A Carosone si addice il superlativo. Standing ovation per gli Anema ed Enzo Decaro al “Duse” di Bologna per “Renatissimo”

by Enrico Ciccarelli

Qual è il modo giusto per raccontare un mito? Quello con il quale gli Anema, gruppo che riunisce quattro musicisti di solida formazione classica (ma sedotti anche dalle sonorità e dalle timbriche del jazz e della musica popolare) usano per accostarsi all’epopea di Renato Carosone (Carusone all’anagrafe) è inusuale ed efficace. Lo fanno nello spettacolo “Renatissimo”, che si avvale anche del fondamentale apporto di Enzo Decaro. Prima di parlarne è opportuno, specie per quelli che “sono solo canzonette”, avere chiaro di cosa ci stiamo occupando.

Senza far torto alla retorica patriottarda, forse Renato Carosone meriterebbe più di Giuseppe Garibaldi l’epiteto di “eroe dei due mondi”, anche se gli ottant’anni della sua vicenda non contengono clangori bellici, eroismi e spargimenti di sangue, ma le saghe gentili della musica e del sorriso.

Eroe dei due mondi perché sono davvero pochi i cantanti italiani (l’unico che ci viene in mente è Domenico Modugno) capaci di attingere alle vette della Hit parade ststunitense. A Carosone accadde con “Torero” nel 1957 (in Italia mancava a quel tempo il concetto stesso di hit parade), quando negli States furoreggiava un certo Elvis Presley. E per capire quale magia la musica di Carosone continui ad esercitare sugli americani, bassterà citare il cameo di Fiorello che canta “Tu vuo’ fà l’americano” nello splendido thriller di Anthony Minghella “Il talento di mister Ripley”.

Icona negli Usa, leggenda in Italia, dove rivitalizzò con l’apporto di nuovi ritmi e nuove sonorità etniche la grande tradizione della musica napoletana (di cui allora quella italiana era poco pià di uno spin-off). Pianista di mostruosa abilità tecnica, compositore rigoroso e raffinato, innovatore geniale, fu per tutti gli anni Cinquanta alfiere e cantore di un’Italia diversa, libera dai deliri autarchici mussoliniani. Un’Italia che si lasciava alle spalle le assurdità di Achille Starace (Saint Louis Blues divenuta Le tristezze di San Luigi e Benny Goodman scempiato in Beniamino Buonomo), e ascoltava e suonava finalmente le inaudite melofie d’oltreoceano e la nuova divinità dello swing.

Qual è la scommessa di “Renatissimo”, che è uno spettacolo della Corvino Produzioni, un brand molto noto e apprezzato anche in Puglia? Suonare le musiche di un grande pianista senza un pianoforte, cantare canzoni celeberrime in forma prosastica, pur affidandole a un fine dicitore e magnifico affabulatore come Decaro, generare swing con un ricorso assai limitato alle percussioni (malgrado la stratosferica abilità del batterista Gegé Di Giacomo fosse magna pars dei successi di Carosone). Una ricetta di digestione assai problematica per i puristi, ma utile a evitare le forche caudine dell’iterazione filologica e della nostalgia museale. A giudizio di chi scrive, che ha visto lo spettacolo dalla platea del “Duse” di Bologna, la riuscita dell’operazione si deve alle capacità di questi quattro musicisti di varia meridionalità, a cominciare dal violinista foggiano Marcello Corvino per passare al contrabbassista campano Massimo De Stephanis e all’eclettico polistrumentista siciliano Fabio Tricomi, che in “Renatissimo” svolge la doppia fuzione di percussionista e mandolinista; menzione d’onore per il chittarrista lucano Biagio Labanca, validissimo strumentista che ha inoltre curato l’arrangiamento dei brani.

Difficile dire di Enzo Decaro qualcosa che non sia già noto. Partito con qualche trascurabile impaccio di lettura, l’attore si è ripreso alla grande, con una sapienza nei tempi di intervento, una capacità di improvvisazione programmata e una delicatezza ironica assai carosoniana che fanno capire come, per quanti film e fiction tu possa girare, chi è nato a teatro a teatro rimane, specialmente se è nato in quel gigantesco teatro all’aperto chiamato Napoli. Inoltre, se i grandi successi di dell’autore napoletano (da “Maruzzella” a “‘O sarracino“) sono enunciati, suggeriti e rammemorati più che cantati, De Caro  ha mostrato apprezzabili doti canore nell’esecuzione di brani meno noti del vasto canzoniere carosoniano, specialmente nell’elegiaco e struggente “Improvvisamente”.

Per il bis richiesto a gran voce, De Caro e gli Anema hanno scelto un brano di Riccardo Pazzaglia, “Me ne vado a fare il guru”, divertentissima e ribalda presa in giro delle mode induiste. Scelta azzeccata, perché, come gli interventi di De Caro hanno più volte utilmente sottolineato, l’insegnamento più importante consegnatoci da Carosone è quello di saper ridere di se stessi, di cogliere il lato esilarante e ironico che appartiene anche alle situazioni più oscure e ai drammi più dolorosi.

Del tutto meritata la standing ovation finale del pubblico bolognese per uno spettacolo che sarebbe davvero un piacere rivedere dalle parti della Puglia. Un suggerimento che ci permettiamo di girare sia al Consorzio Teatro Pubblico Pugliese sia a due infaticabili animatori e innovatori della scena musicale e cultutale puglise come Gianna Fratta e Dino De Palma. Fidatevi, vale la pena.

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