Una tartaruga che vuole sfidare il suo letargo e la diversità come particolarità che apre spiragli: è “Il lungo inverno di Ugo Singer”. Intervista ad Elisa Ruotolo

by Giammarco Di Biase

Inizia come una storia d’amore neorealista “Il lungo inverno di Ugo Singer” di Elisa Ruotolo (Bompiani, 2022). Un lettore direbbe che è impossibile: i protagonisti sono  degli animali e il racconto attraversa il genere della favola e i suoi tòpoi letterari ben precisi. Ma, proprio come in tutte le favole, ogni animo gode della sua maschera, e quindi del suo animale: la grande umanità di carapaci gatti e topi.
Ci sono uomini e donne nascosti nella storia di Ugo, c’è la scrittrice e il suo grande cuore negli anni assopiti di una corazza o nella calvizie di un topo.
Inizia con una coppia di tartarughe, l’ultima opera della scrittrice di “Quel luogo a me proibito”. Sembra provenire da un mondo bellico Ester, che lotta con la sua fame annidandosi come fosse figlia di un’altra specie al riparo dal gelo del Novecento: nei fiori rossi si inciampa su mine inesplose, c’è la guerra, forse ancor prima delle stragi il boom economico affaccendato e il respiro operoso di muri che si innalzano. Un racconto universale che invade le epoche è, ancor prima di essere la storia di un figlio, “Il lungo inverno di Ugo Singer”. La segnaletica dell’Uomo che si ripete: il capitalismo avvampa in nome di ricchi profeti e non salva dal letargo gli sconfitti e i poveri.
Ester e suo marito lottano da anni per restare uniti tra gli attriti della Storia, ricercano provvigioni e pregano nell’avvento di un posto sicuro: la celebrazione di una casa che li terrà al sicuro. Ottimizzando tempi e spazi (prima che sia biologicamente troppo tardi) provano da troppi anni ad avere un figlio; ed ecco che Ugo, in uno scantinato umido, nascerà da un debole guscio tra vecchie macchine per il cucito “Singer”. Un piccolo carapace che vivrà fin da subito con la sua grande “sopraffazione”: un rigetto per gli spazi limitati e una prepotente passione per l’Esterno che non ha mai conosciuto.


Ugo, prima di diventar troppo vecchio, sfiderà mai i suoi letarghi? Conoscerà mai “i luoghi proibiti” dalla sua natura? Lui, che è un carapace lento, sarà d’esempio per questo mondo senza magia?

Elisa, in quanto tempo hai scritto Ugo Singer?

E’ da sette anni che scrivo la storia di Ugo, ogni volta occupandomi ossessivamente del finale. Mi sentivo sopraffatta da alcune chiusure di cui ero indecisa: non mi ritenevo soddisfatta. Mi dicevo di aspettare, che era un racconto e aveva bisogno di riposare in un cassetto. I miei personaggi dovevano alleggerirsi di un peso: avrei dovuto riprenderlo con il passare degli anni e così è stato. Ugo, ad un certo punto, ha avuto la sua svolta. La sua storia ai miei occhi finalmente era completa.

Com’è nata la storia di Ugo?

Ebbi l’idea del protagonista, una tartaruga che vuole sfidare il suo letargo e la sua natura lenta al di fuori di quattro mura umide, osservando la mia piccola tartaruga Ughetta. E’ da anni ormai che la vedevo invecchiare senza lasciare segni sul suo guscio: io crescevo, da ragazza diventavo donna, da studentessa e lettrice diventavo scrittrice: vivevo le mie sconfitte e le mie gioie e lei restava sempre lì affacciata per la prima volta sul mondo, illesa. Allora pensai di raccontare la profonda irrequietezza di un animale lento che vuole vincere, al di sopra delle sue opportunità e possibilità, a costo anche di rischiare la sua lunga permanenza sulla terra: lei che vede invecchiare il suo migliore amico Sam e ne soffre, che si sente diversa, che vorrebbe essere più “umana”. Lei che non scopre mai la gioia dell’inverno perché riposa biologicamente, non si accontenta di vivere dal primo momento i limiti della sua natura: vuole trapassarla, non per bramosia come Ulisse, ma per arricchirsi, per scoprire che la sua “diversità” di essere vivente su questa terra è anche la sua più grande ricchezza.

Nei tuoi libri sento l’influenza di Anna Maria Ortese: gli oggetti che utilizzi nel racconto, la vecchiaia insita già nell’infanzia e nei poveri adolescenti. E’ giusto pensare, secondo te, che una letteratura antica intervenga nelle tue opere già da “Ovunque, Proteggici?

 Amo Anna Maria Ortese, amo soprattutto i suoi racconti de “Il mare non bagna Napoli”. Mi sento strettamente collegata alla sua letteratura, abbiamo vissuto la stessa terra: ci sono le stesse bambine sagge e invecchiate come sarte nei rioni. La loro è una vita di stupore ma anche di stenti: sono cresciute prima del tempo. Molte delle mie opere nascono prima di tutto come raccolte di racconti: vedi ad esempio “Ho rubato la pioggia” per Nottetempo. Scrivo molti racconti, tra un libro e l’altro: “Il re di Napoli” e altri ancora nel cassetto da pubblicare. Anche quello di Ugo è un racconto intervallato dalle bellissime illustrazioni di Chiara Palillo e anche qui il protagonista sembra non aver mai vissuto la sua infanzia. La desidera per sempre: chi non ha mai vissuto la sua giovinezza ne mantiene intatto e fedele il desiderio dentro sé.

Cosa pensi possa insegnare ad adulti e bambini “Il lungo inverno di Ugo Singer”?

L’importanza di non considerare la diversità come un handicap, ma come una particolarità che apre spiragli e opportunità: perché dobbiamo mantenere sempre intatta la nostra identità.

Il libro sarà tradotto in altre lingue come è successo in Francia per la tua donna bonsai di “Quel luogo a me proibito”?

Pochi giorni fa abbiamo ricevuto una bellissima notizia: la Germania ha comprato i diritti per la traduzione del nostro Ugo. Sono estremamente gioiosa e grata alla Bompiani per aver dato un’opportunità al Mio Ugo Singer.

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