autrice è stato un fattore aggravante che i suoi connazionali non le hanno mai perdonato. Marta Hillers era priva di autocommiserazione, con una visione lucida del comportamento dei suoi compatrioti prima e dopo il crollo del regime nazista.

Il resto del mondo, com’era prevedibile, provava molta poca empatia per il dolore inflitto alle donne tedesche visto l’orrore di cui la Germania si era macchiata.

Il libro sembrava quasi dimenticato fino al 2003, quando il famoso autore tedesco Hans-Magnus Enzensberger ne organizzò la pubblicazione postuma. È diventato rapidamente un titolo di successo ed è entrato nelle opere più importanti sulle crudeltà della seconda guerra mondiale. 

Questa è la nostra forza. Noi donne abbiamo sempre davanti agli occhi i fatti più vicini. E siamo sempre contente quando possiamo rifugiarci nel presente dopo le elucubrazioni sul futuro. Il salame, attualmente, occupa il primo posto in quei cervelli e allontana dai loro sguardi la prospettiva delle cose grandi ma lontane.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.