X di Valentina Mira e il racconto di una violenza sessuale. «Lo stupro è un atto di guerra. Di potere e sopraffazione»

by Niccolo Bellon

Andrebbe letto ad alta voce nelle classi delle scuole italiane “X”, l’esordio fulminante di Valentina Mira (ed. Fandango libri, 176 pagine, 15 euro).

Bisognerebbe parlarne, discuterne, proporne la lettura ai club delle province e ai circoli delle grandi città, e ancora andrebbe regalato alle amiche, ai compagni, ai mariti, i figli, le sorelle. Perché X è un manifesto, una lezione, una favola fatta di principesse stuprate e principi azzurri un po’ testardi, un po’ fascisti, abitata da lupe coraggiose e stregoni insaziabili.

X è una dichiarazione d’amore tardiva a un fratello che c’era e non c’è più.

È stata stuprata la notte di un’estate di undici anni fa, perché ha deciso di raccontare soltanto ora l’accaduto?

Pensiamo di rimuovere ciò che ci succede e andare avanti con la vita come se niente fosse. Poi un giorno ti accade una cosa abbastanza simile, magari a dinamica inversa, e ritorna tutto.

X è un circolo vizioso.

Da cui un giorno ho deciso di uscire.

Come?

Rivendicando la rabbia.

In che modo?

Dicono che la violenza è sempre sbagliata, io penso che questo sia un luogo comune. Ci sono molte forme di violenza, tutte diverse tra loro, alcune estremamente legittime, e sono poi quelle che cambiano il mondo. Ma pensiamo alle donne. A noi viene inibita ogni forma di grinta, aggressività, fin da bambine. Agli uomini dicono di non piangere, a noi di non arrabbiarci. Così diventiamo passive aggressive, ce la prendiamo con noi stesse. Per uscire da questo loop infernale ho deciso di riconquistare quel sentimento primario che mi era stato vietato: la rabbia.

Tornando a quella notte, scrive: L’uomo nero è l’amico bianco con la celtica al collo.

C’è tutta questa retorica sul mostro, lo sconosciuto…

Il pazzo.

Ecco. Definirli “pazzi”, dire che vanno curati necessariamente… Non credo che si debba essere pazzi per fare una cosa del genere. Dicendo che sono pazzi gli stupratori da una parte allontani quel discorso dal quotidiano, come se non ti potesse succedere mai, dall’altra stai sottintendendo che le persone che hanno problemi mentali siano anche violente quando in realtà, quelli che chiamiamo “pazzi”, spesso, sono le vittime.

Allora chi è l’uomo nero?

Non c’è nessun uomo nero, in realtà. Od orco o mostro. Soltanto una cultura per cui prendi il mio “no” come un invito a continuare, a conquistarmi meglio.

Non è un’eccezione, lo stupro: è una dinamica. E purtroppo fa parte anche della cultura italiana, ed è molto più frequente di quello che ci piacerebbe pensare.

Dopo la pubblicazione del video in cui Beppe Grillo difende il figlio Ciro, indagato per violenza sessuale, commenta Michela Murgia, su Repubblica: “Per un meccanismo sociale che si chiama cultura dello stupro […] il consenso femminile ai rapporti sessuali è considerato implicito anche in assenza di disaccordo. Se non dici no, allora è già sì.” Una cultura quindi, quella dello stupro, nella quale la violenza e gli abusi sono normalizzati, incoraggiati e minimizzati, e con loro anche gli atteggiamenti e le pratiche che giustificano e sostengono quella violenza. La prima a parlarne è stata Susan Brownmiller nel libro “Against our will: Men, women and rape.” Era il 1975.

Per restare sul contemporaneo, ti cito “Transito” di Aixa de la Cruz (ed. Giulio Perrone). Mi ha molto colpito quando scrive che la differenza tra lo stupro e gli altri reati sta nello stigma che si porta appresso. Tu non puoi parlarne. Ed è così: quando provi a dirlo ti chiedono se sia vero. La parola stessa, stupro, è troppo violenta. È difficile, se non impossibile, da processare.

Lei, infatti, non l’ha denunciato.

Il 90% degli stupri non vengono denunciati. Pensi che all’anno ne vengono dichiarati 4.015: in realtà sarebbero 40.150 (dati Istat del 2017).

Perché scegliere il silenzio?

Sono tantissimi i motivi.

Me ne dica uno.

Lo stupro avviene per lo più a porte chiuse, tra due persone. Come si fa a raccogliere le prove in assenza senza testimoni? Non ti lascia necessariamente delle tracce, e se te ne lascia potrebbe trattarsi di un altro reato, magari percosse. Lo stupro non è facile da dimostrare: devi andare entro 48-72 ore da un medico, e provare che non fosse un atto consensuale. È molto complicato avere quella prontezza per cui entro due-tre giorni realizzi che sei stata violentata. La scuola sotto questo punto di vista non ti forma, e solitamente succede a un’età in cui non puoi permetterti avvocati senza l’aiuto dei tuoi genitori, a cui magari non puoi nemmeno dirlo.

Ma rimango ottimista, qualcosa sta cambiando.

Cioè?

C’è sicuramente un problema di narrazione ed educazione.

Dal punto di vista giornalistico le critiche si sprecano, penso appunto alle etichette di cui parlavamo prima: il mostro, l’uomo nero. Termini da romanzo gotico di fine Ottocento.

Riporto un dato interessante (da un’indagine presentata nella primavera del 20198 dalla FNSI e patrocinata dall’ODG): l’85% delle giornaliste aventi contratto ha subito molestie da capi superiori. Il giornalismo rimane l’unico settore in cui la percentuale di donne assunte al posto che aumentare è diminuita.

E dal punto di vista educativo?

Sto seguendo un percorso a Centocelle, dove a inizio marzo una ragazza di 21 anni è stata violentata da uno sconosciuto, mentre stava correndo a Villa Gordiani. Il quartiere si è mosso: le studentesse hanno chiesto aiuto, un corso di educazione sessuale che le insegnasse cosa fare in caso di stupro. La preside ha contro risposto che alcuni genitori di alunni che appartenevano ad altre religioni avrebbero potuto risentire. Questo senza nemmeno interpellarli. Una scusa per evitare di fare una cosa che era tenuta a fare.

Cosa dovrebbe insegnare il giusto corso di educazione sessuale?

Ai ragazzi dovrebbe spiegare cos’è uno stupro. Alle ragazze, cosa fare nel caso succeda loro. Magari decidi pure di non denunciare, è un tuo diritto. Ma devi sapere che puoi farlo o non farlo, e che hai tre giorni di tempo, e che quei tre giorni passano e dopo non puoi più far nulla.

Tornasse indietro, denuncerebbe?

Avessi avuto la prontezza di raccogliere le prove sì, avrei decisamente denunciato. Anche perché credo sia una persona recidiva.

Scrive, ricordando quella notte: “Ho esagerato con la vodka, la testa mi gira fortissimo dopo la sigaretta e l’ultimo bicchiere. Non sono lucida. Sono ubriaca.” Là fuori c’è chi potrebbe dire: se l’è cercata.

Pensiamola a parti inverse: se l’avessi baciato io, quello, e fosse stato ubriaco, e mi avesse detto “mi viene da vomitare”, non avrei insistito. È insostenibile quel ragionamento per cui ritenendoti più fragile mi sento legittimato a buttarti addosso il mio desiderio sessuale.

Quindi lo stupro è desiderio?

No. Non ha che fare con il desiderio, altrimenti ti basterebbe una bambola gonfiabile.

Allora cos’è?

Un atto di guerra. Di potere e sopraffazione.

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