Chopin davanti allo specchio

by Fabrizio Simone

Il 17 ottobre 1849, a soli 39 anni, una tubercolosi cronica, causa della fatale infiammazione del pericardio, strappò il fragilissimo e delicatissimo Fryderyk Franciszek Chopin alla vita. Era alto 1 metro e 70 cm, pesava appena 45 chili, le lunghe conversazioni lo affaticavano enormemente e dal 1837 non riusciva neppure a deambulare autonomamente. Il suo cuore smise di battere alle 2 del mattino. Al suo capezzale c’erano la sorella maggiore Ludwika, il prelato polacco Alexander Jelowicki, che riuscì a strappargli una confessione sul letto di morte permettendo al grande pianista – cattolico da sempre ma scettico verso i dogmi ecclesiastici – di ritornare nei ranghi di Cristo, il dottor Cruveilhier (che effettuerà l’autopsia sul cadavere provvedendo all’imbalsamazione delle spoglie), e pochi altri amici soprattutto nobili. Grande assente: George Sand.

Dopo ben 13 giorni fu celebrato il funerale presso la chiesa parigina di Sainte-Marie-Madeleine e il corpo di Chopin rimase nella cripta in attesa dell’ultimo saluto. Circa 3000 persone presero parte alla funzione. Tutti tranne George Sand. L’Orchestra e il coro del Conservatorio di Parigi interpretarono il Requiem di Mozart (nel cast figurava il basso Lablanche, che cantò nel Requiem mozartiano al funerale di Beethoven), esaudendo il desiderio di Chopin (l’ultima volta che i parigini poterono ascoltarlo fu nel 1840 in occasione della celebrazione per il rientro della salma di Napoleone in patria). L’organista Lefébure-Wély eseguì due preludi dall’op.28 (i più tristi, il n.4 e il n.6) dello stesso Chopin. La celebre Marcia funebre dalla sua Seconda sonata per pianoforte, orchestrata per l’occasione in fretta e furia da Napoléon Henri Reber (professore d’armonia presso il Conservatorio parigino), risuonò nell’ora della sepoltura.

Ironia della sorte (o dell’ex consorte – fate voi): lo scultore che realizzò il monumento funebre di Chopin nel cimitero parigino di Père-Lachaise, collocato ancora oggi tra l’ex tomba di Vincenzo Bellini (l’autore della Norma riposa dal 1876 nel duomo di Catania ma Chopin, come scrisse Liszt nella sua Vita di Chopin, “volle essere seppellito accanto a Bellini perché con lui aveva avuto rapporti intimi e frequenti durante il suo soggiorno parigino”) e del compositore fiorentino Luigi Cherubini, era Jean-Baptiste Clésinger, marito di George Sand dal 1848. Clésinger realizzò anche la maschera mortuaria e il calco delle mani del pianista  – entrambi sono esposti al Museo Chopin di Varsavia. Quello che un tempo fu l’appartamento parigino di Chopin, ubicato al n.12 di Place Vendôme, adesso è la sede della Maison Chaumet, fondata dal gioielliere di Napoleone.

Nel 170° anniversario della sua morte occorre fare un bilancio. Il catalogo delle opere di Chopin consta di sole 74 opere numerate (la 74esima, la raccolta dei Diciassette canti polacchi per voce e pianoforte, uscì postuma), ma bisogna tener conto anche di un cospicuo numero di composizioni non numerate (mazurche, valzer, polacche, rondò, scozzesi, piccole variazioni su temi operistici, marce, contraddanze, galoppi). In totale Chopin compose poco più di 200 pezzi. Se paragonato al catalogo di altri grandi autori, il corpus chopiniano risulta sì sorprendente ma numericamente inferiore: Mozart raggiunse 626 numeri d’opera (a questi bisogna sommare un centinaio di frammenti), Bach scrisse migliaia di composizioni, Vivaldi si fermò a quota 800 e Beethoven produsse quasi 400 lavori.

Ciò che più sorprende, in realtà, è una produzione destinata al 98% per il solo pianoforte. Le tinte policromatiche dell’orchestra non rientravano nelle sue corde. Forse. Problemi con la scrittura orchestrale? Più probabile. Le parti orchestrali delle sue poche composizioni per pianoforte e orchestra – non compose mai singoli pezzi per sola orchestra – rivelano un’ingenuità sorprendente per un tale genio. Anche i suoi due concerti per pianoforte e orchestra, nonostante presentino alcuni momenti di grande bellezza e ispirazione sincera, non rientrano tra i capolavori assoluti del genere. Chopin, quindi, travasò tutto il suo nobile animo nelle miniature pianistiche (valzer, notturni, improvvisi e mazurche). Anche la musica vocale è una piccola parentesi con qualche chicca da riscoprire (peccato che la lingua polacca non sia piacevole per le nostre orecchie).

Nonostante l’inferiorità numerica, l’influsso di Chopin sui contemporanei e sui posteri fu notevole. Suoi debitori sono senz’ombra di dubbio Liszt (emblematico il caso dei suoi tre notturni, editi esattamente un anno dopo la morte di Chopin, del quale già in vita aveva iniziato ad arrangiare e trascrivere alcuni pezzi), Clara Wieck (basterebbe osservare la scrittura del suo delicatissimo Notturno op.6 n.2 per notare cosa prese in prestito la giovane pianista tedesca dal già affermato compositore polacco), Fanny Mendelssohn, l’americano Gottschalk (si esibii a 16 anni nel Primo concerto di Chopin davanti all’autore, il quale rimase strabiliato dal suo talento) e persino Robert Schumann sarà costretto a tributargli un omaggio (anche se di gusto parodico) nel Carnaval, riconoscendo i debiti nei confronti di questo autentico poeta del pianoforte. Inoltre molte prime prove di giovani compositori avvennero proprio sulle sue orme tant’è che il fantasma di Chopin aleggia indisturbato sugli studi, i fogli d’album e i valzer di Aleksandr Scriabin (Ferruccio Busoni, a proposito, parlava di “indigestione di Chopin” da parte di Scriabin) o su Claude Debussy e Maurice Ravel, soggiogati dal fascino innovativo delle sue ultime opere (una su tutte la Berceuse op.57, tanto cara anche al diciannovenne D’Annunzio durante il fidanzamento con Elda Zucconi, figlia del suo professore di lingue straniere al Collegio Cicognini di Prato), proiettate verso il futuro.  

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