Da Lucia di Lammermoor a Fedora. Follia e Amore nelle eroine ottocentesche: due facce della stessa medaglia?

by Alessio Walter De Palma

L’Amore vero, si sa, può portare a guardare il mondo con occhi diversi, una realtà distorta, non lucida, non obiettiva, per amore si è disposti a qualsiasi cosa finanche ad uccidere o ad uccidersi… l’Ottocento, il “Secolo Lungo” per dirla con lo storico Hobsbawn, è pregno di tali sentimenti estremi portati all’esasperazione, non a caso è il secolo del Romanticismo, laddove l’animo umano è al centro di tutto con le sue pulsioni, le sue emozioni, le sue fragilità, i suoi pregi e i suoi difetti. Lontani ormai dalla raison illuministica anche le eroine femminili perdono la loro “disumanità angelicata” divenendo esseri umani con le proprie pulsioni, i propri “bollenti spiriti”. In letteratura con il passaggio dal Realismo al Naturalismo al Verismo così come in musica le eroine sono “Donne” e non più “oggetti del desiderio.”

Sin dal primo Romanticismo con i quattro pilastri dell’operismo ottocentesco: Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti e l’immancabile Giuseppe Verdi, le protagoniste, pur velatamente rispettando le “convenzioni sociali”, si innalzano a baluardo dell’Amore, quell’Amore che essendo talmente forte, vero e puro può sfociare in follia. È il caso di Norma ad esempio, che per amore di Pollione, non più corrisposto decide di uccidere i figli nati da quell’unione infausta per poi togliersi la vita o ancora Lucia di Lammermoor, la quale innamorata di Edgardo e ricambiata non può per “dovere sociale” convolare a nozze con l’amato perché della famiglia dei Ravenswood nemica della sua Asthon e per questo infelicemente sposa di Lord Arturo Buklaw per volontà del fratello di lei Lord Enrico, Lucia è “schiava” del vile concetto del pater familias, ma riuscirà a liberarsi da tali catene grazie all’escamotage della follia. Celeberrima la scena ed aria della follia di Lucia, in cui la protagonista dell’opera donizettiana, in preda a spasmi, allucinazioni, fantasmi fantastica sulla vita felice che finalmente ora può trascorrere con il suo amato Edgardo, magistralmente resa musicalmente dal genio di Bergamo con cambi di tempo, di agogiche e di virtuosismi vocali che il soprano deve affrontare: volatine, note di passaggio, note di volta, cromatismi, intonare intervalli con la voce scomodi: none minori ad esempio; trilli, abbellimenti fino al “tradizionale e convenzionale” Mi bemolle acuto, il tutto accompagnato da un mesto suono del flauto traverso solista.

Anche le eroine verdiane sfoceranno nella follia per amore, ma quell’amore negativo per il potere e l’essere disposti a tutto pur di ottenerlo come ad esempio Abigaille nel Nabucco o Lady Macbeth nel Macbeth.

Ma sarà con gli autori contemporanei e successivi a Verdi in cui questi sentimenti vengono fuori con maggior enfasi, in una prospettiva già “pre-verista” e meno romantica. È il caso di Gioconda protagonista dell’opera omonima di Amilcare Ponchielli, resa celebre dalle interpretazioni magistrali del secolo scorso di Maria Callas. Gioconda è totalmente “pazza” per amore di Enzo, il quale è già promesso sposo a Laura, qui vien fuori un altro Leitmotiv delle opere di tale periodo: antagonismo di due donne per uno stesso uomo, il cosiddetto “triangolo amoroso”. Laura per Gioconda rappresenta l’antagonista, la rivale, la femme fatale, intelligentemente Gioconda accetta la sconfitta e l’unico modo per uscirne a testa alta è il “Suicidio.” Sull’esempio di Gioconda si basano le eroine dei melodrammi “alla Verdi” del brasiliano naturalizzato italiano Antonio Carlos Gomes, è il caso di Fosca, la quale apertamente afferma: “Pazza! Pazza è ver! Si tale io son… lo sento. Ira, dolore, amore tutto è follia!” Per Fosca la follia è un insieme di elementi, di emozioni, di sentimenti apparentemente contrastanti, ma che in realtà hanno un unico fil rouge: l’Amore. D’animo inquieto innamorato è Maria Tudor, altra eroina che dà titolo all’opera.

“Maria la Sanguinaria” è una regina e quindi può tutto, decide vita e morte di ognuno, ma difronte all’amore anch’ella è inerme. Tali eroine sono antesignane delle successive “veriste”, in cui il sentimento “vero” viene portato all’esasperazione: casi emblematici sono le eroine pucciniane, la cui caratteristica peculiare è l’amore e per amore si può anche morire (Cio-Cio-San) o uccidere (Tosca).

Per amore si può anche mentire come il caso di Maddalena di Coigny, la quale mente sulla propria identità per seguire l’amato Andrea Chénier “fino alla morte insiem” nel capolavoro di Umberto Giordano, o ancora Fedora, sempre di Giordano, che per amore del suo Loris si avvelena per aver in passato tradito la fiducia di lui uccidendogli madre e fratello.

Di esempi ce ne sono tanti, ma il fil rouge resta comunque il “Mito” e nello specifico il “Mito Classico” per intenderci quello di Didone, Medea, Fedra, Elettra grandi donne passionali disposte a tutto per “La Follia dell’Amore…”

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