“Volevo un muscolo che continuasse a pulsare nello stesso modo fino alla fine.” Marta Barone racconta “Città sommersa”

by Paola Manno

Da settimane penso a “Città sommersa”, candidato al Premio Strega, vincitore del Premio Vittorini 2020, romanzo d’esordio di Marta Barone, classe 1987. Penso al protagonista Leonardo, suo padre, un uomo “disordinato, chiassoso, trasandato nel vestire e povero in canna da sempre”, ma insieme coltissimo, uno di quelli che hanno creduto in un’idea fino alla fine, di quelli che hanno pagato caro, carissimo l’amore in una fede politica. 

Ci penso perché ciò di cui narra il romanzo è proprio questo: il valore di un sogno. Me lo immagino il ragazzo Leonardo Barone, partito dalla Puglia per Torino, convinto di poter cambiare il mondo, alle riunioni del Partito dei Marxisti Leninisti, a distribuire volantini davanti alla FIAT, con una laurea in Medicina in tasca.

Poi, penso al finale che è struggente e che mette nero su bianco la disillusione di un uomo insieme a quella di un Paese; questo dolore arriva fino a me, fa male ancora oggi. Ci penso per giorni perché non posso credere che le idee non camminino sulle gambe delle persone, perché non voglio accettare che chi crede nel bene sia sempre sconfitto. Allora penso che ho bisogno di conservare un pensiero del ragazzo Leonardo e di sua figlia che a un certo punto ha fermato tutto il resto e ha deciso di raccogliere testimonianze, girare per archivi, non stancarsi di parlare con le persone, e ha scritto. 

Così, qualche giorno fa, anch’io ho scritto una mail a Marta Barone e lei mi ha risposto dopo 20 minuti, tanto velocemente che non ero ancora pronta con le domande. E questa è la prima cosa bella: l’immediata disponibilità di chi conosce l’urgenza dello scrivere. 

La ricontatto il giorno dopo, selezionando poche domande, quelle che mi sembrano essenziali, e tra un  presentazione e l’altra, così come mi spiega, arrivano le sue risposte, che raccontano un lavoro lungo, articolato. Lo credo bene, per me “Città sommersa” è uno dei più bei romanzi scritti negli ultimi anni.

La storia di L.B. è molto articolata e ci sono vari salti temporali, ma il racconto è pulito, chiarissimo. Ci racconta qualcosa del suo modo di lavorare?

“Due anni e mezzo dopo la morte di mio padre, ho trovato (o meglio, mi è stato messa in mano) la memoria difensiva del processo che aveva subìto per partecipazione a banda armata, perché, come medico, aveva visitato un ferito di Prima linea. Dall’accusa è poi stato completamente prosciolto, ma non è uno spoiler, lo dico nelle prime venti pagine.

Quello che mi interessava nella nebbia di quel linguaggio burocratico era questo giovane sconosciuto che non aveva mai raccontato niente di ciò che era successo, se non per piccoli cenni, e non aveva mai detto nulla del suo passato come importante attivista politico dell’estrema sinistra torinese. La ricerca di quel fantasma mi ha portata a parlare con molte persone, a consultare archivi, a leggere molto. Stiamo parlando del 2014-2015. Alla fine avevo moltissimo materiale (a cui poi se ne è aggiunto altro, a sorpresa) e dovevo solo capire come organizzarlo.

All’epoca scrissi qualcosa, feci uno schema, poi mi ritrovai intrappolata: non riuscivo a trovare la chiave per accedere a tutta quella vita, per quanto piena di buchi. L’illuminazione è arrivata nel 2018, quando ho capito che anche io, con le mie convinzioni cieche all’inizio, dovevo diventare personaggio: a quel punto ho tradotto il materiale in un centinaio di piccole schede numerate che erano solo ritagli di carta, e che sapevo avrebbero potuto cambiare posto a seconda della necessità.

Quindi sin dall’inizio già sapevo ‘che cosa sarebbe successo’, dove si sarebbero collocate le digressioni che mi permettevano di collegare il mio presente al passato di L. B., come ho deciso di ribattezzare mio padre quando è diventato mio personaggio, dove le cose importanti, i cuori forti della storia, avrebbero trovato posto; e così ho scritto per un anno e mezzo, con enormi difficoltà perché volevo una prosa alta, lontana dal saggio e dalla cronaca giornalistica, e della quale non ero mai soddisfatta. I libri che leggevo sono stati importanti stampelle per aiutarmi in questo compito difficilissimo. La cosa essenziale è che non volevo un racconto scollegato, né una biografia, né un memoir, secondo le caselle standard: volevo un muscolo che continuasse a pulsare nello stesso modo fino alla fine. La scrittura per me è un incubo e una necessità.

Quale risposta stava cercando? 

Non cercavo nessuna risposta: cercavo una storia. Ho dovuto accontentarmi del fatto che fosse piena di buchi, ma forse sono proprio quei buchi, e la natura sfuggente del protagonista, a renderla più evocativa, più potente.

Il suo è un libro pieno di riflessioni. Quella che mi ha colpito di più è la seguente “…che cosa infine lo rese diverso da tutti gli altri, quelle persone acquiescenti e amabilmente fataliste da generazioni, i leali impiegai, le implacabili donne di casa. (….) Cosa gli diede quel perentorio, irrevocabile senso dell’ingiustizia? Fu per reazione, per accidente o vocazione? Come si genera in un uomo il destino della compassione?” Ha trovato una risposta a queste domande?

No, non ho risposte. Ma forse quello che un libro pone sono solo domande.

Cosa è successo dopo la pubblicazione del romanzo? Oltre ai riconoscimenti letterari, che cosa le ha dato questo libro? 

Certamente mi ha dato molto a livello pratico, tanti incontri, riconoscimenti, premi, conversazioni con persone che hanno vissuto quel tempo, lettere bellissime. Ci sono momenti in cui provo una sorta di distacco che, suppongo, sia sano; altri in cui quasi mi manca vivere in quella dimensione totalizzante. Oggi tornavo a casa sotto la pioggia, a Torino, e per un istante ho sentito il fantasma del ragazzo – mio padre, il ragazzo – che mi camminava accanto o mi possedeva. Quello che mi ha lasciato il libro non è il perdono, o altre cose facili: ma mi ha dato un fantasma amorevole da cui ogni tanto vengo toccata. E tante persone vive che ora mi amano non solo in quanto figlia di, ma in quanto me. Questo è quanto.

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