Cantare Lucio Dalla ma con sfumature e atmosfere diverse: la sfida vinta di Peppe Servillo, accompagnato da Javier Girotto e Natalio Mangialavite

by Claudio Botta

Lucio Dalla è morto il 1 marzo di 11 anni fa ma nessuno potrà mai dimenticarlo, come persona generosa, talent scout impareggiabile ed autore e interprete di canzoni che sono patrimonio della cultura e del costume del nostro Paese, non solo sottofondo di momenti preziosi cui restare aggrappati con nostalgia e dolcezza. Il suo sterminato repertorio è diventato il canovaccio di numerosi omaggi, cover, tribute album e spettacoli dal vivo da parte di colleghi vicini e lontani, da Ron (che Dalla ha lanciato quando era ancora il talentuoso ragazzino Rosalino Cellamare, e che è andato a vegliare la sua salma a Montreaux per poi riaccompagnarla a Bologna nello struggente ultimo viaggio) a Fiorella Mannoia. Lavori e spettacoli che non si discostano molto dalle produzioni originali, essendo materia che tutti conoscono e amano, da maneggiare quindi con estrema cura.

L’anno che verrà è invece una proposta vicina al primissimo Dalla, il virtuoso clarinettista la cui bravura convinse il compagno di band Pupi Avati a desistere dal jazz per cercare fortuna – trovandola – nel cinema. Un trio d’eccezione: Peppe Servillo, voce ed anima degli Avion Travel, la ‘piccola orchestra’ che dal lontano 1980 rappresenta una delle più belle realtà musicali nostrane, la clamorosa vittoria al Festival di Sanremo nel 2000 con Sentimento un piacevole incidente (purtroppo pochissime altre volte replicato nella kermesse) nel percorso lastricato di piccoli club e teatri preferiti a folle oceaniche, l’attenzione sempre e solo mirata alla qualità delle proposte; Javier Girotto, sassofonista, compositore, arrangiatore e flautista argentino noto al grande pubblico per le performance con gli Aires Tango; Natalio Mangialavite, altro argentino ottimo pianista e tastierista: livello stratosferico, senza girarci troppo intorno.

Uno spettacolo in cui Servillo mette in scena con la consueta classe ed ironia tutti gli aspetti della sua natura istrionica di interprete, attore, mimo, intrattenitore, degnissimo fratello di Toni (attore feticcio di Paolo Sorrentino arrivato fino all’Oscar senza mai allontanarsi dalle proprie radici). Proposto finora 100 volte sempre con grande successo, ma la 101esima è stata per loro «ancora più emozionante»: a Manfredonia, la città natale di Lucio Dalla, e per di più in quel piazzale Diomede a pochi metri da quella “casa in riva al mare” che ha ispirato uno dei suoi primissimi, indimenticabili, capolavori («come un film che ti fa stare male» per quante emozioni scatena, la presentazione di Servillo). La scaletta è un greatest hits (tra i tanti possibili), ma nessun effetto karaoke, perché la voce del protagonista in pantalone e camicia nera ed elegante cappello – accessorio di scena che diventa parte integrante, simbolo di eleganza e buona creanza – spazia tra tante sfumature ed intensità, aggiungendo nuovi colori a parole da tutti conosciute e regalando nuovi sorprendenti squarci, arricchite da arrangiamenti ricercati  e dall’alchimia raggiunta da artisti che condividono insieme il palco da venti anni, e sono da tre impegnati in questa produzione che aggiunge date a date perché interromperla non sarebbe né saggio né giusto, con buona pace dei rispettivi altri impegni di ognuno.

Soli io e te, il brano d’apertura, offre già la chiave di lettura della serata: il coraggio di uscire da linee melodiche sacre nella loro fruizione immediata e codificata da decenni di ascolto da parte di un pubblico sterminato, un seminato copioso inteso però come semplice punto di partenza, per dare spazio a nuove percezioni e sensibilità. Meno spiazzante Tu non mi basti mai (che Dalla scrisse di getto in una manciata di minuti, ha raccontato Samuele Bersani), ma arricchita dal sax che amplifica la potenza di un testo così immediato e coinvolgente. La casa in riva al mare viene introdotta da una necessaria introduzione, e interpretata con voce e stato d’animo sospeso tra tormento e dolcezza. Anche Stella di mare è un altro tuffo suggestivo in un mare aperto frequentato e apparentemente noto, ma nel quale basta immergersi in modo per noi insolito per apprezzarne la profondità raggiunta con un altro stile. Balla balla ballerino, la risposta dolce e struggente di Dalla alla strage alla stazione della sua Bologna nella quale il 2 agosto 1980 persero la vita 85 persone e ne rimasero ferite altre 200, offre un’altra opportunità a Servillo di esaltare la propria teatralità, il linguaggio di un corpo incapace di stare fermo, attraversato da angoscia (“corri e ferma quel treno/fallo tornare indietro”) e speranza nell’arte e nella bellezza come risposta alla violenza e all’orrore (“balla anche per tutti i violenti/veloci di mano e coi coltelli/Accidenti, se capissero vedendoti ballare/di essere morti anche se possono respirare”). 4 marzo 1943 è un’altra immersione nostalgica di grande impatto, che permette di guardarsi dentro e non soltanto intorno, ritrovarsi e perdersi dalle parti del porto distante poche decine di metri, cercare e trovare e abbracciare e salutare tante persone che non ci sono più e che restano per sempre, per quel miracolo chiamato amore: bravissimi i musicisti nel guidare con delicatezza, elegante raffinatezza e tatto quel viaggio nel tempo e nel cuore.

Un’altra parentesi di sole parole è dedicata agli angeli, che per Dalla profondamente religioso – e sempre pronto a porsi interrogativi le cui risposte possono arrivare soltanto attraverso la fede – sono in Terra le persone ai margini: Se io fossi un angelo è la più celebre di tante, un manifesto sulle ingiustizie, sulle contraddizioni, sulle paure e sulle derive di una società e un mondo ancora con lo spettro della Guerra fredda ben presente, e sull’impatto della religione su questa realtà, da cambiare per renderla più giusta e accogliente. Caruso è il primo brano in cui viene chiesto l’intervento del pubblico, perfettamente cucito sull’anima campana di Servillo. Poi altra digressione sulla difesa da parte dello stesso Dalla della musica anche d’evasione, capace di mettere allegria, ma la canzone che segue è L’operaio Gerolamo (siamo nei primi anni 70, e ai lavori in collaborazione con il poeta Roberto Roversi), una durissima denuncia delle morti sul lavoro e delle condizioni vissute nelle fabbriche in crescente espansione. Anna e Marco è meravigliosa, un altro di quei film che ti fanno stare male e ti fanno stare bene, una dolce carezza di vento in una sera d’estate. Poi il gran finale: L’anno che verrà, con il pubblico ironicamente bacchettato per avere sbagliato una strofa; e Felicità, un altro dei manifesti di Dalla in cui tutto si tiene, si allontana, si tiene ancora e si apre al futuro, tra delusione, amarezza, cruda realtà, speranza. Finale degnissimo di un’ora e mezza di uno splendido spettacolo d’arte varia, per citare Paolo Conte, un altro maestro che l’allievo (bravissimo) Servillo ha omaggiato in passato in modo sublime, così come Domenico Modugno, Renato Carosone, Adriano Celentano e tanti altri.

Lo spettacolo a Manfredonia rientrava nella rassegna Mille di queste notti ideata dalla Compagnia Bottega degli Apocrifi e organizzata con il Teatro Pubblico Pugliese in sinergia col Comune di Manfredonia.

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