Depeche Mode a Sanremo, una storia iniziata nel 1986

by Claudio Botta

La prima volta dei Depeche Mode a Sanremo è stata nel 1986. Era la 36esima edizione del Festival, il direttore artistico Gianni Ravera aveva affidato la conduzione a Loretta Goggi, affiancata da Anna Pettinelli, Mauro Micheloni e Sergio Mancinelli (noti al pubblico per il programma musicale Discoring). Un’edizione ricordata ancora oggi, che lanciò definitivamente il vincitore Eros Ramazzotti (‘Adesso tu’ è diventata un classico del suo repertorio) e confermò la grande popolarità e l’istrionico talento di Renzo Arbore (la sua irriverente ‘Il clarinetto’ si classificò seconda, spinta anche dal successo del programma cult ‘Quelli della notte’).

Fece scandalo il finto pancione – e la sua classica minigonna inguinale – con il quale si esibì Loredana Bertè, anche se la sua ‘Re’ si classificò soltanto settima. Ricchissimo il parterre di ospiti internazionali: Sting nella sua primissima apparizione da solista dopo l’uscita dai Police e la pubblicazione dello splendido album ‘The dream of the blue turtles’, a distanza di due mesi dal tour italiano presentò la toccante e potente ‘Russians’, tornata incredibilmente attuale – a Guerra Fredda si pensava definitivamente archiviata dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989 – con l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Vladimir Putin. Gli Spandau Ballet che ritirarono il disco di platino per l’album ‘Parade’ (una delle pietre miliari della loro discografia) e cantarono ‘Fight for Ourselves’ con i loro outfit new romantic. Proposte all’epoca di grande successo – tra gli altri, Mr. Mister con ‘Broken Wings’, Double con ‘The Captain of the Heart’, i Prefab Sprout con ‘Appetite’ -, band come i Talk Talk e i Fine Young Cannibals, e appunto i Depeche Mode. ‘Black celebration’, in uscita il 17 marzo (data ricorrente nel loro calendario), sarebbe stato il loro quinto album, il terzo e l’ultimo della trilogia berlinese dopo ‘Construction time again’ e ‘Some great reward’. Un disco di svolta, decisamente più cupo nei contenuti e nelle sonorità, anticipato da ‘Stripped’ (diventata poi inamovibile nelle loro setlist in concerto) e la prima palese dimostrazione che l’etichetta di band synth- pop iniziava ad andare loro decisamente stretta. Dark anche il loro abbigliamento, con abbondante uso di pelle, il primo piano ricorrente di Dave Gahan, capelli cortissimi e sopracciglia ad ali di gabbiano, lasciava già intravedere la sua personalità e il suo carisma, nonostante l’età ancora acerba.

Tre anni dopo, altra edizione memorabile di Sanremo. Per la disastrosa conduzione – la peggiore nella storia del Festival – dei figli d’arte Rosita Celentano, Gianmarco Tognazzi, Paula Dominguin, Danny Quinn scelti dall’organizzatore Adriano Aragozzini dopo una serie di rifiuti eccellenti. Per gli interventi dei comici Beppe Grillo e del Trio (Tullio Solenghi, Anna Marchesini, Massimo Lopez), che alimentarono una tempesta di polemiche e proteste eccellenti. Per la classifica finale, per l’ultima volta abbinata al concorso e alle votazioni Totip, che decretò vincitori Anna Oxa e Fausto Leali con ‘Ti lascerò’, eterno secondo Toto Cutugno (questa volta con ‘Le mamme’), terzi gli habitués Albano e Romina Power (con un loro dimenticabile brano, ‘Cara terra mia’), e soltanto ottava la struggente e meravigliosa Mia Martini con ‘Almeno tu nell’universo’, la canzone della sua rinascita umana e artistica – dopo anni di forzato, terribile esilio – scritta da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio. Venne parzialmente risarcita dal Premio della critica e da una commovente ovazione al termine della sua esibizione finale. Anche il quindicesimo posto di Raf con la sua hit ‘Cosa resterà degli anni Ottanta’ fa oggi sorridere, così come il confronto tra il Jovanotti guascone di ‘Vasco’ (quinto classificato nella sua unica partecipazione in gara) e quello che lo scorso anno sullo stesso palco ha declamato la poesia ‘Bella mondo’ di Mariangela Gualtieri, dopo una travolgente esibizione con Gianni Morandi, interprete in gara di una sua canzone. Fortunato invece l’esordio di Paola Turci, vincitrice della sezione Emergenti con la sua ‘Bambini’. Per gli ospiti stranieri, di notevole livello come sempre in quegli anni, venne allestito un apposito spazio al PalaBarilla, con sole eccezioni Elton John (‘A word in Spanish’), Ray Charles e Dee Dee Bridgewater, e  Charles Aznavour ammessi al palco del teatro Ariston. Dopo stars come Chico Buarte, Boy George, Vanessa Paradis, Nick Kamen, Cliff Richard, Little Steven (chitarrista di Bruce Springsteen), Simply Red (‘It’s only love’, c’è qualcuno che non la ricorda?) e meteore come Tracy Spencer – per citare solo qualche nome – nella serata finale i Depeche Mode presentarono dal vivo a una platea molto più coinvolta e partecipe la loro iconica ‘Everything counts’, in realtà uscita come primo singolo di ‘Construction time again’ nel 1983, ma scelta nel lanciare anche per il mercato italiano il loro primo album live, ‘101’, contenente la registrazione del concerto conclusivo (il 101esimo, appunto) del ‘Music for the Masses Tour’ al Rose Bowl di Pasadena il 18 giugno 1988 davanti ad oltre 60.000 persone: la loro consacrazione anche e soprattutto come grandissima live band.

Il ritorno a Sanremo l’anno successivo, per la quarantesima edizione del Festival eccezionalmente allestito nel contenitore PalaFiori causa inagibilità dell’Ariston per lavori di ampliamento e restauro. Edizione condotta da Johnny Dorelli e Gabriella Carlucci, cantanti italiani in gara abbinati con colleghi stranieri (riprendendo la formula in voga negli anni Sessanta), ritorno dell’orchestra dopo dieci anni di assenza, vincitori annunciati i Pooh con la loro ‘Uomini soli’, solito secondo posto per Toto Cutugno (con ‘Gli amori’), exploit per Amedeo Minghi e Mietta terzi con ‘Vattene amore’ e lancio del tormentone legato al ‘trottolino amoroso e du du da da da’, nuovo Premio della critica per Mia Martini con La nevicata del ’56, brillante esordio per Marco Masini vincitore della sezione Novità con ‘Disperato’ . Nei giorni precedenti la manifestazione, dal 21 al 24 febbraio presso il teatro Ariston a mezzo servizio andò comunque in onda un evento dedicato ad artisti stranieri (Sanremo International il nome del prologo) condotto dal foggiano Gegè Telesforo e da Erica Satta. Il programma andò in onda in seconda serata su Rai Uno e Videomusic, e presentò figure del calibro di Van Morrison, Sinead O’ Connor, Adam Ant, ancora Nick Kamen, Curiosity Killed The Cat, tra gli altri: ma protagonisti assoluti furono i Depeche Mode che presentarono ‘Enjoy the silence’, dopo ‘Personal Jesus’ ulteriore singolo di lancio – pubblicato il 9 febbraio – dell’album ‘Violator’, il loro capolavoro registrato in gran parte anche a Milano nei Logic Studios di proprietà dei fratelli La Bionda (gli inventori dell’italo disco, la discomusic all’italiana), che li ha definitivamente consacrati nell’olimpo della musica di tutti i tempi. Grazie anche all’intuizione del tastierista Alan Wilder, che ascoltato il primo demo presentato da Martin Gore, una ballad voce e tastiera, chiusosi per un giorno in studio insieme al produttore Flood impresse una decisa e irresistibile accelerazione ritmica, trasformando una ‘normale’ canzone nel pezzo più celebre della ricchissima discografia della band, spinta all’epoca anche dal video di Anton Corbijn (con Gahan in versione Piccolo Prencipe, infelice re con corona e mantello alla ricerca di un luogo ideale in cui trovare pace), odiato dal gruppo al punto che ne vennero girate altre due versioni, una sul tetto di una delle due Twins Towers di New York e l’altra nel 2004, per il timore di una promozione sbagliata.

Mentre l’arrivo del nuovo decennio stava decretando l’improvviso e imprevedibile dissolvenza di tante icone idolatrate negli anni Ottanta, per i Depeche Mode ha segnato la loro consacrazione, nonostante i fantasmi e gli incubi piombati poi nelle vite delle due anime della band in particolare. Ma 33 anni dopo Dave Gahan e Martin Gore sono ancora pronti a suscitare curiosità ed entusiasmo, e il tempo passato si è rivelato un loro alleato e non un nemico.

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