Da Prokoviev a Nino Rota: favola, fiaba e musica. Pierino e il lupo al Teatro Romano di Benevento

by Alessio Walter De Palma

Tutti da piccoli abbiamo ascoltato le favole, le fiabe dai nostri genitori, dai nostri nonni per conciliare il sonno o anche per poter viaggiare con la mente ingenua e non contaminata di un bambino verso mondi paralleli, fantastici che solo l’immaginazione di un bambino può raggiungere.

Spesso favola e fiaba vengono sovrapposte ma in realtà sono molto diverse tra loro. Entrambi i generi hanno tradizione antica prettamente orale, sarebbero dedicate ai bambini – sarebbero in quanto ad esempio le fiabe dei fratelli Grimm che noi tutti conosciamo, in realtà non sono propriamente per un pubblico di ragazzi, spargimenti di sangue, splatter, ingiustizie ovviamente censurate da Walt Disney per la trasposizione cinematografica di queste – la favola è sempre intrisa di morale, è didascalica, ha qualcosa da insegnare, mentre la fiaba è un componimento più lungo privo di morale – o meglio con morale sottintesa – pregno di elementi fantastici e fantasiosi: orchi, giganti, nani, fate. La favola ha origine nell’Antica Grecia, le celeberrime favole di Esopo poi riprese nel mondo latino da Fedro e nel mondo moderno da La Fontaine.

Tra gli autori di fiabe oltre ai già citati fratelli Jacob e Wilhelm Grimm possiamo ricordare tra gli altri: Charles Perreault, Italo Calvino, Gianni Rodari, Carlo Collodi, Carlo Gozzi, Friedrich Schiller. Le favole e le fiabe hanno ispirato compositori a renderle universali attraverso il linguaggio della musica. Sin da Monteverdi nel XVII secolo con la favola di Orfeo per poi approdare alla Favola della bella Melusina di Mendelssohn, a L’enfant et les sortilèges di Ravel, a Lo scoiattolo in gamba di Nino Rota su libretto di Eduardo De Filippo, fino alle celeberrime Histoire du soldat di Stravinsky, Pierino e il lupo di Prokoviev, Cenerentola di Rossini, Turandot di Puccini e anche quella di Busoni.

La musica di tali composizioni all’apparenza sembra semplice ma è una semplicità apparente appunto, sicuramente facilmente “orecchiabile” come si dice in gergo ma non facile. È il caso ad esempio di Pierino e il lupo – che tra l’altro in cartellone nella stagione estiva dell’orchestra Filarmonica di Benevento, con la direzione artistica della pianista di fama internazionale Beatrice Rana, al teatro Romano di Benevento il prossimo 28 giugno con la direzione di Francesco Lanzillotta e la voce narrante di Silvio Orlando; nel programma sono previste altre fiabe musicali come L’Histoire du Soldat l’8 luglio con la voce narrante di Peppe Servillo e Pulcinella con la direzione di Antonio Pappano l’8 agosto.

Pierino e il lupo è forse la composizione maggiormente caratteristica del genere, composta nel 1936 e rappresentata per la prima volta a Mosca al teatro Nezlobin il 2 maggio, scritta in sole due settimane, all’apparenza può sembrare una musica banale e semplice, ma andando oltre le righe è possibile riscontrare la geometria perfetta di cui si è avvalso il genio di Prokofiev. Lo scopo dell’opera più che didascalico e morale – sebbene il cattivo, il lupo abbia la peggio – è più che altro artistico, l’intento del musicista è quello di far riconoscere attraverso leitmotiv, il tema conduttore di wagneriana memoria, il suono degli strumenti ai più giovani accostandolo ai versi degli animali: il suono acuto del flauto esprime il cinguettio degli uccelli; il corno rappresenta l’andamento terrificante del lupo; lo sparo dei fucili dei cacciatori da percussioni e legni.

Discorso a parte va affrontato per il melodramma tra i più rappresentati al mondo: Turandot di Giacomo Puccini, tra l’altro quest’anno presente nel cartellone del 98. Festival dell’Arena di Verona. Turandot è una fiaba chinese divenuta dramma lirico della principessa di ghiaccio Turandot che taglia teste a possibili spasimanti che non indovinano i suoi tre enigmi. Per dovere di cronaca è giusto ricordare che Puccini non è originale nella scelta del soggetto in quanto già sette anni prima, nel 1917 Ferruccio Busoni ha composto una sua Turandot basandosi sulla fiaba di Carlo Gozzi – l’acerrimo nemico di Goldoni per intenderci – in cui sono ancora presenti clichés settecenteschi come ad esempio personaggi stilizzati e stereotipati, mentre in Puccini, la cui fonte è l’opera del “poeta della libertà” Friedrich Schiller, i personaggi sono umani caso emblematico la giovane Liù morta per un sorriso, e anche il ghiaccio di Turandot innanzi all’Amore che tutto può si scioglie, raggiungendo così la vetta più alta dell’Humanitaet classica con il lieto fine del matrimonio, lieto fine che come è ben risaputo è stato composto da Franco Alfano su appunti del maestro di Lucca morto due anni prima nel 1924.

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