Charlotte Corday, l’assassina dal viso d’angelo che ispirò il capolavoro del musicista manfredoniano Bellucci

by Maria Teresa Valente

L’incontro fortuito con un mio illustre concittadino vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, il musicista Michele Bellucci, inciampando in piena notte in uno scritto che lo riguardava, mi ha permesso di conoscere l’incredibile storia di Charlotte Corday, un’insolita ‘martire’ francese.

Erano gli anni della Rivoluzione Francese e la giovane Charlotte, discendente di una nobile famiglia decaduta, dall’animo puro e dai modi fini e gentili, viveva nell’abbazia di Caen in procinto di prendere i voti. Aveva appena 25 anni e non aveva mai fatto male, come si suol dire, nemmeno ad una mosca.

Nel frattempo il clima in Francia diventata sempre più rovente per via delle lotte tra giacobini e girondini alimentata dalla furia di Jean-Paul Marat, detto l’Amico del popolo, che a capo dei rivoluzionari più infervorati incitava all’insurrezione e all’anarchia. Galvanizzato da un odio feroce nei confronti della monarchia e assetato di sangue, fu Marat, giornalista e deputato alla Convenzione nazionale, a spingere alla condanna a morte del re di Francia Luigi XVI.

La dolce e riservata Charlotte, dalla sua celletta apprese degli orrori della rivoluzione. La decapitazione del re la scosse fortemente, ma al sicuro tra le mura dell’abbazia, la sua anima era tutta protesa alla preghiera, affinché tutto ciò cessasse al più presto.

Finché, un giorno, gli ordini religiosi vennero soppressi e Charlotte fu costretta ad abbandonare l’abbazia. In quel momento accadde qualcosa d’impensabile ed incredibile: fuori le mura di Caen l’animo mite di Charlotte esplose in una follia omicida. Nella sua celebre rivista, L’Ami du Peuple (‘L’Amico del Popolo’), Marat aveva commentato con enfasi ogni azione violenta intrapresa ai danni dei “nemici della Rivoluzione”, eccitando ancor più le folle. Charlotte capì allora che era ‘all’amico del popolo’ che doveva puntare per salvare la Francia, come una sorta di novella Giovanna d’Arco.

In un giorno di luglio del 1793, senza profferire parola ad alcuno, completamente sola si recò da Caen a Parigi e acquistò un lungo coltello da ‘cucina’. Prese un biglietto, vi scrisse che era in possesso di una lista di nomi di cospiratori, nascose il coltello nel corsetto e, indossando il suo più angelico sorriso, si recò di persona a casa di Marat.

Quando bussò alla sua porta, il sanguinario Marat era nella vasca da bagno. Soffriva di una malattia alla pelle ed era alle prese con le periodiche cure allo zolfo, quando sentì la sua compagna intenta a mandar via una fanciulla che giunta presso la sua abitazione chiedeva udienza. Colpito dal trambusto, chiese spiegazioni e decise di far entrare Charlotte per conoscere i nomi dei cospiratori.

Con una freddezza ed una lucidità che di sicuro non si addicevano ad una donna che aveva trascorso gran parte della sua vita in preghiera chiusa in un convento, Charlotte estrasse il coltello e pugnalò Marat al cuore, uccidendolo all’istante. Di lì a poco accorse sul posto una gran folla, quel popolo che Charlotte aveva voluto salvare dall’orrore della rivoluzione e che per poco, con suo grande stupore, non la linciò.

Charlotte fu arrestata e da ogni parte di Parigi giunsero in tribunale per vedere il volto della terribile e sanguinaria donna che si era macchiata dell’efferato delitto. Grande fu lo stupore di tutti nel trovarsi invece dinanzi ad una fanciulla dal viso dolce e dai modi da educanda. A rimanerne colpito, il suo stesso avvocato d’ufficio, Chauveau-Lagarde, che tentò in tutti i modi di salvarle la vita, su spinta dello stesso giudice impietosito da quel viso angelico e che di nascosto suggerì a Lagarde di farla passare per folle (suggerimento che, scoperto, costò al giudice letteralmente ‘la testa’ seduta stante).

La fanciulla di Caen apparve invece a tutti lucida e decisa nel raccontare il suo disegno criminale. Chauveau-Lagarde non riuscì a salvarle la vita, così come sempre lo stesso avvocato qualche mese più tardi non potè fare nulla per evitare alla sovrana di Francia, Marie-Antoinette, di finire sulla ghigliottina.

Charlotte si avviò al patibolo, in Place de la Révolution, felice e serena, come una martire che si stava sacrificando per salvare il suo popolo. Si narra che quando la carretta che la trasportava giunse sulla piazza, il boia, Monsieur de Paris, ebbe un moto di compassione e per impedirle di vedere la ghigliottina le si piazzò davanti. Ma lei si sporse per guardare: “Ho bene il diritto d’essere curiosa: non ne ho mai vista una!” esclamò con noncuranza. Era il tardo pomeriggio del 17 luglio 1793 quando, senza un tremito, una lacrima o un rimorso, Marie-Anne-Charlotte de Corday d’Armont morì (Wikisource).

Nonostante il ‘sacrificio’ della martire di Caen, la rivoluzione continuava ad essere assetata di sangue, alimentata proprio dall’efferato delitto che invece, nella lucida follia della fanciulla, avrebbe dovuto placare gli orrori della rivoluzione.

Intanto, l’incredibile vicenda di una donna che sul punto di diventare suora uccise uno dei protagonisti indiscussi della rivoluzione francese, cominciò a fare il giro d’Europa e ad accendere l’immaginazione di pittori, musicisti, poeti e scrittori.

Poco più di un secolo dopo la storia giunse a Manfredonia, dove il musicista Michele Bellucci ne creò un capolavoro dal titolo “Carlotta Corday “, il cui Preludio fu eseguito per la prima volta a New York il 14 settembre 1913. Un pezzo di storia francese, che trasposto in un eccelso componimento musicale riscosse enorme successo oltreoceano, divenendo dunque anche un gioiello italiano. Purtroppo sulle rive del Golfo, dove il Bellucci nacque, non vi è memoria, quasi come del suo autore, il cui nome accanto a quello della Corday mi è apparso nel bel mezzo di una lettura notturna, a mo’ di spettrale rievocazione, magari con la speranza di essere tirato fuori dall’oblio.

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