Bruce Springsteen, ne valeva davvero la pena?

by Claudio Botta

No Nukes. Il 28 marzo 1979 l’incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island, nell’omonima isola in Pennsylvania alimenta davanti all’opinione pubblica mondiale il dibattito sull’energia nucleare e la relativa sicurezza. Nasce il collettivo Musicians United for Safe Energy (Muse), apertamente schierato contro, e con in testa stars come i cantautori Jackson Browne e Graham Nash vengono organizzati quattro concerti al Madison Square Garden di New York, ogni sera dal 19 al 22 settembre, e un happening finale di fronte a 200mila spettatori al Battery Park di Manhattan, il 23 settembre: tra i protagonisti – con un doppio appuntamento – il trentenne Bruce Springsteen con la E Street Band (il cofanetto in differenti formati delle loro esibizioni è stato pubblicato dalla Columbia Records nel 2021).

Usa for Africa. Bob Geldof, frontman irlandese dei Boomtown Rats, rimane sconvolto da un documentario su una terribile carestia in Etiopia trasmesso dalla BBC. Insieme al collega Midge Ure, leader degli Ultravox, scrive una canzone, Do they know it’s Christmas, e chiama a raccolta le rockstar e popstar britanniche: il singolo inciso dal supergruppo nato nell’occasione, Band Aid e pubblicato nel dicembre 1984 è un grandissimo successo. La risposta americana arriva con Where are the world, scritta da Michael Jackson e Lionel Ritchie, incisa dagli artisti coinvolti nel progetto Usa for Africa: memorabile la performance di Bruce Springsteen.

Human Rights Now! Nel 1988 si celebra il quarantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, e viene organizzato un tour di 20 concerti – il primo a Londra il 2 settembre, l’ultimo a Buenos Aires il 15 ottobre – in tutto il mondo per raccogliere fondi da destinare ad Amnesty International. Cast composto da stelle all’apice del successo e della popolarità come Bruce Springsteen con la E Street Band, Sting, Peter Gabriel, Tracy Chapman e Youssou N’Dour, e musicisti locali di grido per ogni tappa (in Italia Claudio Baglioni – l’8 settembre allo stadio comunale di Torino – duramente contestato dal pubblico, perché non ritenuto abbastanza impegnato).

Attentato alle Twin Towers di New York. L’11 settembre 2001 il mondo è sotto choc per gli attentati kamikaze dei terroristi di Al Qaida, 2977 le vittime (alle quali vanno aggiunti i 19 dirottatori) e oltre 6mila i feriti. Sul Sea Bright Bridge di Rumson, New Yersey, dal quale vedeva le imponenti colonne di fumo che avevano avvolto Manhattan, Springsteen viene riconosciuto da un automobilista che gli urla «Abbiamo bisogno di te». Dopo qualche mese entra in studio con la E Street Band (con cui non ci incideva un disco di inediti dal 1984, l’epico Born in the Usa) per dare vita a uno dei suoi dischi più belli e sofferti, The rising (che in inglese indica il sorgere, l’ascesa – mistica e terrena – e metaforicamente la rinascita), dedicato alle vittime e ai soccorritori, anticipato dal singolo omonimo. E venti anni dopo l’attentato, sempre Springsteen, abito scuro e camicia bianca, nella cerimonia commemorativa a Ground Zero, chitarra acustica e armonica a bocca, esegue I’ll see you in my dreams, tratta da Letter to you pubblicato l’anno precedente.

Jersey 4 Jersey. Il 23 aprile 2020, gli artisti più famosi del New Jersey, idealmente capitanate da Bruce, si danno il cambio dalle rispettive abitazioni in un concerto virtuale trasmesso da Apple Music, Apple Tv, da E Street Radio e da diverse emittenti locali, per raccogliere fondi da devolvere al New Jersey Pandemic Relief Fund, associazione benefica impegnata nell’assistenza sanitaria dedicata alla lotta contro il coronavirus, e per esprimere la loro solidarietà e vicinanza al personale sanitario, alle vittime e ai loro familiari. Apertura affidata al Boss – accompagnato dalla moglie Patti Scialfa – e alla sua Land of hope and dreams.

Sono solo alcuni frammenti, alcune testimonianze dell’impegno civile e sociale di Bruce Springsteen. Figlio, cantore, eroe della working class born to run (nato per correre), che ha scritto uno dei suoi più grandi successi, Born in the Usa, ispirato dai veterani – dimenticati – di guerra del Vietnam, rifiutando orgogliosamente di associarla alla propaganda reaganiana. Contrario alla politica estera di George W. Bush e alla nuova guerra in Iraq al punto da schierarsi pubblicamente e partecipare a concerti pro partito democratico e i suoi candidati alla presidenza, da John Kerry a Barak Obama. Street of Philadelphia (premiata con l’Oscar) per i malati di aids. Fortemente ancorato alle proprie radici, e straordinario nel raccontare, nonostante il benessere raggiunto (100 milioni di dollari il costo del divorzio nel 1988 dalla prima moglie, l’attrice Julianne Phillips, sposata tre anni prima) l’insicurezza economica e la precarietà, il disagio di una parte sempre crescente di popolazione, le speranze, le aspettative, le paure e le delusioni dei blue collars (colletti blu, gli operai e i ceti medio-bassi), che diventano i protagonisti dei suoi testi di grande impatto, in una sintesi mirabile di letteratura, realtà e vita. Gli ‘ultimi’ la cui anima ritrae e canta in maniera potente ed esemplare, quelli veri e quelli metafora di infiniti altri, come il wrestler dello struggente film di Darren Aronofsky interpretato da Mickey Rourke.

Una carriera, un’esistenza rigorosa ed esemplare nella sua coerenza. Fino al concerto di Ferrara della sera del 18 maggio. In una regione, l’Emilia Romagna, travolta da un’alluvione sconvolgente, che ha prodotto 14 vittime (nel momento in cui viene scritto questo articolo, ndr), migliaia e migliaia di sfollati e danni incalcolabili. In una location, il parco urbano Giorgio Bassani, coperta di fango, anche se sufficientemente distante dai luoghi più colpiti. Un concerto annunciato e atteso da un anno, capitato nel momento sbagliato: e se farlo comunque poteva e può apparire una scelta ponderata con le sue motivazioni (l’organizzazione già partita da tempo, il numero dei lavoratori coinvolti, i voli e le camere d’albergo già prenotate e pagate, il ritorno economico considerevole, la difficoltà di rimandare un evento di tale portata in un tour mondiale dalla programmazione rigida, la volontà di trasmettere un messaggio positivo in un frangente così drammatico), rispetto alle perplessità e alle obiezioni contrarie (il personale impegnato per la sicurezza, l’ordine pubblico, l’agibilità, l’accesso e il deflusso dell’area, che poteva essere impiegato altrove, dove erano all’opera cittadini e volontari; i rischi – e non soltanto i benefici – legati all’arrivo di 50mila persone), incomprensibile è apparso quello che è successo su quel palco.

Il regno di Bruce Springsteen, la fiamma che ha alimentato la sua leggenda, per le incredibili performance offerte, fino a qualche anno fa intorno alle quattro ore, diventate adesso tre, a 73 anni compiuti. Soltanto un «Ciao, Ferrara» e show incredibilmente eseguito senza alcuna variazione sul tema di una scaletta da rispettare, di canzoni (bellissime, famose, trascinanti, commoventi) da proporre in sequenza. Nessun accenno a quanto era accaduto, nemmeno una parola tra le possibili tante. E nessun gesto pubblico, prima e dopo l’assordante silenzio. Come se internet non esistesse, come se non esistessero i social, come se nel 2023 fosse davvero possibile per qualcuno isolarsi davvero dal mondo e ignorare eventi dalla risonanza epocale. E come se fosse davvero possibile (cercare di) proteggere e preservare in una bolla irreale una leggenda così popolare nel senso di ‘vicina al popolo’, non soltanto ‘nota, famosa’. Una bolla che ha sporcato Springsteen di un fango che non va via con la doccia, che ha macchiato non solo il suo presente ma anche e soprattutto il suo passato, il modello e i valori che ha incarnato e rappresentato, e trasmesso a tantissimi fans di generazioni differenti, non solo italiani, che si sono sentiti traditi.

Peraltro, dopo le polemiche feroci negli Stati Uniti per il ‘dynamic pricing’, il ‘prezzo dinamico’ organizzato da Ticketmaster e che fa fluttuare il costo del biglietto per un concerto in base alla domanda e all’offerta, lievitato per Springsteen fino a una forbice che oscilla da mille a cinquemila dollari, minimizzata dal suo manager Jon Landau (un sistema invece ferocemente contestato dal leader dei Cure Robert Smith, che ha condotto e vinto una personale battaglia per mantenere bassi i prezzi dei biglietti per il loro tour americano).

Ne valeva davvero la pena?

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