Brad Mehldau e il potere lunare del suo piano al Giordano in Jazz

by Antonella Soccio

La sorprendente alternanza di Brad Mehldau fra le due mani, con la scelta frequente di usare solo la sinistra, abbandonando l’altra in una molle seduzione ritmica, ha trasportato il pubblico del Giordano in Jazz Winter Edition al Teatro Umberto Giordano di Foggia in una soffice nuvola metafisica, in cui nulla può scalfire una condizione di grazia estatica e di stordimento erratico se non la musica e i colori e le atmosfere sempre nuove, semplici e ripetute cavalcando e scavalcando le scale.

Non è facile assistere ad un concerto di piano solo, Brad Mehldau ha un’aura lunare ed una introspezione decisa, oscura quasi: la sua musica dissonante, con frasi ripetute per modulazioni tonali di note, non concede mai facili compromessi né strizza l’occhio al compiacimento di chi ascolta. Non a caso è considerato dai massimi esperti di jazz il pianista più influente degli ultimi 20 anni.

Brad Mehldau ha la capacità di ascoltare il silenzio e di riempirlo di una musica complessa e rarefatta allo stesso tempo.

“Non voglio essere io a infliggere una sensazione negativa al pubblico- ha confessato qualche anno fa all’uscita della sua magistrale raccolta “10 Years Solo Live”- Ma non posso garantire che nessuno si annoi ascoltando quello che faccio. So che c’è sempre una parte di pubblico che reagisce negativamente a un concerto. Mentirei se dicessi che non m’interessa. Ritengo che tutti i musicisti partano dal desiderio che tutti apprezzino la loro musica. Dopo tutto, chi mai direbbe: «Voglio che la mia musica piaccia al sessantaquattro per cento del pubblico?». Se non piace a tutti, inevitabilmente la domanda successiva è: «Come reagisco?». È una domanda spirituale, se volete, nel senso che fornisce l’opportunità di praticare l’umiltà liberandosi dall’orgoglio: tutte cose buone”.

La prima parte del concerto foggiano è stata dedicata alle composizioni del suo ultimo album, candidato ai Grammy Awards, ispirate da una lettura delle fonti dell’Antico Testamento, Daniele, Osea, Salmi, Ecclesiaste e Giobbe. Gabriele è l’angelo profeta, il messaggero, il nunzio.

La musica si fa novella di mondi arcani e nel teatro infatti si sono respirate arie sacre, che sono andate oltre quello che alcuni chiamano melodismo minimale.

È però nelle sue famose cover contenute nella sua somma da piano solo, la solitudine dei 10 anni, e in vari album passati che il pubblico ha sentito più vicino a sé il grande pianista. Cover che sono divenute dei bis ampliati.  

In Hey Joe, canzone ormai posseduta nell’immaginario dal solo Jimi Hendrix, God Only Knows dei Beach Boys, My favorite things di John Coltrane, ma che nella versione di Mehldau ripercorre anche la fascinazione cinematografica di Julie Andrews e infine Don’t think twice di Bob Dylan.  

“My Favorite Things”, rappresenta forse l´apice dell’esibizione live dei due unici concerti italiani, a Monopoli e a Foggia.

Smontando il tema originario del pezzo e lo standard, il pianista riscrive nell’aria la metrica della canzone, dilatando o restringendo le battute, i cui spunti vengono colti in maniera impercettibile per tutta la durata emotiva del brano. Come se il musicista volesse indicare le infinite strade che lo stesso tema può percorrere lontano da sé e dentro di sé, perdendosi.

La rilettura e la re-interpretazione di Brad Mehldau ricompongono l’originale, conferendo al tema una nuova energia, che assimila il tutto come in una sonata classica di Bach o Brahms. Mehldau non ha mai fatto mistero della sua provenienza classica e le sue riscritture ne sono una conferma.  

Il pubblico ha apprezzato molto e ne è uscito modificato nel suo mondo interiore.

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