Daniela Mastrandrea, la musica come spazio per fluire in armonia. «Credo al potere di lasciarsi andare ad ogni nota»

by Alesssandra Nenna

Se un’emozione può tradursi in un altro linguaggio, per Daniela Mastrandrea è senza dubbio la musica. La pianista e compositrice barese ha recentemente rilasciato il nuovo singolo “Le parole non dette”, dall’album “Riflessi”, quinto della sua vasta produzione. Le note, rigorosamente scritte a mano sullo spartito come il più pregiato dei lavori artigiani, emergono da una profondità che le libera solo quando il fuoco, di una emozione appunto, brucia orpelli e parole inutili lasciando spazio alla semplicità.

Artista pluripremiata i cui brani sono eseguiti da orchestre e formazioni in tutto il mondo, oltre che prestati alla cinematografia, Daniela si racconta con leggerezza, come se lambisse quel mondo patinato fatto di grandi palchi senza però identificarsi totalmente con esso. Nel suo ultimo “Le parole non dette” si cela forse quel “soffrire la vita” tipico di chi si spalma le emozioni addosso per farne carburante e navigare verso mari imprevisti e panorami irrinunciabili.

Hai iniziato a studiare pianoforte a sette anni. Come hai incontrato questo strumento e cosa ti ha portato a sceglierlo.

“Crediamo di essere padroni della nostra vita ma la verità è che scegliamo solo per grandi linee ciò che vorremmo, perché è la vita stessa, molto spesso, a decidere per noi. Credo fortemente negli eventi sincronici. Non mi riferisco solo a quei bivi fondamentali dell’esistenza, ma anche a cose che accadono e che sanciscono in modo profondo ciò che saremo da lì in poi, fuori da ogni nostra possibile immaginazione e volontà. Ti capita mai di assistere alla tua vita come se stessi assistendo alle scene di un film? È esattamente quello che mi è accaduto e nella mia mente quelle immagini sono ancora là. Ero inconsapevole del futuro quando mia zia mi accompagnò alla prima scuola di musica. Io ricordo solo che adoravo strimpellare, ma l’idea di studiare non mi entusiasmava affatto. C’è voluto qualche anno prima di comprendere che la musica avrebbe potuto essere la mia strada. C’era uno strumento, il violino, che adoravo più di tutti all’epoca. Non so perché, ma sognavo di suonarlo. Non l’avevo mai toccato, eppure, un giorno, senza sapere nulla, entrai in un negozio e provandolo riuscii persino a suonarlo. Il mio orecchio, associato alla logica matematica che regola la musica, mi fece tacitamente intuire che se le corde fossero disposte a distanza di quinte fra di loro, avrei trovato le note che cercavo esattamente là dove immaginavo pur non avendo, il violino, tasti visibili agli occhi, i miei occhi li avevano visti”.

Perché allora ti sei ritrovata al pianoforte?

“Perché avevamo un organo in casa e mia madre desiderava tanto lo suonassi anch’io. Inoltre, mi fu detto che avrei avuto una visione più completa della musica. Sta di fatto che ho proseguito con lo studio del pianoforte e una mattina sono stata folgorata dalla mia prima melodia, provando una sensazione di puro piacere e benessere interiore. Credo sia stato quello il giorno in cui ho scelto il pianoforte, non come strumento, ma come mezzo espressivo attraverso il quale far fluire le mie emozioni. Sono fermamente convinta che ciò che ci accade, se pur non ne comprendiamo il senso oggi, ci sarà svelato domani. Credo che la vita sia come un grande puzzle, in cui tutti i pezzi prima o poi combaciano e solo allora ne puoi cogliere il senso più profondo”.

Una persona una volta mi ha detto che la melodia arriva da una dimensione che non ci appartiene. Le tue composizioni nascono da una immagine da trasformare in note o è la melodia che si lascia associare a una emozione?

“Se si pensa al fatto che una stessa melodia possa evocare in ciascuno cose differenti in base al proprio vissuto – che per inciso è ciò che amo della musica – mi sentirei di rispondere: entrambe le cose. Non c’è una regola. Siamo anime diverse con vissuti differenti, è inevitabile che la musica riesca a toccare le corde più profonde dell’anima, secondo la sensibilità di ciascuno. È accaduto che alcune delle mie composizioni raccontassero e descrivessero un’immagine precisa: un tramonto roseo (Al calar della sera), o il riflesso della luna sulle onde del mare (Le onde del mare); ma è successo anche che melodie sgorgassero dal cuore e dall’anima senza che io ne avessi la consapevolezza e solo dopo la mia mente abbia visualizzato immagini ben precise”.

Immagino esista anche nella musica, come per tutti i linguaggi, una grammatica. Tu cerchi di rispettarla o ritieni che la creatività debba anche stravolgere le regole?

“La grammatica è alla base di qualsiasi linguaggio che voglia risultare comprensibile all’altro. Possederla è una virtù. Saperla fare propria, perché si riveli un ponte di comunicazione è un’arte; farla propria intendo al punto di dimenticarla. Se proferissi parole in un disordine senza senso, cosa potrei comunicare all’altro, se non caos e disordine? Per me la musica deve riconciliarci prima di tutto con noi stessi e poi con ciò che ci circonda; generare armonia e benessere in chi l’ascolta, accarezzare il cuore e l’animo umano. Questo non vuol dire che per farlo io segua criteri o schemi precisi, anzi. Credo che dal silenzio e dalla libertà di pensiero ed espressione possano nascere miracoli. Ovvio che avendo studiato la letteratura classica pianistica io ne abbia acquisito consapevolmente e non, il linguaggio, ma è altresì vero che nella scrittura non lascio che la mente prenda il sopravvento. Come ho scritto di recente nel blog sul mio sito (http://bit.ly/_attimi), non mi preoccupo mai di scrivere qualcosa di interessante, bensì qualcosa di vero. Condivido in questo il pensiero della cantante Björk quando afferma che la musica non è una questione di stile, ma di sincerità”.

I tuoi album hanno titoli esotici: Volo di gabbiani, Fluide Risonanze, Lo specchio, Mondi Paralleli, Riflessi. Cosa vuoi richiamare nell’ascolto da parte del pubblico?

“Mi piace far le cose prima di tutto per me e poi condividerle affinché, spero, possano far star bene anche altri. I titoli sono i nomi con i quali chiamo le mie emozioni. Non sono una scelta stilistica o mirata a evocare un qualcosa nell’ascoltatore, ma una naturale conseguenza di ciò che sento e che traspongo in musica”.

Per il recente album Riflessi, hai scelto una forma di promozione particolare, ovvero di pubblicare un nuovo brano a mesi alterni. Come mai?

“Confesso di appartenere a quella categoria di persone che prediligono il disco fisico e l’album, più che i singoli. Purtroppo o per fortuna, la discografia è cambiata e il mercato musicale con essa. In un’epoca in cui il musicista deve essere anche imprenditore di se stesso sono necessarie due cose: lungimiranza e conoscenza del sistema per non essere tagliati fuori. Qualche anno fa non lo accettavo; provenendo dal mondo classico avevo una concezione più poetica e sognante del compositore. Pubblicare un nuovo brano a mesi alterni non vuole essere una forma di promozione, o non solo. Diventa un modo per gustare più a fondo l’album, brano per brano, goccia dopo goccia, come assaporare un buon vino o un distillato, sorseggiandolo. D’altro canto – e questo gioca a mio favore – è pur vero che oggi il mercato e gli algoritmi prediligono i singoli, favorendo gli artisti sempre presenti con contenuti adeguati e di qualità”.

Prima di una esibizione esegui una qualche ritualità considerata beneaugurante?

“Credo semplicemente al potere di “esserci” e lasciarsi andare in ogni nota e a ogni nota. Mi piace osservare la gente che si appresta ad arrivare, qual è l’emotività nell’aspettare il concerto o nel prepararsi a esso. Quando si poteva, mi piaceva girare tra il pubblico prima della esibizione. Ma non so se questo possa considerarsi una ritualità”.

Che rapporto hai con la musica e il pianoforte. Ti alzi al mattino e suoni? Tutti i giorni della tua vita?

“È una visione alquanto idilliaca. La realtà è ben diversa e può essere mutevole come la vita. La vita di un musicista è già abbastanza variegata di per sé. Posso dedicare interi giorni alla composizione, altri alla trascrizione, all’analisi, allo studio del repertorio e della tecnica pianistica, alla programmazione di albume e singoli, alla promozione o, più semplicemente, alla compilazione di bandi e domande, decisamente meno poetici (ride, ndr). Fortunatamente ho un orecchio interno molto sviluppato che mi dà la possibilità di “sentirla”, la musica, anche quando sono impegnata in faccende tanto lontane da essa”.

Hai un album che consideri il prediletto?

“Considerare uno dei miei album o brani come prediletto equivarrebbe, per me, a rinnegare un pezzo della mia vita. Ogni mia composizione è il ritratto di un momento o di una emozione vissuta. Come potrei preferirne una all’altra?”

Cos’è, per te, una nota stonata?

“Tutto ciò che è fuori luogo, in ambito musicale e non. Se si crede nell’armonia si segue il corso degli eventi e si vive il flusso nella sua naturalezza. Quando si creano delle interferenze, soprattutto se si tratta di influenze umane, ecco, quelle per me è una stonatura. Lo stesso vale nell’atto compositivo: per quanto mi riguarda la musica deve fluire senza creare interruzioni o distrazioni in chi l’ascolta; solo così può accompagnare l’ascoltatore e lasciare che anche le sue emozioni fluiscano in modo armonico e spontaneo”.

Pensi mai che saresti potuta essere altro da pianista e compositrice? E se sì, cosa?

“Amo le parole e il mio modo di approcciarle è lo stesso dell’atto compositivo. Fare introspezione, che sia con note o parole è indifferente per me. Certo prediligo le parole scritta perché invita a una maggiore riflessione mentre quella proferita si disperde una volta detta. La scrittura contempla l’evoluzione e il cambiamento. Perciò penso che se non fossi stata una pianista e compositrice, avrei sicuramente scelto il linguaggio delle parole”.

Io trovo che tutto sia in dialogo. Terminiamo con un gioco. Se la tua musica fosse un dipinto d’autore, quale sarebbe? E se fosse un libro?

“Questa visione mi trova d’accordo. Siamo in continua e profonda connessione con tutto ciò che ci circonda. Se la mia musica fosse un dipinto d’autore sarebbe “La notte stellata” di Van Gogh; un cielo in cui specchiarsi per mettere a fuoco i propri pensieri. Se fossi un libro, direi “Il gabbiano”, di Livingston legato all’introspezione, alla vita e alle esperienze di vita vissuta”.

Non resta dunque che tornare alla musica per ascoltare “Le parole non dette” in attesa del rilascio del prossimo singolo, previsto per il 21 giugno. Riflessi è anche il brano che dà il titolo all’album. Per entrare in contatto con l’artista o ascoltare le sue composizioni, il sito (www.danielamastrandrea.it) rimanda a tutti i canali social e al blog, ricco di generose riflessioni.

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